Cina vs. Mondo, 2 a 0

Il goal più importante che la Cina potesse segnare nei confronti del resto del mondo, l’ha già fatto qualche anno fa, aprendosi all’economia di mercato e soprattutto spalancando le proprie porte agli investitori esteri, ansiosi di avere manodopera a costo infimo anche per le lavorazioni più raffinate, quali quelle hi-tech o quelle dell’alta moda. In pochi anni, siamo arrivati al punto che – chiunque può verificarlo guardando i regali fatti a Natale – la maggior parte dei prodotti d’uso quotidiano viene prodotta proprio lì. Per ora, i marchi sono ancora quelli occidentali: presto i cinesi non dovranno nemmeno pagare questi balzelli ai marchi più noti, avendone appreso tutto il knowledge.

Il secondo goal la Cina lo sta segnando in questi giorni e le farà vincere definitivamente la partita: nonostante l’ottimismo di alcuni, sarà la Cina a cambiare il Mondo, più che Internet a cambiare la Cina. Un’azienda che prevede di duplicare i suoi clienti, in qualsiasi settore operi, si guarderà bene dal non rispettare le regole del mercato: i concorrenti ubbidienti sono dietro l’angolo. Non è così certo che sia stato un errore di business: un giorno forse persino Google si renderà conto di avere più utenti nella sola Cina, che in tutti gli altri Stati del mondo messi insieme.

Ogni volta che si discute di dimensioni, in un Mondo che si muove ancora alla velocità del capitalismo industriale ottocentesco, insomma, la Cina sbanca, con le sue enormi economie di scala: produttrice per il Mondo ora, consumatrice del Mondo poi. I cinesi, nel frattempo, sono ovunque, per illustrarci la loro felice via alla globalizzazione: l’Italia impazzisce per la concorrente cinese del Grande Fratello, il Corriere dedica loro un’edizione in lingua madre, Michele Serra ci dimostra quanto la loro ridente comparsa nella nostra vita sia riuscita a mettere in luce le nostre contraddizioni culturali.

Per quanto Google possa ritenere dolorosa ma giusta la sua decisione in merito alle auto-limitazioni alla libertà di informazione, probabilmente sa che sta ancora una volta anticipando quella che sarà la nuova ondata sulla Rete. Le misteriose richieste statunitensi o gli imbarazzanti tentativi di oscuramento italiani sono i figlioletti della decisione-madre cinese. I Governi si sono resi conto che la Rete è ormai troppo libera per i tristi limiti normalmente imposti alla libertà di espressione nella vita quotidiana degli Occidentali: non esistendo vincoli tecnologici all’oscuramento delle informazioni fastidiose, tanto vale approfittarne gratuitamente.

Qui BPU porta le Popolari nel futuro

Il nuovo logo di Qui BPUDopo mesi di notizie non troppo positive dall’Italia delle Banche Popolari, finalmente possiamo sorridere per una bella notizia: è on line Qui BPU, l’home banking del Gruppo BPU che prende il posto del triste mondo Lineattiva, il vecchio sistema di servizi multicanale che la Banca Popolare di Bergamo ha progressivamente imposto a tutte le banche entrate nel Gruppo negli ultimi anni. Il passo in avanti è notevole: si passa da un insieme di siti vistosamente antiquato ad un sistema multicanale che vive nei vari tentacoli delle Banche coinvolte.

Per il più filiale-centrico dei gruppi bancari italiani, in effetti, è un ottimo passo in avanti: Qui BPU si declina sul Web, nei call center e sui cellulari. Le notizie che lo riguardano campeggiano negli ATM e nelle filiali di tutte le Banche è possibile sottoscrivere pacchetti Duetto che comprendono l’accesso gratuito a questi servizi. Il servizio, vista la sua natura poliedrica, è sulla strada giusta per essere il primo mattoncino per quel processo di convergenza delle Banche rete del Gruppo di cui molti consumatori sentono l’esigenza: ormai siamo abituati a grandi conglomerati come UniCredit ed Intesa ed il modello poli-banca di SanPaolo o Capitalia non convince del tutto.

