Il fascino delle diciottenni ed il volano del Web

La famosa foto di Allison StokkeQuesta a sinistra è una delle foto che negli ultimi mesi ha avuto maggiore diffusione sulla Rete: ritrae Allison Stokke, studentessa diciottenne e campionessa giovanile di salto con l’asta, da oggi famosa in tutto il mondo grazie ad un articolo del Washington Post, prontamente ripreso da tutti i maggiori quotidiani europei, compreso l’italiano Corriere della Sera e lo spagnolo El Pais. Un tam tam che sta crescendo in queste ore in tutto il mondo attraversando blog ed altri spazi di condivisione multimediale: un video della giovane atleta furoreggia su YouTube ed il suo profilo su MySpace contiene ormai un numero improbabile di commenti, la maggior parte dei quali smaccatamente scritti da ragazzotti in calore, eccitati per le caratteristiche fisiche della tonica ragazzina.

Si tratta, però, dell’ultima ondata di un fenomeno che in Rete va avanti da mesi e che vede nel suo sito non ufficiale la punta di un movimento sicuramente favorevole nei suoi confronti, ma dalle caratteristiche opprimenti: per una teenager, un conto è ricevere le battutine spinte dei propri compagni liceali, dall’altro diventare icona sexy di migliaia di persone in tutto il mondo, nonostante non si sia fatto nulla per raggiungere questo obiettivo. Nessun filmino osé, nessuna foto erotica, un look tutto sommato nemmeno molto provocante: eppure i navigatori, da quelli statunitensi a quelli europei passando persino dai sudafricani, si sprecano nel descrivere cosa desidererebbero fare alla studentessa, appena maggiorenne.

Non è questo il luogo per esprimere un giudizio etico su tali desideri, ovviamente. Ciò che colpisce, ancora una volta, è il flusso mediatico come volano delle ascese (e delle cadute) di personaggi celebri, grazie ad un mix micidiale di Rete e media tradizionali. Ha correttamente notato Chad Goodman nelle scorse ore: la Rete è stracolma di riferimenti a Allison Stokke, ma milioni di persone, navigatori compresi, ne ignoravano del tutto l’esistenza; ora, grazie ad un articolo su un quotidiano prestigioso ed al relativo rimbalzo tra le maggiori testate del Mondo, tutti noi impariamo a conoscere questa ennesima figura che grazie al Web è “nata dal basso” ed è evidentemente destinata a futuri successi di pubblico e critica. Nascita dal basso che, nota Goodman, potrebbe essere più legata ai media mainstream di quanto si pensi: persino la pubblicazione iniziale della famigerata foto sarebbe successiva a quella avvenuta su un quotidiano locale.

Succedeva, lentamente, prima del Web: si creavano miti, si svolgevano riti, ma non c’erano i siti. Ora i tipi (e soprattutto le tipe) da copertina hanno una gestazione più veloce e soprattutto vengono da campi diversi: il pubblico desiderio non è più quello legato a cinema e spettacolo in genere, ma anche a personaggi dello sport, della cronaca, persino della politica. La Rete crea il substrato, omogeneizza le informazioni disponibili e le moltiplica; i media tradizionali prendono gli spunti, li pianificano e li mettono in circolazione. L’effetto volano del Web a quel punto fa il resto, contribuendo ad aumentare la notorietà e l'”appetibilità” del soggetto in questione. Non è difficile immaginare orde di markettari attratti dall’idea di mettere le zampe su questo magnifico flusso di pubblicità gratuita: attenzione, però, alla forza di attrito legata alla velocità del flusso. Le zampe, è facile bruciarsele.

Spotanatomy è il migliore Junior Marketing Blog del 2007

Il tabellone finale dei Marketing Blog Playoffs 2007Quando ad inizio aprile i Marketing blog Playoffs 2007 erano stati lanciati, l’idea sembrava innovativa, ma soprattutto divertente: un passatempo per i lettori, una sfida per i giurati, un tentativo di farsi notare da parte di quasi una quarantina di blogger. Col tempo, però, in oltre un mese e mezzo di selezioni progressive, il gioco è diventato serio ed impegnativo: mano a mano che le votazioni progredivano, i blogger si impegnavano nel mantenere i propri blog aggiornati ed interessanti; i giurati, invece, sudavano e basta. Scelte difficili, una dopo l’altra: in fin dei conti, i blog di qualità erano tanti e meritevoli di attenzione anche da parte dei non “addetti ai lavori”. Oggi, finalmente, la classifica finale:

