A volte viene persino voglia di interagire con la pubblicità

Il product placement cinematografico non ha mai avuto molto appeal sugli spettatori europei: spesso rozzo, poco curato, troppo evidente e poco attinente alla trama del film. Al contrario, la sua versione moderna applicata ai videogiochi, l’in-game advertising, sembra piacere molto: i videogiocatori più accaniti vogliono vivere esperienze sempre più realistiche ed è innegabile che la pubblicità faccia parte della nostra vita quotidiana. Giocare a calcio in un campo circondato da cartelloni pubblicitari reali aiuta probabilmente a sentirsi ancora più al centro di un’esperienza realistica.

Non è perciò difficile immaginare il crescente interesse da parte degli investitori pubblicitari: si riesce ad entrare in contatto con occhi interessati in momenti emozionalmente positivi, incidendo non solo sull’arricchimento degli ambienti, ma potendo anche offrire ai propri prospect gingilli virtuali che li aiutino nelle loro avventure digitali, ad esempio cibo energetico sponsorizzato o abbigliamento speciale marchiato. A livello di business, l’effetto immediato della crescita dell’interesse collettivo verso il fenomeno è testimoniata dall’ondata di concentrazioni vista nel settore delle agenzie che vendono gli spazi pubblicitari nei nuovi media.

Il caso più emblematico è quello di Massive, azienda leader di mercato recentemente acquisita da Microsoft, con prospettive di integrazione con le piattaforme pubblicitarie di Microsoft Live! decisamente interessanti, compresa quella con AdCenter e con il Messenger. Anche gli attori più tradizionali del mercato pubblicitario come Nielsen cercano di ritagliarsi la propria torta, ad esempio facendo il tracking delle campagne, utilizzando strumenti tradizionali come il People Meter: peccato che è proprio il desiderio spasmodico di misurare le performance che trasforma la pura presenza “creativa” (ed apprezzata) dei brand più noti in tecniche intrusive affatto amate dai giocatori.

Occorre dunque stare attenti alle regole chiave che i media buyer più intelligenti hanno già individuato ed i produttori hanno applicato: di fatto, si tratta di garantire una visibilità seamless al marchio, che diventa una chiave per migliorare la propria esperienza virtuale e non l’ennesimo assillo come avviene per la pubblicità tradizionale. I più creativi e smart verranno premiati: si tratta di un nuovo mondo per la pubblicità in un mercato che sta crescendo da tutti i punti di vista e che raggiunge target di consumatori interessantissimi. Si tratta di un nuovo Eldorado, altro che televisione interattiva…

Giornalisti in carriera

Si vocifera insistentemente del possibile avvento di Paolo Mieli ad amministratore di RCS Media Group: più che una ipotesi gestionale, probabilmente un modo di iniziare a pensare al futuro del grande gruppo editoriale dopo le dimissioni forzate di Vittorio Colao, dato in partenza verso incarichi di matrice ministeriale. Nulla di personale contro Mieli, che è ovviamente un bravo giornalista, ma lo scenario strategico che ne deriva non è dei più felici.

Lasciare nelle mani di un pur navigato giornalista un Gruppo che rappresenta un importante soggetto economico ed al tempo stesso un incredibile centro di potere (basti guardare l’azionariato) è una sfida alle regole del mercato più che una scommessa su un professionista: per quanto Mieli possa ben conoscere il Corriere ed i suoi meccanismi, si fa qualche fatica a vederlo gestire fino in fondo un gruppo multimediale che ormai va oltre la storica leadership nel campo della carta stampata, estendendosi sino a radio (cfr. Play Radio) e Web (cfr. tutto il mondo Dada).

La tendenza, a dire il vero, è ormai avviata da parecchi anni: il primo caso celebre è stato Ernesto Auci, che da direttore de Il Sole 24 Ore prima diventò presidente ed amministratore delegato di Itedi, concentrando nelle proprie mani tutta la gestione delle attività editoriali della famiglia Agnelli e gestendo con successo il rilancio de La Stampa, poi assunse un più tradizionale profilo di comunicatore aziendale assumendo le responsabilità delle relazioni istituzionali del Gruppo Fiat.