Vedremo dunque cosa ci riserverà Qui BPU nei prossimi mesi: di lavoro da fare sembra essercene ancora, da parte di tutti gli attori sul mercato, per uniformare i sistemi italiani di home banking a quelli europei. Persino Fineco ha bisogno di una bella ripulita: l’enorme proliferare di servizi l’ha ormai reso un groviglio di link più che un portale transazionale. Qui BPU nasce molto più snello, ma ha delle spalle solide: sarà interessante monitorarne la crescita nel tempo, sui vari canali. La grande sfida, probabilmente, sarà mantenere vivo l’interesse degli utenti con proposte sempre nuove, ma in maniera ordinata (e razionale), riuscendo davvero a fare apprezzare i tanti pregi dell’approccio multicanale.

Appuntamento, quindi, alla maturità di questo prodotto, appena nato e già forte delle centinaia di migliaia di clienti ereditati dalle varie Banche rete, che vanno dal sud di Carime all’est di BPA, dalla provincia di Popolare di Todi alla metropoli di Commercio & Industria. Speriamo che questo appuntamento col futuro rechi qualcosa di radicalmente innovativo, che diventi un benchmark per tutto il mercato. Nel frattempo, superando la tradizionale pacatezza, chissà che le banche del Gruppo non prendano una decisione forte e univoca che superi gli egoismi locali: c’è bisogno di essere abbastanza alti, in un mondo di giganti.

Grande Fratello, grande business, grande noia

Puntuale come l’influenza, anche quest’anno arriva in Italia il Grande Fratello, il soporifero reality show che da anni ormai attanaglia gli europei, italiani in primis, con le vicissitudini di un branco di morti di fama. Ci sono poche differenze con i vari spettacoli analoghi i cui protagonisti sono i vip: qui si scommette su gente sconosciuta (almeno così si dice, ogni anno) che cerca un posto al sole nel mondo dello spettacolo, simulando i propri idoli nel mettere in mostra la propria abilità nel dormire, flirtare, abbronzarsi e lavare i piatti. Un interesse veramente particolare per 100 giorni di vita vuota di terzi, per chi ha già scarso interesse per la propria.

Quello che colpisce è che anno dopo anno lo spettacolo continui ad attrarre spettatori, con nuovi picchi di ascolto: si tratta comunque di successi fugaci, visto che raramente rimangono impressi i nomi delle decine di protagonisti di cui i fan discutono ogni anno. Sono rimasti nella memoria comune degli italiani i protagonisti della prima edizione, che brillarono più che altro per l’essere i primi alfieri di un genere televisivo che negli anni successivi ci ha regalato un po’ di tutto. Non si capisce mai se sia l’offerta così ampia a condizionare la domanda o se siano i telespettatori stessi a non poter vivere senza reality: quando c’è periodo di stanca del genere, basta chiamare un po’ di vip spompati e riparte il carrozzone.

Gli interessi economici che ruotano intorno a queste produzioni, d’altra parte, non sono marginali: guadagnano sì le reti televisive, ma soprattutto le concessionarie di pubblicità e le case di produzione, che riescono a creare un forte interesse verso programmi in cui i costi sono marginali ed i ricavi della vendita dei diritti alti. Da anni ormai il Grande Fratello riesce a far guadagnare persino sulla Rete, attraverso lo streaming delle noiose dirette: esperimento che Mediaset quest’anno vuole riprodurre utilizzando la diretta come contenuto Premium della sua nuova piattaforma digitale. Se il business non ingranasse, ci sarebbero comunque le revenue del televoto a sostenere i ricavi della serie.

