C’è grossa crisi (in TV)…

Se ne parla animatamente in Rete, gli appassionati ne discutono nei bar o negli autobus: tutti sottolineano che nell’anno italiano dei reality show (o quantomeno quello in cui ne vengono trasmessi di più contemporaneamente), proprio questo genere televisivo sembra subire maggiormente il disinteresse degli spettatori. Se le puntate di esordio sono state seguite da platee tutto sommato interessanti rispetto alle medie di rete, le puntate successive hanno segnato drastici cali nell’audience, tanto da fare di volta in volta fare i calcoli ai responsabili a proposito dei rapporti costi / risultati.

Il problema di questo tipo di conteggi è che i costi sono per la maggior parte fissi e soprattutto risultano molto alti soprattutto per quanto riguarda le luuuunghe serate in prime time. I risultati, al contrario, sono molto variabili e la scarsa prevedibilità degli ascolti, anche rispetto alle edizioni precedenti, rende molto ballerino il conto economico. Attenzione, però, al fatto che non sono i soli spettacoli del genere a subire drastici ridimensionamenti: Aldo Grasso ha notato che anche alcuni programmi italiani di successo negli scorsi anni crollano una volta ripropostone il sequel in versione 2006.

Gli unici ad incrementare gli ascolti sembrano essere i canali satellitari: che siano quelli ormai classici del bouquet di Sky o i sempre più specialistici canali dedicati a fiction e programmi per bambini, per la prima volta ottengono ascolti paragonabili a quelli delle reti maggiori. Il loro valore aggiunto rispetto ai canali generalisti sta proprio nella quantità e nella qualità dell’offerta: in confronto, si somigliano tutte tra loro le prime serate che iniziano sempre più tardi a causa dell’espansione continua di Striscia la notizia e compagnia andante e finiscono a notte fonda dopo le noiose nottate dei reality.

Le proposte per far resuscitare l’interesse per la TV generalista fioccano, da parte di appassionati ed addetti ai lavori: c’è chi scrive ricette per salvare i reality, chi punta ad accorciarne la durata e chi, sulla scorta dell’esperienza statunitense, propone di puntare sulla qualità piuttosto che sulla quantità. La speranza è che questa crisi sia benefica per tutti, per poter riprendere fiato e ricominciare a ripensare a programmi che non necessariamente contengano lo spionaggio del dietro le quinte e della vita quotidiana dei protagonisti. Anche perché, ad essere sinceri, chi se ne frega?

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