Le tre novità di Tre

Con perfetto spirito bipartisan (non potrebbe essere altrimenti, visto il periodo), H3G Italia ha annunciato due sostanziose novità commerciali, una a Milano ed una a Roma: nel capoluogo lombardo, è stata presentata La 3 (che sforzo nel trovare il nome, eh…), di fatto la prima piattaforma televisiva europea su DVB-H; nella capitale italiana, Novari ed i suoi ci hanno regalato Adsm, innovativa offerta basata su Hsdpa, il sistema di trasmissione dati ad alta velocità che i giornalisti si sono precipitati a descrivere come “Super UMTS”.

L’idea de La 3 era nell’aria, ma probabilmente in pochi pensavano ad uno sviluppo così rapido: ancora una volta la spinta commerciale sarà basata sul calcio, in questo caso i Mondiali. Tre conosce ormai bene il mercato italiano e conosce le bizzarre esigenze di comunicazione che il nostro Paese manifesta ai produttori di nuove tecnologie: non stiamo più parlando dei Videogoal, primo tormentone ai tempi del lancio della compagnia, ma di vere e proprie partite in tempo reale, affogate in un bouquet di palinsesti molto interessanti, che vanno dai contenuti delle principali TV in chiaro ai canali creati appositamente da Sky ed a quelli curati direttamente da Tre. A fine anno, si prevedono 20 canali, compresi quelli che verranno sviluppati in collaborazione con le amministrazioni pubbliche, a favore delle minoranze linguistiche.

Per poter veicolare cotanti contenuti, ovviamente, la rete di Tre dovrà essere sempre più diffusa e potente. Va in questo senso l’altra novità, quella relativa alla progressiva diffusione che, nei prossimi mesi, porterà l’Adsm di Tre fuori dai confini romani: con una capacità massima teorica di 1,8 Mbit al secondo, finalmente la connettività in movimento potrà offrire velocità paragonabili a quelle delle linee fisse. Un’ottima notizia sia per chi in mobilità lavora, sia per chi vorrà utilizzare tramite computer e non solo in formato francobollo le potenzialità di intrattenimento. Sono un po’ ibridi i costi: in base alla practice di mercato, è già prevista un’offerta semi-flat limitata a 25 Mb al giorno per 9 Euro al mese, per il primo anno, poi il costo si triplica a partire dal tredicesimo mese.

La terza novità di Tre, quella che nessun giornale ha scritto, è che gli operatori di telecomunicazioni mobile sono ormai i protagonisti assoluti del mondo multimediale: non solo sviluppano ed aggregano contenuti, ma soprattutto investono tanto al fine di creare l’infrastruttura necessaria per comunicare in maniera adeguata a chi, quei contenuti, vuole offrirli o riceverli. Chiunque voglia avviare un servizio Premium su cellulare conosce le amabili modalità di revenue sharing degli operatori: almeno il 70% dei ricavi alla TelCo, una buona parte dei rimanenti alle sue aziende partner che garantiscono il dispatching dei contenuti e le briciole a chi i contenuti li fornisce. Tanto, è evidente, i clienti finali sono i loro. Tanto, ormai, tutti sono clienti delle TelCo mobili.

Il trionfo dell’ovvio

Con la consueta sagacia che contraddistingue i suoi interventi, qualche mese fa Luca Conti aveva intravisto l’emergere di una tendenza: era ottobre, Celentano tesseva i fili del suo spettacolo ed uno dei ragni ospite era Santoro che, pur di partecipare, si era dimesso dalla sua carica di deputato europeo. Grandi attese, grandi speranze, bizzarri risultati: il buon Santoro aveva speso i suoi minuti di libertà per dire

«Viva la fratellanza, viva l’uguaglianza e viva la libertà»

suscitando qualche perplessità in chi l’aveva mandato a Strasburgo e tanta tristezza in chi ne ricordava la verve di trascinante uomo di comunicazione. Era, tuttavia, un esponente illustre di una tendenza che proprio in quei mesi trovava uno dei suoi clou con uno spot sufficientemente strano da rimanere impresso a grande parte del pubblico televisivo italiano: si trattava delle stravaganti affermazioni di Dida, la signora retrò del 12.99. Stessa agenzia dei cugini biondi dell’892.892, ma con un taglio decisamente diverso, probabilmente a causa del diverso target del prodotto.

In un momento di ampie fluttuazioni nel mondo culturale circostante, i messaggi rassicuranti della signorina riescono a restituire un sereno sorriso: ovvio, perché l’ovvio è sempre rassicurante. Crolla la certezza del 12? Appare la sicurezza del 12.99: è ovvio che le nuove specie telefoniche prendano il posto dei dinosauri di decennale memoria. Non tutti gli spettatori, a dire il vero, hanno reagito con lo stesso fair play: qualcuno già a novembre coglieva l’andazzo del mondo pubblicitario.