Ci aspettano mesi di discussioni accese e riflessioni metafisiche, anche in Rete, su ciò che i concorrenti del programma ed il numeroso pubblico dello studio televisivo combineranno davanti agli occhi di chi non può fare a meno di sintonizzarsi sulle avvincenti avventure dei ragazzi in calore. Chi vorrà pensare ad altro, forse si ricorderà che sono alle porte le elezioni politiche: a ricordaglielo, se servisse, basteranno le discussioni da reality show che altri paladini, stavolta divisi in due schieramenti, dedicheranno alla facezie di un Paese assonnato.

Comici tra politica e populismo

Per una strana coincidenza astrale, o perché in fondo sono tra i più noti personaggi pubblici auto-esposti al pubblico interesse, i protagonisti della Rete italiana sono proprio i due personaggi citati nel post precedente come esempi di autopromozione: Luttazzi, che nel frattempo ha sospeso l’attività del suo blog e Grillo, che continua ad estendere il proprio predominio sulla Rete attraverso una crescita esponenziale che ne fa ormai un opinion leader ancora più affermato di quando faceva le sue arringhe via TV.

A dire il vero, il protagonista finale è proprio lui, visto che con piglio polemico anche Luttazzi, nel suo messaggio di chiusura, sembra fare riferimento alla deriva populistica del collega, dopo che già ad inizio anno nel suo discorsetto aveva riflettuto sul mestiere del comico e sul potere che la satira può regalare a chiunque abbia il coraggio di gridare contro i potenti. Sono step diversi di uno stesso percorso di crescita: prima gli spettacoli di piazza, poi le apparizioni in televisione, dove si è costretti a far ridere a pié sospinto, infine il Web, in cui ci si può atteggiare a santi o demoni a seconda del caso e dell’umore.

Grillo discetta di tutto sul suo blog, facendo sicuramente una meritevole opera di controinformazione, ma anche imponendo una propria visione del mondo antipolitica: un ottimo giullare di corte, che ha il coraggio di attaccare a destra come a sinistra. Il piano sul quale lo si può attaccare è quello della coerenza: a volte sembra più assecondare gli istinti delle masse che le idee che egli stesso ha propagandato magari pochi anni prima. Ma ormai il suo è un pubblico affezionato, ben più di quello di Luttazzi, che è probabilmente il miglior satiro italiano, ma non ha (ancora?) indossato i panni del predicatore, sfuggendo persino all’invito di Celentano di apparire in TV come martire del regime.

L’arrivo di Grillo sulla Rete italiana ha sconvolto i fragili equilibri che avevano regnato negli ultimi anni: il suo blog genera più traffico di molti quotidiani italiani, stracciando i numeri dei suoi colleghi blogger che, fin quando si contavano nell’ordine delle migliaia, avevano i propri reucci con qualche decina di commenti. Ogni intervento di Grillo genera migliaia di commenti: da quelli più attinenti a quelli di chi cerca un briciolo di attenzione da parte sua o degli altri lettori, in un turbinìo di buon senso e urla di allarme. Un enorme Speaker’s corner in cui non c’è più un solo matto: c’è l’intera Italia che, dopo anni di governo populistico, cerca un nuovo leader.

Pubblicità sì, pubblicità no, la terra dei cachi…

Il dibattito avviato a fine anno da Luca Conti sulle preferenze dei navigatori nei confronti di blog con o senza pubblicità continua a ricevere interventi e suggestioni: il tema, d’altronde, è caro sia a chi legge che a chi scrive su questi spazi eterogenei. I primi, stremati da anni di invasive campagne pubblicitarie a base di banner e pop-up, non rinunciano a lanciare stilettate contro chi, tra i secondi, cede alle lusinghe degli spiccioli che AdSense e sistemi simili possono offrire, a parziale copertura dei costi di connettività. Posizione, tra l’altro, nemmeno così uniforme tra i blogger di tutto il mondo.