  1. Spotanatomy,
  2. doubleBBlog,
  3. MarketingArena.

Un bel podio, senza dubbio, che riassume un po’ tutte le tipologie di blog partecipanti: Spotanatomy è un blog collettivo edito da professionisti, doubleBBlog è un blog individuale di un pubblicitario, MarketingArena è opera di un gruppo di brillanti studenti. Combinando queste caratteristiche, si può ricostruire l’insieme della realtà degli Junior Marketing Blog partecipanti alla competizione: “junior” solo nell’anzianità in Rete, ma per la maggior parte decisamente maturi nella qualità degli interventi. Blog che vengono tenuti aggiornati con particolare attenzione qualitativa e con un saggio dosaggio delle quantità: il record assoluto, comunque, è nelle mani di Spotanatomy, il cui ritmo di aggiornamento è decisamente elevato, anche rispetto a blog non specialistici come quelli che hanno partecipato ai Marketing blog Playoffs 2007. Merito della vittoria, forse, va anche a questa caratteristica.

Speriamo che nel futuro questa piccola grande comunità di interessi possa consolidarsi e dare il via ad altre iniziative affascinanti come questa: il ringraziamento per averla ideata e l’invito a tirare fuori altre meraviglie dal suo cappello vanno a Gianluca, che di questa comunità mostra di essere sempre il fulcro e l’ispiratore. Non poteva che essere sua anche l’idea del bell’incontro di domani, il MKTG Barbecuecamp, che si terrà nella campagna lombarda: un incontro di markettari e consulenti un po’ folli, ma innamorati del mondo della comunicazione. Niente PC, niente wi-fi e niente protagonismi tipici dei BarCamp italici: finalmente, un incontro tra amici appassionati e non sovraeccitati.

Quella volta che Miss Padania vendette l’anima

Leggere gli impietosi commenti sulla finale di Miss Padania, tenutasi dal vivo sabato sera e trasmessa in un’interminabile differita domenica notte su Rete 4, fa sorgere qualche dubbio sull’effettivo successo della manifestazione. Di per sé è già difficile provare simpatia per gli ideali razzisti dei leghisti più esagitati: fino a qualche anno fa, però, il concorso Miss Padania destava una certa simpatia derivante dal suo essere la punta kitsch del movimento, una sorta di parata di bizzarre donne nordiche non esattamente corrispondenti agli ideali di bellezza comunemente condivisi. Era un modo come un altro per far parlare del movimento del Nord attaverso codici per quei tempi innovativi.

Allora come oggi, Bossi ed i suoi soci hanno considerato quest’occasione per esternare le proprie posizioni sulla politica nazionale. La differenza principale, però, è che un tempo la manifestazione aveva una dimensione locale e gli sponsor erano i macellai della zona; oggi, si tratta di un improbabile show trasmesso su una rete televisiva nazionale, scandito nei suoi tempi per divenire un prodotto televisivo prima che un evento fine a sé stesso. Questa mutazione genetica ha fatto sì che un tempo la platea fosse formata dai notabili leghistoidi della zona, mentre ora in prima fila stanno i vip e dietro di loro, idealmente, oltre 500.000 spettatori televisivi.

Tutti con il fascino per l’orrido, si direbbe, visto il programma della serata:: un concentrato di ospiti surreali come Edoardo Raspelli o Mariangela (la lagnosa cantante tormentone di qualche mese fa) coordinati da presentatori riciclati tipo Marco Balestri e DJ Ringo, invitati a regalare 12 (dodici!) fasce alle aspiranti miss “padane” (per modo di dire, visto che arrivavano anche dalle “nordiche” Marche). Modalità di selezione per la fascia più prestigiosa: dei microesami di portamento, cucina, cultura celtica (…), recitazione, canto, ballo tenuti sul palco dalle dodici finaliste sotto l’occhio attento dei “professori”, dei quali si è portati a credere la fede leghista.