Qualche mese dopo, la tendenza sembra tutt’altro che cessata: Banca Woolwich rilancia alla grande con una campagna i cui onnipresenti manifesti recitano

«Il fuoco scotta. Il Mutuo è Woolwich»,

«L’acqua è bagnata. Il Mutuo è Woolwich»,

«La terra è rotonda. Il Mutuo è Woolwich»,

«Le orecchie sono due. Il Mutuo è Woolwich».

La campagna è curata da Wlf, agenzia che in passato ha regalato campagne ben più creative. Eppure, considerando che appena un anno fa Wlf aveva proposto ai prospect di Fineco Bank gli affascinanti messaggi

«I soldi non crescono sugli alberi»,

«I soldi non piovono dal cielo»,

c’è da pensare che più che una coincidenza, si tratti di una piena adesione al trionfo dell’ovvio. Non si può che suggerire ai creativi italiani l’esclusivo AdPack australiano che promette piogge di ricavi (dal cielo): non sia mai che ritrovino un po’ di creatività per i loro clienti.

Vignette ed alabarde (verdi)

Quando ancora il coinvolgimento dell’Europa meridionale era lontano, la vicenda delle vignette danesi sembrava qualcosa di folkloristico, lontano dalla quotidianità: osservando la cronologia del montare delle polemiche (e delle tragedie), si vede come siano state le scelte di pochi uomini, magari spinti dalla giustissima volontà di difendere la libertà di espressione cui siamo abituati, ad aver alimentato un vortice che è cresciuto per tutta l’Europa e che da Oriente è stato visto in maniera diversa. Non tanto un turbinio di dibattito sulla libertà, quanto come la crescita dell’adesione al contenuto blasfemo (eventualmente) contenuto nelle vignette stesse.

Negli ultimi giorni la vicenda ha assunto un profilo ancora più angosciante e più esteso nei territori coinvolti: ora anche l’europea Italia è dentro sino al collo, ma anche al di là del Mediterraneo stavolta è cambiato l’interlocutore. Stavolta sono infatti i libici i protagonisti delle sanguinose avventure, delle stralunate manifestazioni di protesta sotto le ambasciate europee. La cosa che cambia di più, però, è la miccia: non più un atto di coraggio da parte del direttore di un quotidiano leader come è avvenuto in Francia, ma una t-shirt indossata “ironicamente” (?) da parte di un ministro italiano. Grande idea strategica, verrebbe da dire.

L’idea, si badi, non è giusta o sbagliata di per sé. Non riflettiamo sulla validità etica e morale di tutte le discussioni e di tutti i rivoli di quanto connesso al tema delle “vignette sataniche”: badiamo anche solo alle opportunità di comunicazione che si sono scelte e sono state bruciate con atti magari non troppo ragionati. Vediamole come opportunità di dialogo mancato, mani tese che potevano tendersi e sono diventate braccia mozzate. Ha ragione Lia Celi a scavare a fondo nel passato europeo: probabilmente i prodromi dei disagi odierni erano già visibili, o quanto meno dovevano essere immaginati, venti anni fa. In una delle sue ultime Bustine di Minerva, Umberto Eco si è spostato anche più in là nel tempo, rivedendo nei dibattiti odierni temi di sempre.

Ognuno ha la sua posizione sulla vicenda e non tutti guardano di cattivo occhio l’apparentemente strana strategia di marketing politico della Lega: chi conosce bene il movimento leghista sa che i nostri amici verdi possono essere parecchio acidi anche con chi sta appena qualche centinaio di chilometri sotto, figurarsi con chi è culturalmente (e fisicamente) distante migliaia di miglia dal fiume Po. Nel gran gioco della politica, può anche starci qualche accelerazione sulle forme di comunicazione scelte, tanto il contenuto di fondo è sempre lo stesso, da almeno un decennio. Peccato che stavolta siano morte insensatamente almeno 10 persone cui, della comunicazione politica italiana, interessava ben poco.

La vita secondo Vodafone

Dopo l’appariscente lancio del primo spot, on air nelle ultime due settimane, la campagna Life is now di Vodafone in questi giorni cambia volto: non più pura comunicazione istituzionale, ma supporto al lancio dei nuovi piani tariffari che, coerentemente con lo spirito della campagna hanno nomi come “Revolution” o “Simply”. Si capiscono meglio, insomma, le possibili evoluzioni della bizzarra campagna, che come spesso accade nei casi di teaser, ha sollazzato le menti dei più sensibili e lasciato nei dubbi più cupi le masse.

