Gattuso abbattuto da 5 lame (più una)

Dopo mesi e mesi di comparsate televisive nelle campagne Vodafone a sostegno di Francesco Totti, in queste settimane Gennaro Gattuso è diventato protagonista di una campagna tutta sua. Non un accessorio sportivo o il solito servizio telefonico: stavolta il calciatore è il testimonial di Gillette Fusion, il nuovo rasoio di casa Procter & Gamble. Un prodotto interessante: dopo il rasoio bilama ed il vendutissimo trilama Mach3, stavolta le lame sono ben 6, di cui 5 allineate sul fronte ed una «di precisione» (?) sul retro. Come al solito, Gillette ha sbaragliato la concorrenza.

La peculiarità della campagna pubblicitaria, tuttavia, sta nel fatto che Gattuso appare solo su alcuni dei mezzi sui quali il rasoio viene presentato al grande pubblico. Nelle tonnellate di leaflet distribuiti nei supermercati, ad esempio, di Gattuso non c’è ombra: il rasoio viene presentato soprattutto dal punto di vista tecnico. Altrettanto avviene sulla stampa, mentre in televisione ci si affida a messaggi più emozionali: come al solito i rasoi vengono spacciati come strumenti per conquistare le donne (a rasoiate?) e perciò affermarsi come uomini di successo.

Gattuso spadroneggia invece nella campagna sul Web: non tanto nel sito ufficiale, coerente con la comunicazione più istituzionale, quanto nel sito InritiroconGattuso.it, annunciato con un’ampia campagna di DEM da un lato e da simpatiche spammate sui siti specializzati da parte degli autori della campagna dall’altro. La strategia dell’agenzia era quella di cercare di alimentare interesse verso la “notiziona” del presunto ritiro di Gattuso per poi lanciare il prodotto che gli avrebbe fatto cambiare idea. Per fare le cose in grande, l’agenzia aveva convinto un buon numero di concittadini del calciatore a partecipare allo “sciopero della barba”.

Bisogna apprezzare lo sforzo di Procter & Gamble di voler sperimentare nuove tecniche di comunicazione per prodotti tradizionali, ma la realizzazione della campagna è stata veramente fiacca. Peccato, perché il testimonial ha decisamente una buona immagine ed il prodotto è abbastanza innovativo da meritare l’attenzione del pubblico. Ma forse è colpa nostra, che ci riempiamo la bocca di tecniche di marketing innovative e poi, quando passiamo alla pratica, lo facciamo in maniera sonnolenta. Il popolo della Rete, forse, è ormai più avanti di chi dovrebbe stimolarlo.

Muore il Governo, nasce Italia.it

Ieri, mentre quel simpaticone di D’Alema cercava masochisticamente di dimostrare alla sua coalizione pacificista la necessità di spendere milioni di Euro per schierare migliaia di militari in giro per il mondo, il primo ministro ed il suo vice illustravano ai giornalisti come avevano speso i 100.000 Euro del bando di concorso per la nuova immagine dell’Italia a livello internazionale. La finalità dell’iniziativa, hanno spiegato, è fortemente orientata al turismo: è pur ora che l’Italia recuperi qualche posizione nella classifica mondiale dei paesi più visitati del mondo, visto che negli anni è stata ampiamenta superata dai cugini francesi e spagnoli.

Il logo è riuscito ad accomunare gli italiani molto più della politica estera adottata dal governo: tutti lo odiano. Non si trova in Rete alcun cenno di approvazione verdo l’idea grafica e la sua realizzazione: i professionisti si sbracciano nel segnalare la preoccupante somiglianza con quelli di Logitech ed Izquierda Unida, i più sensibili notano il bizzarro mix di caratteri tipografici, di almeno tre tipi, alcuni in maiuscolo altri in minuscolo. Un delirio che sa tanto di compromesso tra spinte politiche magari opposte, con i risultati mediocri che come sempre derivano dai compromessi. Il Governo appena caduto ne sa qualcosa.

