L’élite che si nazional – popolizza

Chi torna indietro nel tempo ad osservare le prime comunità virtuali, trova spesso citati i “grandi classici”: The Well, ad esempio. In realtà, spazi virtuali di questo tipo andavano al di là del concetto contemporaneo (sempre più tendente a quello di “forum” e similari) poiché supportavano gli spazi comuni con un’attività più “sistemistica” di gestione di accessi, connettività, software condivisi.

Un esempio tipico, in Italia, era la Rete Civica di Milano: nata dalla fruttuosa collaborazione di enti pubblici, Università ed associazioni, ha visto nascere intere comunità all’interno delle “conferenze”, ha coordinato attività che hanno fatto breccia tra i cittadini di Milano e non solo, “educandoli” all’uso della Rete ed alle potenzialità insite negli strumenti informatici e telematici.

Sembrerebbe sulla stessa linea la nuova edizione di “Alla conquista del Web – Scopri il tesoro della comunicazione“, un’attività didattica per i più giovani… Eppure.

La grafica del sito, è evidente, è quantomeno dozzinale. Dov’è finita la classica eleganza che contraddistingueva le iniziative dell’RCM? Vada per il fatto che è un sito per i più giovani: ma forse proprio per questo, forse proprio per l’innato senso stylish che hanno le nuove generazioni, si poteva fare di meglio. Anche le descrizioni dell’iniziativa potevano assumere un tono meno luogocomunistico. Sarà che ormai, in Italia, la Rete è, per fortuna, tutto tranne che qualcosa di élite. Non per questo, però, è un piacere assisterne alla nazional – popolizzazione.

Web Marketing Tools, RIP

Rimane ancora qualche traccia, nelle Rete che non dimentica, di quella versione italiana di Business 2.0 che fu una vera e propria meteora nelle nostre edicole. Progetto editoriale che era nato nel momento peggiore del mercato di riferimento: in pieno sboom internettaro dopo anni di euforia. Molti di noi ancora aspettano un rimborso da parte della casa editrice per i numeri che non sono mai usciti.

Leggendo oggi un po’ di commenti sulla Rete, torna alla mente quel tipo di situazioni, ma stavolta con una vittima ben più illustre: Web Marketing Tools, la rivista chic dei markettari italiani, che pare chiuda definitivamente i battenti. Muore di sicuro la versione cartacea: le newsletter periodiche continuano, per ora, ad arrivare agli iscritti. Un brutto colpo, in un panorama dove non ci sono riviste capaci di raccoglierne l’eredità.

Nell’interessante discussione avviata su Mlist, molti si interrogano sul perché della dipartita: sicuramente l’accelerazione impressa al mondo editoriale dai blog è una delle cause principali. Tuttavia, se qualcuno si chiede “quanti” tra le donne e gli uomini di marketing contribuissero, un dubbio forse più rilevante è: quanti leggevano con attenzione e quanti avrebbero voluto scrivere? Quanti invece di riflettere sugli spunti proposti si rodevano il fegato dicendo “Perché non mi hanno invitato?” o amenità simili? Una sorte di sindrome da blogostargia elevata a potenza.

Anche in questo caso, a posteriori, rimarranno le tracce del mondo di WMTools: ad esempio Kangaroo, uno dei siti di offerte di lavoro più settoriali d’Italia, forse mai partito davvero. Speriamo rimangano, tuttavia, anche gli archivi della rivista, in accesso gratuito o a pagamento: sarebbe un patrimonio difficile da perdere senza i rimpianti per ciò che potevano darci, ancora.

Coscienze pulite, polmoni sporchi

Si dice spesso che le religioni “tradizionali” hanno problemi di “immagine” nell’attrarre i nuovi adepti o quantomeno conservare quelli esistenti. D’altra parte, se la religione fosse un servizio per il quale ideare campagne di marketing, sarebbe quanto meno un prodotto bizzarro. Pensiamo ad una nazione come l’Italia in cui sulla totalità dei potenziali “clienti” (qualunque cittadino, dal neonato al moribondo) una grande parte ha già aderito subito dopo la nascita alla religione col più ampio marketshare: concretamente, però, gli heavy users sono pochi, molto pochi.

Negli ultimi anni abbiamo visto un po’ di tutto per attrarre nuovi proseliti: convention, grandi eventi, direct marketing per ogni Chiesa che vuole partecipare alla festa annuale dell’8 per mille. La Chiesa Valdese, ad esempio, è diventata quantomeno nota proprio grazie alla crescente insofferenza rispetto alle concorrenti: quanti hanno messo la crocetta su questa Chiesa semisconosciuta sulla propria dichiarazione dei redditi per “sfregio” rispetto ad una rigida formazione cattolicheggiante?