Proprio il sostituto di Auci in Itedi, Antonello Perricone, sembrerebbe la più realistica alternativa al buon Mieli: se persino il dio del giornalismo italico, Montanelli, ha fallito nel suo tentativo imprenditoriale di lanciare La Voce, forse anche il suo discepolo dovrebbe rimanere a gestire i contenuti editoriali piuttosto che quelli del conto economico. Ad ognuno il suo mestiere: che i panni sporchi li lavino i manager, sarà compito dei giornalisti essere la loro anima critica, non i loro sostituti.

La Rai brancola nel Digitale

In modo nemmeno tanto inaspettato, la Commissione Europea ha analizzato il mercato italiano della TV Digitale Terrestre, accogliendo le motivazioni dell’esposto di AltroConsumo ed evidenziando una situazione di duopolio non differente da quella del mercato analogico. Di fatto, non c’è nessuna differenza sostanziale rispetto alla storica occupazione delle frequenze da parte di Mediaset e Rai: l’unica differenza è che nel digitale terrestre La 7 prova a proporre qualche offerta commerciale imitativa di quella Mediaset.

La Rai, a dire il vero, è piuttosto indietro dal punto di vista dell’offerta: sebbene ormai produca un numero indefinito di canali per le piattaforme satellitari (da quelli pseudo – Premium offerti nei bouquet di Sky a quelli di tipo educational), non ha ancora assunto una posizione chiara nei confronti del DTT. Per di più, i suoi manager ed i politici coinvolti mettono “Rai” e “digitale terrestre” solo quando si tratta di giustificare aumenti della tassa più odiata dagli italiani, il canone radiotelevisivo, per coprire gli investimenti nella copertura del territorio.

“Vorrei ma non posso”, come al solito, è lo slogan dei leader dell’Azienda: che si parli di diritti sportivi o cinematografici, non c’è speranza: ogni volta ci si arrende e si ritorna a pensare a fiction e quiz, ovviamente prodotti da parte di attori esterni. Se a La 7 fanno scioperi a causa dell’esplosione di questa tendenza all’esternalizzazione, in Rai si direbbe che non esistano più professionisti capaci di darsi da fare: persino gli autori, storici pilastri della Rai, sembrano aver gettato le armi.

Dopo la Commissione, anche il Garante per le Comunicazioni, con uno strano tempismo, cerca di tirare le orecchie agli operatori dominanti, ma poi ha il coraggio di citare H3G e L’Espresso come nuovi attori del mercato capaci di impensierirli. Pura retorica: farebbe meglio a dare un’occhiata a ciò che succede in casa dei duopolisti. Chissà se la Rai sarà mai scevra da interessi politici: in un certo senso, sarebbe comunque meglio che prevalessero quelli economici. Sarebbe persino interessante, vedere la Rai gestita da gente interessata: finalmente, sarebbe un vero protagonista di un vero mercato.

E dopo la TV, invasero anche il Web

Vanna & Stefania all'arrembaggioBisogna ammettere che a Vanna Marchi e Stefania Nobile non manchi l’inventiva: la prima riesce a capitalizzare tuttora la notorietà accumulata negli anni Ottanta, la seconda dimostra una continua creatività nell’esaltare il “talento” della madre e contemporaneamente nel promuovere la sua stessa figura in maniera crescente. Non è un caso, probabilmente, che il dominio dei loro blog sia stefanianobile.it: qualche anno fa sarebbe sicuramente stata la presenza della madre il fulcro del sito. Per la cronaca, la Nobile ha dichiarato tutti i propri dati personali sul Registro del Nic, mentre ha taroccato la registrazione del .com della sua azienda fantasma.

Il palese tentativo di tramandare la notorietà di madre in figlia sembra segnare un passaggio generazionale che garantisca alla bizzarra famigliola tanta fama per molti decenni ancora: il videoblog di Stefania miete commenti, quello della madre sembra molto poco frequentato. Vanna Marchi, d’altronde, era la maestra della comunicazione commerciale televisiva una generazione fa: ora è evidente come sia stata la Nobile (col suo fidanzato) a voler comunicare agli italiani attraverso il Web. La madre è relegata a deliranti videopost del tipo “vado in discoteca gay e parlo male dei gay” oppure “oggi sono arrabbiata nera con mia figlia”.