Il secondo ingrediente di questo nuovo approccio al mercato internazionale del turismo è il tradizionale annuncio annuale di Italia.it, il portalone profumatamente finanziato dallo Stato per coordinare gli sforzi di Regioni, Enti ed aziende pubbliche. Stranamente, sembrerebbe che stavolta sembra essere stato veritiero: il sito è effettivamente on line da oggi, seppure con vistosi errori tecnici da un lato e contenuti molto poveri dall’altro. Tornano in mente le proposte di Paolo Valdemarin che qualche mese fa ipotizzò un modo molto più intelligente di spendere le diverse decine di milioni di Euro spesi direttamente dallo Stato o distribuiti alle Regioni per creare contenuti ad hoc per il sito.

L’idea del logo non è affatto nuova ed anzi vanta numerosi precedenti internazionali: a dire il vero, forse bastava quello già utilizzato dall’Enit da una ventina d’anni. L’idea del sito dovrebbe essere più innovativa, ma il risultato è preoccupante: sarebbe anche carino capire perché, ad esempio, venga di fatto regalato traffico all’Alitalia, nemmeno fosse l’unico operatore nazionale. Ora che la nuova strategia è stata avviata, dobbiamo sperare che venga perseguita sino in fondo: purtroppo, l’eterna instabilità politica di questi anni non ci fa ben sperare. Ce ne accorgeremo presto: i flussi turistici sono misurabili, sarà difficile fare i furbi riguardo al risultato di queste iniziative.

Altro che walled gardens…

Una ventina di anni fa, “essere connessi” in Europa voleva dire attingere alle risorse messe a disposizione dai nodi delle BBS attraverso FidoNet e similari; negli Stati Uniti, invece, la “Rete” era soprattutto quella dei servizi di CompuServe prima e di AOL poi. Il modello era intrinsecamente diverso: accedere alle BBS voleva dire interrogare piattaforme magari con servizi minimi e specializzatissimi, eppure solitamente indipendenti e gratuiti; sottoscrivere un abbonamento ai grandi service provider statunitensi voleva buttarsi a piedi uniti nel loro mondo di informazioni e contenuti selezionati.

Erano i primi esempi di quelli che negli anni successivi sono stati definiti walled gardens, modello di successo oltreoceano che non ha mai attecchito dalle nostre parti. Pochi anni fa, si stimava che l’85% degli utenti AOL non uscisse mai dal mondo pre-confenzionato dal loro fornitore di connettività e che in generale il 40% del tempo speso dagli statunitensi on line veniva passato nel giardinetto di AOL. Oggi le modalità di utilizzo sono cambiate, ma solo perché nuovi grandi attori sono apparsi sul mercato: in fin dei conti, lo stesso universo dei servizi Google è ormai così onnicomprensivo da farci passare la maggior parte del tempo trascorso on line sui propri server.

La differenza rispetto al passato è che, appunto, non sono più i fornitori di connettività a fare da partner tuttologo ai propri clienti: devono fare i conti con questi nuovi attori, che sono editori e fornitori di servizi contemporaneamente, per poter offrire pacchetti interessanti ai propri clienti. Il mercato della telefonia mobile è quello più in fermento: non c’è operatore al mondo che non sta cercando di creare il proprio recinto di servizi utili, ma non può non scendere a compromessi con i grandi player del Web per poter offrire nomi e marchi che attirino l’attenzione della propria clientela. L’effetto è che i portalini marchiati a fuoco dagli operatori hanno come maggior benefit i servizi dei siti più famosi e così tutti gli utenti finiscono per odiare i giardinetti della discordia, soprattutto in Europa.