Anche il nuovo spot, come il precedente, ha protagonisti anonimi, giovani e felici, al post della statuaria Megan Gale che, dopo anni da fatalona sembrava ormai convertita a madre di famiglia. Visto che di evoluzioni gli ex clienti Omnitel ne hanno subite sin troppe negli ultimi anni, i nuovi manager hanno comunque deciso di mantenere l’australiana come ambasciatrice dei valori dell’azienda, continuando ad inviarla in giro per l’Italia, come già avvenuto negli eventi itineranti degli scorsi anni.

La campagna Life is now, in ogni caso, nasce con budget tali da permettere di imprimere a fondo la nuova immagine dell’azienda nella mente degli spettatori: si parla di 100 milioni di Euro, più le spese, si immagina non marginali, per la realizzazione dello spot a Los Angeles da parte di McCann Erickson. Aspettiamo con ansia i nuovi soggetti, per scoprire come i giovani protagonsiti riusciranno a comunicare al mondo la loro voglia di vita.

Nel 2006, probabilmente, avranno da comunicarci molti nuovi prodotti e servizi: i più esperti attendono l’HSDPA, il pubblico spera nella definitiva democratizzazione dell’UMTS. Il sogno è che vorranno comunicarci qualche bella notizia sul piano della trasparenza tariffaria: per quanto siano affascinanti i loro nomi, anche le ultime tariffe non brillano per chiarezza e coerenza. Life is now e non è il caso di passarla a capire quanto costa un minuto di telefonate.

Iniziano le Olimpiadi!

Attese, sognate, temute, sperate, oggi iniziano le Olimpiadi invernali. Proprio quelle per le quali Evelina Christillin una decina di anni fa sbandierava la sicura ottima organizzazione piemontese, l’efficienza torinese, il fascino italiano. Ora ci siamo in mezzo e solo a posteriori ci rendiamo conto di quanto, in realtà, di torinese, piemontese ed italiano poco ci sia. A partire dagli sponsor “veri”, quelli che investono milioni di Euro e ricevono sostanziosi onori e particolari oneri dalle Olimpiadi.

Si tratta di un evento indimenticabile per la sua mole e per la Mole: un notevole esercizio di stile declinato su un lasso di tempo breve, ma che in realtà sostiene l’economia locale da ormai molti anni a questa parte. Nulla può rimanere anche solo leggermente imperfetto: si è trattato di metter su un’organizzazione “da guerra”, anche dal punto di vista dello sforzo produttivo. Basti pensare al Tobo, che garantirà un’adeguata copertura mediale all’evento: sarebbe veramente un peccato che così tanto knowledge specifico si disperdesse.

Un rischio solo parzialmente risolto dal fatto che parte degli “organizzatori” di Olimpiadi vagano di continuo per il Mondo, passando da un evento all’altro: quelli che rischiano di rimanere fuori dal giro sono proprio quelli che, soprattutto nel campo della comunicazione, hanno maturato esperienza sul territorio e lì vogliono spenderla. Chissà cosa faranno, dopo. Chissà cosa faranno soprattutto in un’economia come quella torinese, già abbastanza disastrata di suo.

Lasciando da parte il pessimismo a medio termine, è facile immaginare che i torinesi vivranno giornate intense ed emozionanti, circondati dalle migliaia di persone inviate dai media internazionali, statunitensi in primis: continueranno ad osservare incuriosite le strane scelte che si pareranno davanti ai loro occhi, magari sostenute da interessi economici o semplice disorganizzazione. Vedremo cosa ci racconteranno, con gli occhi disincantati di chi vive una delle città più belle in Europa e la vede ogni giorno più preoccupata del suo futuro. Speriamo si inventino ancora qualcosa di grandioso: ci rivediamo tra dieci anni!

Il trionfo della “macchinetta”

Si terrà domani a Rimini il convegno Il Futuro della Distribuzione Automatica tra Qualificazione e Sperimentazione, che segna il successo della distribuzione automatica nel Mercato B2C. Si tratta di un settore che, un tempo trascurato dagli uffici marketing, oggi assicura alle aziende margini eccezionali, non raggiungibili nei canali più classici. Si tratta, nella sola Italia, di un mercato con 800.000 punti vendita e 17 milioni di clienti giornalieri, dati da sogno per qualsiasi ufficio vendite che si rivolge ai consumatori finali.