Se le motivazioni in favore dell’inserimento di spazi pubblicitari autogestiti o venduti tramite sistemi come quello di Google sono di carattere meramente economico, quelle “contro” spaziano dalla paura di rovinare il template alla convinzione che nessuno clicchi, il tutto intramezzato da quella che Granieri definisce “ideologia”: viene naturale estendere la riflessione dai blog a tutta la Rete, addirittura a tutto il panorama mediale. Si apre il consueto dibattito sull’indipendenza di chi accetta la pubblicità, si chiude l’era della pubblicità unidirezionale: in fondo, sulla Rete, la differenza tra produttori di contenuti e lettori, tra media ufficiali e alternativi non è così ampia.

Si gioca soprattutto sulla capacità di persuadere, attrarre e fidelizzare i lettori della Rete, obiettivamente più sensibili a queste tematiche rispetto ai supini usufruenti distratti dei mass media più tradizionali: è sulla Rete che Grillo, Luttazzi ed i loro alter ego trovano megafoni low cost in cui condividere sì idee rivoluzionarie ed interessanti, ma anche propagandare a costo zero prodotti e spettacoli. In ogni caso, fa molto meno male vedere blogger, magari illustri, che promuovono i propri prodotti, piuttosto che quotidiani piegati dai costi del loro servizio on line che inseriscono qualsiasi annuncio vagamente pubblicitario e vagamente redditizio.

Tra i numerosi visti negli ultimi giorni, l’intervento più brillante è quello di Sergio Maistrello, che riesce a riassumere pregi e difetti del mondo pubblicitario: né demoniaco né angelico, è uno spaccato della più ampia realtà economica, come i numerosi commenti al post sembrano voler dimostrare. Ciò che dà fastidio, peraltro in maniera assai condivisibile, è l’esagerazione, l’invasione a gamba tesa di annunci che si travestono, si nascondono ed esplodono a sorpresa in contesti comunicativi magari di tutt’altro tenore: questo vale per qualsiasi media, così come vale per i blog e la Rete più in generale. L’onestà premia, il disturbo distrugge: alzi la mano chi compra con piacere la merce di chi gli arreca fastidio.

Il marketing dei prodotti biologici cannibalizza i prodotti standard

La linea Prima Natura Bio di GranaroloSono obiettivamente buoni, i prodotti della linea Prima Natura Bio di Granarolo: prendiamo il burro, il più classico dei prodotti caseari, che il sito descrive come «pieno di… garanzie». Si tratta di un prodotto con un solo ingrediente, l’83% di materia grassa derivante «esclusivamente da panne di latte fresco da agricoltura biologica». Stessa quantità del prodotto base della Granarolo: la differenza è appunto la qualità del latte.

La confezione del burro Prima Natura Bio esalta ulteriormente questi aspetti:

«Burro PRIMA NATURA BIO da Agricoltura Biologica

L’Agricoltura Biologica è un metodo di produzione che opera nel pieno rispetto della natura, adottando solo tecniche di coltivazione che mantengono l’equilibrio biologico e tecniche di allevamento che rispettano il benessere degli animali ed escludendo l’uso di Organismi Geneticamente Modificati.»

Bellissimo, non c’è nulla da eccepire. Molto affascinanti anche l’etichetta relativa al “Controllo biologico” del Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici, quella “Ricerche alimentari Granarolo – Rispettiamo l’Uomo e la Natura”, i riferimenti alla validazione ISO 9001:00 degli stabilimenti. Sembra di essere davanti al burro perfetto, naturale e rispettoso dell’ambiente e della salute umana. In confronto, il tradizionale burro azzurrino Granarolo, fa sorgere seri dubbi di coscienza: perché acquistarlo, quando non presenta tutte le garanzie elencate sul suo cugino verde? Resta solo, evidentemente, un tema di budget disponibile per ognuno dei mille prodotti che compongono la nostra dispensa.