Gli operatori mobili ne hanno sperimentate di tutti i colori, con tecnologie stupidamente ibride come I-mode o portali rigidissimi come Vodafone Live! e similari, mentre i loro cugini fornitori di connessioni wireline hanno iniziato a proporre strampalati modelli di IpTV chiusi e costosi. Soprattutto i primi, però, sono sulla via di Damasco: in fin dei conti persino vendere 15.000 Euro al mese di traffico con lo sconto del 99,8% e tutte le notti di navigazione gratis rende più della speranza che qualcuno clicchi per sbaglio sul tasto specialissssimo del proprio cellulare. Tanto ci sarà sempre qualcuno che installerà potenti applicazioni su Symbian o semplicemente Opera Mini su Java: a quel punto, tanto vale gettare la spugna.

Beyoncé, we love you

La copertina con Beyonché di Sports IllustratedL’uscita annuale di Sport Illustrated dedicato alla moda da spiaggia è un piccolo evento che ogni anno segna il polso della cultura pop statunitense ed occidentale in genere: il fatto che la sua copertina per la prima volta nella storia quest’anno non presenti le solite modelle o sportive dai corpi torniti ma una bella cantante dalla pelle ambrata è di per sé una notizia. Ad occhi chiusi, chi è un po’ avvezzo alle cose di mondo, può indovinare di chi si tratti: ovviamente di Beyoncé Giselle Knowles, per gli amici Beyoncé, per i fan la donna più bella degli Stati Uniti, anzi del mondo.

Ad essere precisi, appena qualche giorno fa i lettori di AskMen.com l’avevano etichettata “fidanzata ideale”, preferendola ad un altro centinaio di belle protagoniste dello show business. Nelle stesse ore, la cantante-attrice dal fisico mozzafiato e dalla simpatia irresistibile, stava come al solito mietendo vittime ai Grammy Awards. Appena pochi giorni prima, era stata protagonista ai Golden Globe con lo staff di DreamGirls, tanto per coronare il suo dominio ormai incontrastato sul mondo dello spettacolo al femminile. Da tempo d’altra parte non si vedeva un’artista così completa. Anzi, è difficile farsene venire altre in mente.

Quale altra cantante, d’altra parte, negli ultimi decenni è riuscita a portare al successo globale il proprio gruppo, avere un successo straordinario come solista ed essere emersa come ottima attrice in ruoli e film molto diversi, da La pantera rosa al succitato DreamGirls? Tutto ciò, tra l’altro, ad appena 25 anni. Tutto ciò imponendosi come personaggio talmente popolare da far venire voglia di lavorare quasi gratis con lei: ciò che Beyoncé tocca diventa oro, visto che il suo pubblico è ormai così eterogeneo da garantirle popolarità ad oltranza, indipendentemente dai singoli prodotti culturali che produce.

La descrizione del suo successo, si noti, ricorda molto da vicino quanto già descritto qualche mese fa su queste pagine: si parlava di un dossier del Financial Times sul più noto (e ricco) cantante hip hop del mondo. Chi? Jay-Z, ovviamente. Colui che, nemmeno a dirlo, è l’attuale fidanzato di Beyoncé. Il circolo si chiude: la coppia d’oro è sulla breccia dell’onda e lo sarà ancora a lungo. Apparentemente per il loro essere così glamour; nella realtà, per aver capito prima e più di tutti gli altri i meccanismi del successo e gli ingredienti del gran circo dei media: onore al merito, complimenti per l’intelligenza.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Visto che come giustamente ha scritto GianMarco Neri «I blog sono diventati un’imitazione mal riuscita di una forma di giornalismo dilettantistico», non poteva mancare in queste pagine lo spazio delle lettere alla redazione… Non è la prima volta che i lettori di questo blog scrivono e-mail di commento ai post invece di pubblicare lo stesso via Web: di solito ovviamente rimangono private, ma questa volta è stato chiesto all’autrice di poter pubblicare il suo messaggio qui sul blog (seppure in colpevole ritardo rispetto alla data di spedizione), considerando l’interessante spunto di riflessione che contiene. Si è voluto comunque voluto garantire l’anonimato della mittente.