L’approdo al Web non è solo un modo per sfuggire ai divieti giuridici che inibiscono alle due di vendere di tutto di più in televisione: si tratta di un evidente tentativo di replicare sé stesse a costo zero riuscendo anche a svuotare la cantina. L’idea di vendere sul Web ha fatto come al solito scalpore, al pari della bufala della Nobile in versione porno: chi sa muovere il passaparola da un lato ed i media dall’altro riesce a raggiungere pubblici inaspettati e sempre più ampi. Non sono solo gli amanti del trash a guardare gli interventi dei videoblog, ma anche insospettabili bloggari.

A modo loro, le due venditrici hanno seguito la stessa strada di Beppe Grillo. Sebbene forse sanno di non poter mai arrivare alla celebrità di quest’ultimo, gli ingredienti del loro mix sono gli stessi: populismo, voglia di protagonismo, commenti spicci sull’attualità. Sarà curioso vedere come si evolveranno le attività Web di madre & figlia: se continueranno a vendere creme dimagranti andranno poco lontane. Piuttosto, il successo della sezione del tutto vuota dello shop erotico fa immaginare una deviazione verso ciò che tira sempre su Internet: no, non è il lotto.

Stavolta Internet sul cellulare c’è davvero

Sembrano così lontani i tempi in cui, col solito push commerciale tipico delle aziende Tlc italiane, l’allora non ancora fortissima Omnitel lanciava con squilli di trombe i servizi Wap come mezzo per rimanere aggiornati dell’andamento delle partite di campionato della propria squadra di calcio. L’offerta standard prevedeva un ingombrante Motorola TalkAbout col quale “navigare su Internet”. Peccato che la mirabolante promessa (erano gli anni delle follie e non si poteva non farla), si estrinsecava nella possibilità di leggere una manciata di caratteri su delle pseudo-pagine facenti parte del mirabolante mondo di Omnitel 2000, costosissimo private garden poi confluito nell’altrettanto fallimentare progetto Vizzavi.

Gli altri operatori imitavano pensando di emulare le tecnologie vincenti dall’altra parte del mondo, tipo I-Mode e i suoi fratelli. C’era poco da meravigliarsi che gli italiani, pur grandi amanti del mondo mobile, non fossero rimasti rapiti dal Wap: di Internet nemmeno l’ombra, di addebiti faraonici sì. Per molti, Wap è negli scorsi diventato sinonimo di “modo di scaricare le suonerie”, grazie alla tecnica Wap Push, che di fatto consiste in un link Wap inviato via SMS. Nel frattempo, d’altronde, la banda larga all’italiana (alias l’ADSL) si è prepotentemente affermata come mezzo di accesso d’eccellenza.

In questi mesi, tuttavia, molte cose sono cambiate: oggi le aziende più smart stanno iniziando a creare siti accessibili in maniera peculiare dai dispositivi wireless (vedi Alitalia o Fineco), oppure ad ottimizzarli in chiave Xhtml. Il risultato è che oggi, grazie a software ottimi come Opera Mini ed alla velocità “accettabile” dell’UMTS, il Web è davvero always on ed è quello “vero”, senza compromessi rilevanti. Persino i servizi free più tradizionali, quelli accessibili via Wap, sono di buona qualità: basti pensare a Tuttocittà in versione Wap.

Inutile dire che gli operatori continuano a perseverare nell’immane sforzo di attrarre clienti nei propri giardini: ma anche il loro atteggiamento sta cambiando. Da un lato lanciano la TV a prezzi folli, però affiancano un’offerta semi-flat. Da una parte spingono sui portali privati, dall’altra si rendono conto di quanto tirino di più i contenuti auto-prodotti e scambiati dai clienti che quelli “ufficiali”. Probabilmente, siamo nella del mercato più ricca di possibilità per tutti: stavolta, ci siamo davvero.