In Italia, almeno, si rischia poco in termini di OGM: in alcuni paesi europei, al contrario, non è così infrequente incappare in prodotti in cui l’assenza di label “no OGM” non è casuale. Le maggiori catene di ipermercati, ad esempio, vendono ormai prodotti alimentari “primo prezzo” di vaghe origini, prodotti private label con un minimo di controlli, prodotti ecologici di marca (e non) con premium price. I prodotti di marca standard rimangono tramortiti, stretti tra alto e basso senza troppi razionali per essere scelti.

Il tutto dipende da decisioni internazionali di altissimo livello, quasi politico più che economico: il marketing tradizionale cerca di adeguarsi, ma vive un equilibrio instabile. Nel breve termine, si creano le premesse per prodotti destinati a target danarosi, ma nel lungo termine si uccidono i prodotti storici. Negli Stati Uniti, si ragiona per eccezione: nella stragrande maggioranza dei prodotti alimentari sono abitualmente presenti tracce di processi produttivi non troppo tradizionali ed i prodotti ecologici vengono venduti a caro prezzo. Probabilmente, anche l’Europa si sta avviando su questa strada: chi può, mangia naturale, chi no… Che fa?

Noiosi mesi politichesi in vista

A meno di qualche clamoroso quanto improbabile tentativo di scalata a qualche grande gruppo industriale, l’attualità socioeconomica italiana del 2006 sarà probabilmente occupata da un lato dalle solite considerazioni delle Cassandre macroeconomiste sul declino della Nazione, dall’altro dalle varie campagne elettorali in agguato, soprattutto durante la prima metà dell’anno. Non ci sono solo le Politiche, che da sole basterebbero a monopolizzare i dibattiti di mezza Italia: molte grandi città dovranno eleggere i nuovi amministratori.

Già da qualche settimana, in effetti, freme il dibattito sull’iniziativa della Moratti di acquistare diverse migliaia di domini .it riferiti alle vie di Milano e di riempirli con degli pseudo – blog che parlino di argomenti interessanti per la vita quotidiani dei cittadini. Uno sforzo di costo modesto (non più di cinquantamila Euro, probabilmente, più le spese di ideazione e mantenimento dei sitarelli da parte dell’agenzia specializzata incaricata) ma di grande impatto sul popolo dei navigatori: non se ne può non parlare e gli occhi di tutti, milanesi e non, sono puntati a scoprire l’effettivo uso che di questi spazi virtuali verrà fatto durante la campagna elettorale e subito dopo, soprattutto nel caso di elezione.

Siamo solo al primo esempio di ciò che alcuni guardano con occhi inorriditi, ma altri ritengono interessante, almeno in via di principio: è un nuovo approccio dei politici alla Rete, non necessariamente negativo, ma sicuramente fin troppo “interessato”. I costi marginali della comunicazione politica via Web faranno sì che il 2006 ci offrirà curiose sperimentazioni di utilizzo della Rete a fini elettorali: il successo di Cofferati ed il successivo abbandono di questi mezzi una volta eletto hanno insegnato tanto ai colleghi politici, ma poco agli elettori. I giornalisti continueranno a raccontarci con piglio incuriosito queste iniziative balzane di politici vecchi e nuovi, i lettori leggono divertiti ma poco interessati.

Era dai tempi di Grauso che non assistevamo ad un simile dispendio di fantasia nell’acquisto a tappeto di domini: la differenza nel caso della Moratti ed in quelli di chi vorrà seguire il suo esempio nei prossimi mesi, è che servirà inserire contenuti in tutti i domini, raccogliendo e censendo quelli inseriti dai navigatori. Il cybersquatting politichese non può essere unidirezionale: deve ascoltare e saper parlare. Tutto ciò, a dire il vero, dovrebbe essere uno dei doveri principali di ogni politico: chissà che da queste iniziative auto – innescate, i politici si ritrovino auto – costretti ad imparare il loro mestiere.