«Caro Giuseppe,
non conoscevo il tuo blog prima che un collega mi indicasse il tuo commento alle vicende di Berlusconi, che tu metti in correlazione con un presunto modello culturale imposto dalle reti Mediaset e trasmesso attraverso trasmissioni come il Grande Fratello. Permettimi di contraddirti, poichè semmai è il paese che corre ed è Canale 5 che cerca di rincorrere mode e miti! Non puoi immaginare quanto lavoro è necessario in una serie televisiva (penso ai Cesaroni o a Carabinieri) per renderla realistica e perciò attrarre il pubblico. E poi non vedo così grande differenza tra Rai e Mediaset. Guarda programmi come quello in onda di Cochi e Renato e ti renderai conto che i personaggi sono gli stessi di Zelig. Pensa a Katia e Valeria che non solo appaiono costantemente in Scherzi a parte e Sputnik, ma ormai sono spesso anche sulla Rai. Se proprio colpa ci deve essere insomma secondo me deve essere condivisa.
Con simpatia,
***** **********»

La replica è comprensibile, ma potrebbe anche essere letta come un’ulteriore conferma di quanto sostenuto nel post incriminato. Nessuno mette in discussione la professionalità delle produzioni italiane, anzi. Tuttavia, sembra di assistere ad un nuovo dubbio esistenziale del tipo “è nato prima l’uovo o la gallina?”. Si può affermare che la televisione sia effettivamente uno specchio fedele dell’Italia odierna, ma se l’Italia odierna versa in queste condizioni, è colpa (o merito, dipende dai punti di vista) soprattutto della televisione. Al di là del qualunquismo, è un dato di fatto: le succitate Katia e Valeria hanno un crescente successo perché incarnano sempre ruoli folli della vita media da teledipendente italiano.

Si potrebbe anche andare oltre: in fin dei conti, la stragrande maggioranza dei conduttori televisivi deriva dalle radio, quelle commerciali in primis. Da Radio Deejay, ad esempio, arrivano personaggi di successo come Amadeus o Gerry Scotti o Nicola Savino o Albertino. Persone che fanno o hanno fatto ascolti sensazionali in radio: eppure, nessuno di loro sarebbe realmente in grado di incidere sui nostri stili di vita quotidiano senza il necessario passaggio in TV. Va bene, bando ai qualunquismi politici ed ammettiamo che non tutto derivi da Berlusconi e dal suo particolare approccio alla vita: ma dalla televisione commerciale (ed includiamo pure la Rai) sì.

Carosello compie 50 anni

Un frame della sigla di CaroselloSi festeggia in questi giorni il cinquantesimo anniversario di Carosello, l’unico programma della storia televisiva italiana che non ha bisogno di presentazioni. Ci sarà sempre qualche giovane curioso di scoprire cosa fosse Canzonissima o in cosa consistesse il successo di Fantastico (questo a dire il vero ce lo chiediamo anche noi), ma probabilmente conoscerà Carosello ed i suoi protagonisti, citerà a memoria qualche slogan celebre o magari addirittura canticchierà qualcosa. Magari perché l’ha visto crescendo negli anni Ottanta a “20 anni prima” su Rai Tre, oppure perché l’ha scaricato da un sito come MondoCarosello.com.

I giudizi dei telespettatori sono stati e saranno ancora per lungo tempo favorevoli a questo pezzo di storia televisiva: spesso ciò che rientra nella categoria dell’Amarcord perde gli eventuali caratteri negativi e rimane come indelebile ricordo di felicità (magari infantile). I giudizi degli addetti ai lavori, invece, sono spesso di carattere opposto: è così anche per Carosello, che non per tutti i pubblicitari rimane un ricordo così irrinunciabile. Una delle posizioni più note in merito è di Giancarlo Livraghi, tante volte citato su .commEurope per le sue illuminate considerazioni sul panorama della comunicazione europea.