Forza Italia (e si parla di soldi, non di politica)

È ormai una sorta di celebrità nel variegato mondo del marketing italico il genio che ha ideato la promozione di MediaWorld che, nei mesi di maggio e giugno ha permesso agli addetti di vendere televisori di dimensioni industriali con la promessa di un cashback del 100%. Naturalmente, essendo geniale sino in fondo, l’ideatore ha previsto che il rimborso avverrà solo sotto forma di buoni sconto. Morale della favola milionaria, migliaia di italiani domani tiferanno Italia per ottenere un controvalore medio di circa un migliaio di Euro da spendere presso il proprio punto vendita di fiducia.

Il Sole 24 Ore di oggi ha parlato di un totale di 16 milioni di Euro: non è un caso che ora MediaWorld parli del concorso col montepremi più alto della storia. Ambienti vicini alla branca italiana del gigante tedesco ipotizzano che proprio questo tema verrà utilizzato come leitmotiv di una campagna pubblicitaria che, in caso di vittoria dell’Italia, utilizzerà il prevedibile entusiasmo collettivo a proprio favore, anche al fine di smentire le tante voci che si rincorrono on line a proposito dei possibili problemi finanziari legati alla messa in atto delle promesse.

Voci peraltro smentite dall’azienda stessa: sebbene le altre filiali europee abbiano rifiutato la possibilità di distribuire il rischio come è avvenuto nel caso di Fujitsu Siemens, il nostro stratega preferito ha sottoscritto una polizza milionaria che garantisca la solvibilità nel fausto caso di vincita della nostra Nazionale. Evento che due mesi fa, in mezzo alle scandalose scoperte di Calciopoli, sembrava del tutto improbabile: ora, invece, sembra essere tornati ai tempi (“scandalosi” anche quelli) del 1982.

Speriamo dunque che la Nazionale vinca, in modo da vedere non solo gli effetti sul PIL, ma anche la “fase B” di questa affascinante iniziativa. La cosa più importante sarà monitorare il prezzo dei prodotti di fascia alta: la tentazione di alzare i prezzi sarà alta, ma del tutto lontana dalla missione della rete italiana di MediaMarkt. L’ottimismo è il profumo della vita, come recitano i loro concorrenti: non ci deluderanno. Se proprio l’Italia perderà, chiederemo un passaggio al vincitore della Maserati “premio di consolazione”.

Aquarius non fa acqua (ma è) da tutte le parti

Basterebbe ascoltare la radio o passeggiare per le principali strade italiane o leggere i maggiori quotidiani; ovunque, si troverebbe l’invito di Aquarius: «Decidi tu lo spot TV». Cosa sia Aquarius lo si può intuire dalla foto: una bottigliona di liquido simil – acquoso dal gusto al limone. Quali siano le modalità del voto invece lo dice il regolamento sul sito…

«Le votazioni saranno aperte al pubblico dal 3 luglio al 31 agosto 2006 attraverso le seguenti modalità: voto su sito www.votaquarius.it, voto espresso in occasione di attività di campionamento prodotto, voto attraverso Tv interattiva.»

Il risultato lo si può monitorare nei display contenuti nella mega affissione di Corso Vittorio Emanuele a Milano: si tratta abbastanza stabilmente di una distribuzione paretiana di 80% vs. 20% tra i due spot. In Rete, spopola decisamente la versione B, realizzata dalla Saatchi & Saatchi italiana. Il gusto della bevanda lo si può gustare nell’ambito del giro d’Italia dell’apposita carovana. Per il pubblico di massa, le telepromozioni nell’access prime time di Canale 5 aiutano a creare aspettative più dell’invito ad andare sul sito gridato nelle numerose affissioni.

Sommando tutti gli sforzi, si arriva ad un budget di oltre 5 milioni di Euro: la Coca Cola sembra non badare a spese pur di lanciare in Italia la bevanda che sta dominando il mercato spagnolo ed ottiene grandi successi un po’ in tutto il mondo, Giappone in primis. L’aspetto positivo è che le multinazionali credono ancora nel lancio di nuovi prodotti in Italia, generando un bel giro d’affari in primis per il mondo pubblicitario coinvolto. L’aspetto negativo è che probabilmente sarà l’ennesimo insuccesso: speriamo però che se ne accorgano dopo qualche altro milione di Euro.