Product manager di prodotti del largo consumo quali caffé, acqua minerale e snack, ormai devono fare i conti con questo mercato da 1,5 miliardi di Euro annui. Gli spazi, infatti, sono tanti e molto diffusi sul territorio: ai distributori i consumatori non si rivolgono più solo per fare il break di metà mattinata, ma li utilizzano anche per pranzi e cene, visti i ritmi ossessivi e la vita sedentaria vissuta notte e giorno. Nei distributori così si trovano ormai anche cibi freschi e salutari, quali yogurt e mele. In Francia, sono diffusi i negozi automatici di Casinò: stanzini di pochi metri quadri con un muro di prodotti di uso quotidiano.

La rilevanza del business per il mondo del marketing è ormai evidente anche in iniziative quali quella dell’Università Roma Tre, che ha politicamente scelto la linea del cibo equo – solidale vs. le multinazionali, oppure nelle varie sperimentazioni di Cesena e Cuneo, che premiano i prodotti agricoli locali cercando di replicare i primi successi di Melinda. Non meraviglia quindi che, vista la crescente differenza tra prezzi all’ingrosso ed al dettaglio dei prodotti agricoli, vengano fuori idee bizzarre come il latte alla spina.

Dopo l’evento di Rimini, il prossimo appuntamento per gli operatori del settore sarà VendItalia, la fiera internazionale che si terrà a Milano in primavera. Chissà che non si inizino a vedere i primi esempi dei distributori non alimentari che stanno apparendo nel mondo anglosassone. Non è più tempo solo di caffé in ufficio, siringhe in farmacia e lattine in stazione: presto ne vedremo delle belle. In fin dei conti, è una forma di disintermediazione redditizia in un mondo che della disintermediazione sta facendo il suo credo, non sempre in favore della bottom line.

La Costituzione Italiana garantisce la libertà di pensiero e di espressione

Sebbene non dedichino al tema la stessa enfasi che negli Stati Uniti viene data al quinto emendamento, le Costituzioni europee pongono al cuore stesso del loro sistema i temi delle libertà civili, in particolare di quella di pensiero e di espressione. Lo fanno in maniera più o meno ampia, più o meno estesa, ma sembrano crederci fino in fondo: le democrazie europee sono nate grazie al sacrificio di chi quei diritti non ha potuto esercitarli, ma ha donato la propria vita ed il proprio lavoro affinché altri potessero darli per scontati.

Questo, ovviamente, fa sì che oggi si goda, per diritto acquisito, della possibilità di dire, fare e vedere ciò che si desidera, come e quando lo si desidera. Persino l’accusa ai fanatici del calcio di sfruttare lo streaming delle televisioni orientali per guardare in formato francobollo le partite potrebbe, in qualche modo, essere un esercizio di libertà e diventare perciò una limitazione l’impedirne l’uso tramite inquietanti filtri su scala nazionale. Si tratta dello stesso atteggiamento visto sulla vicenda delle scommesse sportive: per impedire l’utilizzo illecito di servizi forniti da stranieri si cerca di tutelare gli operatori italiani attraverso limiti alla libertà. Se non è possibile sconfiggere diplomaticamente il nemico, si abbatte il ponte che ci collega alle sue terre.

Per fortuna, verrebbe da dire, lo Stato tutela almeno la stampa tradizionale, anche quando la sua diffusione è inferiore a quella di un sito Web di media rilevanza: vengono tutelate le idee dei giornalisti, spesso portavoci di importanti questioni di interesse comune. Un tema caldo, sentito dai cittadini, che due settimane dopo il post sul tema di Beppe Grillo, continuano a commentare la sua indignazione per i contributi “a pioggia”, in particolare a quelli editi da cooperative e movimenti politici. In un generale clima di sfiducia verso politici e tycoon dei media (quando la figura non coincide…), d’altra parte, ci si schiera rapidamente su un lato o sull’altro della barricata.

Il sonno della ragione populistica, però, genera mostri: Grillo tira in mezzo persino Il Mucchio selvaggio, storica rivista appoggiata dalla scena alternative italiana. Al contrario, sfuggono dalla trivella operazioni editoriali poco chiare in cui interessi economici e sostentamenti alla politica si mischiano: tema molto più preoccupante dei contributi dello Stato, ufficiali e noti a tutti. Contributi che, comunque, sono lo specchio della realtà economica: se un settore va male, la sua editoria specialistica soffrirà e soffocherà, senza l’aiuto indiretto da parte dei cittadini. Naturalmente, non tutti gli operatori del settore desidereranno gli aiuti: l’importante, come al Pronto Soccorso, è che chi merita di star bene ed ha un periodo di difficoltà, riceva le cure adeguate.