Questa volta, però, è difficile essere d’accordo al 100% col buon Gandalf. Nelle sue parole si capisce l’amarezza di un lavoro pesante e magari a tratti non troppo gratificante, ma è opportuno soppesare anche le positività storica del modello-Carosello. Quei 42.000 (!) siparietti vanno ormai letti più come frammenti di cinema che come tentativi di primordiale attività pubblicitaria televisiva: basti pensare che i filmati venivano realizzati in 35 mm per comprendere quanto quelle produzioni abbiano aiutato Cinecittà e dintorni nei decenni in cui nasceva e si affermava la televisione.

Dal punto di vista strettamente pubblicitario, invece, Livraghi ha probabilmente ragione: basti guardare il primo filmato di Calimero per rendersi conto di come una produzione pur artisticamente valida potesse essere dannosa per il committente; basti dare un occhio a un soporifero carosello di Mina per ringraziare Dio che la Barilla nei decenni successivi abbia sperimentato linguaggi pubblicitari più azzeccati. La sindrome di Carosello c’è, ma a volte sarebbe bello che ne soffrisse anche qualche qualche creativo in più: molta della pubblicità odierna di quell’esperienza ha preso il peggio, ma ha dimenticato di approfittare anche del meglio.

Donne in crisi vs. pregiudicati e garantisti

A molti di noi del Grande Fratello interessa poco o nulla. Per molti di noi, la querelle Berlusconi – Lario – Carfagna – etcetera sembra una pura guerra di parole tra pseudo-starlette ed ex-attrici. Eppure, a guardare l’ansia di agenzie e quotidiani nell’aggiornarci degli sviluppi di queste vicende, il mondo non è più lo stesso: colpa di tale Diana che è uscita dal gioco del reality più famoso o forse della strana lettera pubblica della signora Lario. Eventi marginali per molti di noi che però esplodono nelle copertine e nelle home page, più per le loro connotazioni che per l’essere non-notizie in sé.

Basti prendere il caso Berlusconi – Lario: i quotidiani europei si sono tuffati a pesce nella notizia, riprendendo la lettera inizialmente inviata dalla signora a La Repubblica. Ore ed ore di trasmissioni televisive, soprattutto italiane, hanno cercato di sviscerare le implicazioni di questa apparente faida familiare. Da un lato una donna tradita ancora una volta nell’orgoglio, dall’altro l’uomo che più di chiunque altro in Italia ha saputo imporre tempi, modi e costumi della nostra realtà quotidiana. In mezzo, tutti gli italiani che in questa realtà vivono: derisi dagli altri europei, studiati con curiosità dal resto del mondo.

Proprio l’interesse collettivo per le vicende del Grande Fratello 7 (gulp, già sette edizioni!) deriva da questo profondo mutamento dei costumi che negli ultimi trenta anni ha investito la realtà italiana. Colei che riesce a divertire anche noialtri astemi del video, la brava Anna Lupini, descrive la serata di giovedì come una sorta di trionfo di questa nuova iper-realtà italiana. Le teledipendenti cellular-dotate hanno decretato l’uscita istantanea della ragazza vista come ninfetta ninfomane; gli autori hanno “salvato” un tale che, come le diverse pagine dedicategli dai quotidiani ci hanno raccontato, è stato condannato per lesioni da un giudice.

Stiamo d’altra parte parlando di un programma di Canale 5 ed ecco confermate le strategie (anche politiche) del suo fondatore: facciamo parlare la gente di questioni morbose, puniamo chi esce dal seminato, ma salviamo chi è vittima dei giudici (comunisti) di primo grado. Il cerchio si chiude probabilmente una volta la settimana: che sia il Grande Fratello o la nuova avventura di SuperSilvio, ogni volta c’è un nuovo tormentone ad allietare i giornalisti italiani e non. Noi, al di là delle nobili dichiarazioni, lo aspettiamo come uccellini col becco aperto. Questa è l’Italia vera, il resto è l’Italia dei sogni. Ma non quelli televisivi.