Oggi piove una nuova tegola sulle Chiese europee: pare che andare in chiesa faccia male. A voglia a lamentarsi che nessuno vada più a seguire le funzioni della propria religione: i fumi di incenso e candele, presenti pressoché in tutte le religioni “classiche”, arrivano a superare di 20 volte i limiti delle particelle dannose stabiliti dall’Unione Europea.

Sarà anche un bel colpo di immagine per l’Università di Maastricht, quello di pubblicare dati che scavano così a fondo nell’immaginario di ognuno di noi. Ma quanti, onestamente, hanno passato un’intera giornata in una chiesa e quanti, invece, l’hanno passata nel traffico? Peggio la vita del corista da chiesa o del vigile urbano?

Dopo quella che ci metteva in guardia contro i fumi della cucina, spettiamoci la prossima ricerca su quanto faccia male frequentare i pub: la quantità incredibile di fumo che vi si respira, effettivamente, dà spesso più fastidio di quella che si trova nelle strade.

Globi dorati, previsioni avverate?

Chissà come vivono, negli Stati Uniti, la consegna dei Golden Globes, i premi cinematografici assegnati dalla stampa estera di Hollywood. Di solito, vengono visti come una sorta di “anticipazione” dei premi Oscar: pensiamo a casi come quello di Titanic, pluripremiato agli Oscar dopo i premi ricevuti ai Golden Globes e con le nominees rimaste tali (per le attrici, ad esempio) esattamente comuni nelle due manifestazioni.

Non che l’esperienza europea sia stata molto diversa: è andata male per Amélie ai Golden Globes così come agli Oscar (in entrambi i casi solo nomination come miglior film straniero), è andata bene a Nuovo Cinema Paradiso, vincitore un po’ a sorpresa, nel 1990, in entrambe le manifestazioni (sempre come miglior film straniero). Anche da questa parte dell’Oceano, insomma, da una parte li si vede un po’ come premi di serie B rispetto all’inseguitissimo Oscar (ma allora il David di Donatello in che serie sta?), dall’altra come un buon augurio per il futuro Oscar. Portiamo i nostri film europei a Cannes e Venezia, accettiamo la classica puzza sotto il naso dei giurati e stiamo contenti.

Nel frattempo, comunque, i Golden Globes rimbalzano Fahrenheit 9/11 ed accettano The passion: non è stato difficile, per molti, intravvedervi una scelta politica. Per fortuna, il mattone di Gibson è in aramaico e latino e quindi non potrà portare a casa il titolo di miglior film, ma solo quello di miglior film in lingua straniera (probabilissimo). Brutto segno, dunque, per le aspirazioni da Oscar di Moore e soci.

In tutto il solito baillame annuale di premi e premietti spiccano spesso i premi alla carriera ed al momentoi l’unica certezza dei Golden Globe di quest’anno (le nomination verranno annunciate a metà dicembre) è il tributo a Robin Williams, che ha già vinto 5 volte il Globe ma ha ricevuto un solo Oscar: l’eccezione che conferma la regola?

Tira più un filo di MTV che un carro di buoi

Non si tratta di un concerto imperdibile, non si tratta di una sfilata di moda di stra-belle, non si tratta di un evento sportivo memorabile. È la solita premiazione annuale degli MTV Europe Awards, stavolta ospitati a Roma. Un’interessante parata di stelle (yawn) del calibro di Eminem, Anastacia, The Hives (?), Franz Ferdinand, Nelly e con presentatori molto professionali come Naomi Campbell, Natasha Bedingfield e Paolo di Canio (eh?).

Come prevedibile, la pollination week ha fatto entusiasmare i ragazzotti di Roma e zone limitrofe: si è arrivati a scontri con la polizia davanti al Foot Locker per accaparrarsi gli ultimi 100 biglietti che poi, con un colpo di genio markettaro, si è deciso di regalare durante la trasmissione TRL, in diretta dalla Terrazza del Pincio.

I ragazzini spingono, le vere star (come gli U2) tirano pacchi, la solita Naomi Campbell flirta: insomma, tutto il chiasso prevedibile e prevedibilmente organizzato dagli organizzatori. Che sanno benissimo quanto tirino più le starlette da MTV che altri artisti più convincenti. Amen, è la loro festa, non infieriamo oltre.

Da notare che per l’occasione, anche la musica italiana potrà schierare i suoi cavalli migliori (…), come Articolo31, Caparezza, Elisa, Linea77, Tiziano Ferro. Deo gratias, pare facciano esibire solo quest’ultimo, che almeno un pubblico in giro per l’Europa è riuscito a disseminarlo. Rimane da verificare l’espressione da mucca che assumeranno i conduttori, come già avvenne per il premio dato nel 1998 ai Bluvertigo, nel premiare questi illustri sconosciuti italici.

Una Mentana di ottimismo

Dopo anni di pessimismo cosmico, gli osservatori europei dei media che ironizzavano sul caso italiano hanno visto collidere il pianeta – maggior gruppo editoriale italiano ed il pianeta – presidenza del consiglio. Previsione largamente azzeccabile anche dai più digiuni di affari giornalistici al di là degli schieramenti politici d’appartenenza.

Di giri di poltrone tra le più prestigiose scrivanie giornalistiche italiane si parla da tempo immemore e guà un paio di giorni fa Media Quotidiano ha azzeccato quello che è successo davvero: Mentana vittima del noto detto “promuovere per rimuovere”, Rossella al suo posto, Calabrese al posto di Rossella. Probabilmente Di Rosa al posto di Rossella dopo che Vaccari ha preso il posto di Di Rosa al Secolo XIX e Angelico ha preso il posto di quest’ultimo a City. Scivola il cetriolo, insomma: tutti promossi, dal primo giornale gratuito nazionale al primo giornale sportivo nazionale e così via.

Un cetriolo mica tanto amaro, a dire il vero: ci guadagnano tutti e c’è chi ha azzardato una liquidazione pari a 9 milioni di Euro per il giornalista ricciolone. Alla fine, anche se i motivi del “siluramento” sono tristi, è lo stesso Mentana ad ironizzare sul clima da funerale che si è creato. Mettiamoci l’anima in pace, è stata solo un’operazione di facciata ed una promozione, forse insperata, per molti.

Il mondo onirico di Adriano Celentano e Claudia Mori

Adriano Celentano fa un nuovo album: peccato che a presentarlo non ci va, lasciando che sia Claudia Mori a diffondere a noi comuni mortali il suo verbo. Parte così la solita serie di deliri di onnipotenza, di autocelebrazioni poco credibili per un cantante che, dopo aver cercato di cambiare il mondo, ora canta canzoni di Gianni Bella e Cheope.

L’album, a quanto pare, uscirà

«nei formati cd, cd+dvd, super audio cd, musicassetta, lp picture disc e cofanetto per i fans a tiratura limitata con libro e t-shirt»,

manca solo in formato freesbee, insomma. Come se non bastasse, pare che delle canzoni (due? tre? tutte?) saranno disponibili via Web (a pagamento? gratis? su quale piattaforma? in streaming? scaricabili?), nonostante le polemiche che il personaggino in questione aveva avviato qualche tempo fa col mondo P2P, forse grazie alla posizione più liberale di Claudia Mori.

Ma nel mondo dei sogni che diventano business della coppia più bella del mondo (…) non può mancare la televisione: tipico strumento che Celentano aborrisce ma che brama continuamente come la volpe desidera l’uva. Come se non bastasse, cerca anche di convincerci che siamo noi a desiderarlo: che, se non fosse per le censure Rai, ci avrebbe già deliziato con un programma in quattro puntate.

Ecco, forse a volte bisogna ringraziarla, la censura di regime.

Previsioni mediatiche viziate

Il Foglio è stentoreo: mentre le elezioni statunitensi sono ancora in corso, proclama la vittoria di Bush ed a fondo pagina sghignazza sul pronostico che, a parer loro, è univoco. Il manifesto è ottimista: colpa dei sondaggi, probabilmente. Un giornalista travestito da blogger come Cohen non è da meno: fa addirittura gli auguri a Kerry.

Partecipano al gioco anche i bloganti “puri”: c’è chi è sicuro del risultato pro-Kerry, chi analizza i deliri propagandistici dei media. Alla fine, insomma, ognuno legge la realtà, spara pronostici e diffonde notizie sulla base delle proprie speranze e dei propri ideali. Mentre Kerry ammette la sconfitta, in giro per il Web si continuano a leggere miti speranze di chi lo sosteneva. Probabilmente, non ci sarà nemmeno il teatrino del 2000. Tanto è inutile.

Viste dall’Europa, le elezioni negli Stati Uniti sembrano il trionfo dello status quo, mischiato ad un uso delirante della tecnologia. Se in Italia i lettori “liberal” di Repubblica.it hanno scelto ampiamente Kerry, non è da meno per il resto del mondo: ma il feedback, al di là dei voti, lo si legge su Benrikland, il sito che ha promesso il sondaggione globale. Gli Statunitensi guardano malissimo agli Europei, gli Europei reagiscono con una sorta di aplomb francamente ingiustificato.

Alla fine, più che media, exit poll ed amenità tecnologiche varie, sembra che ciò che conta di più siano sempre gli stereotipi, che influenzano pareri ed azioni. Peccato che, stavolta, è in ballo il “capo del mondo”.