Il noiosissimo spettacolo, con le sue punte trash, ha segnato un po’ la svolta per la comunicazione politica del movimento leghista, che ha strategicamente tenuto la manifestazione durante la campagna elettorale per le amministrative prossime venture. Venduta l’anima più grezza (e più radicata nei ceti medio-bassi), il movimento che sogna la Padania libera, ha dovuto indossare il vestito elegante del PalaSharp per finire su un canale televisivo connivente, ma nazionale. Bisognerebbe capire cosa ne pensi la base: che il movimento avesse perso la sua identità già da tempo era evidente, ma a questo punto non è né carne né pesce. In attesa che anche la prossima Miss Padania finisca a La Pupa e il Secchione come la precedente…

Un po’ di rabbia tecnologica

Il logo dell'iniziativa di QuintarelliIl logo a sinistra desta simpatia, ma in realtà è uno dei messaggi più seri che negli ultimi anni la variegata Rete italiana abbia cercato di inviare al mondo politico: vista la complessità dell’argomento, non siamo al livello di coinvolgimento visto negli scorsi mesi a proposito dell’abolizione dei costi di ricarica per i cellulari; eppure, chi ha a cuore il futuro sviluppo economico del nostro Paese, ha iniziato ad alzare la voce. L’iniziativa è partita da Stefano Quintarelli, che di reti e Rete se ne intende parecchio: l’idea è creare un movimento d’opinione a favore degli investimenti in fibra ottica rispetto alla tecnologia xDSL. Finalmente un protagonista del mondo delle TLC italiane ha il coraggio di dichiarare ciò che molti di noi pensano da tempo: si tratta di canali diversi, non confondibili, ma soprattutto dalle potenzialità diverse e con prospettive temporali ed evolutive che devono essere comprese sino in fondo.

Già un paio di anni fa, ci si lamentava dell’equazione ADSL=banda larga. Molti navigatori, come si è detto, stanno aderendo all’iniziativa.Sono quelli che pensano che quando i governi esaltano “la diffusione della banda larga” riferendosi alle ADSL casalinghe, ci si debba seriamente preoccupare per la scarsa vision dimostrata: è come dire “Abbiamo un’ottima flotta di aeromobili” e scoprire che in realtà il 95% di quelli che pensavamo essere aerei sono in realtà degli aerostati. I quali, indubbiamente, possono anche portare delle persone e sicuramente si librano nell’aria: peccato che, però, per affrontare il futuro, non solo serva una vera flotta di aerei, ma deve anche esserne considerate con correttezza la loro potenza e portata.

Fuor di metafora: indubbiamente si può andare avanti illudendosi che se Abbatantuono guarda la TV via Alice ADSL, il “futuro” sia già nelle nostre case, finiamola però di dire che si stia parlando di banda larga. È una significativa evoluzione rispetto alla connessione analogica via doppino telefonico, ma non è sufficientemente stabile e potente per garantire un adeguato supporto alle nuove applicazioni digitali. Non è un caso che nei nuovi programmi elettorali i candidati più smart includano un ampio supporto allo sviluppo della banda larga: verrà un giorno, si spera, in cui l’accesso alla Rete verrà ritenuto se non vitale come l’energia elettrica, quantomeno “necessario” come sembra essere la televisione analogica, abitualmente distribuita da numerose antennone cancerogene installate sulle nostre montagne.

Il problema è che se un tempo potevamo rimanere con la televisione in bianco e nero mentre il mondo ormai era dedito al colore, oggi siamo troppo legati gli uni agli altri per rimanere indietro sulle evoluzioni tecnologiche fondamentali. Verrà sicuramente un giorno in cui all’estero le NGN, le reti di prossima generazione, saranno diffuse in maniera tale da dare un’ulteriore spinta verso quella che un tempo era “l’informatica ubiqua” ed ora è sempre più IL modo di intendere il mondo della comunicazione e dell’informazione. A quel punto, però, ci troveremo dalla parte sbagliata del digital divide: già ora si fa fatica, con le nostre connessioni sbrindellate, ad inseguire molte applicazioni sviluppate oltreoceano; figurarsi quando tutto il mondo viaggerà sui nuovi binari e noi saremo impiccati a doppio filo con i nostri cavi di rame.

Sia lode a Mediaset (strano)

Dopo mesi di promozione incrociata, finalmente sbarca su Italia 1 il telefilm Ugly Betty. Si tratta di una serie divertente e soprattutto ironica, prodotta da Salma Hayek, compagna di Francois-Henri Pinault e quindi milionaria europea ad honorem. I suoi soldi la Signora Salma li ha spesi negli Stati Uniti, visto che la serie parla della realtà aziendale nord-americana alle prese con le discriminazioni verso i latino-americani. Betty è brutta ma buona, imbranata ma intelligente: è un po’ il prototipo di quelle ragazzine da film aggiustate malissimo che, dopo un’opportuno rifacimento di immagine, diventano top model. La differenza è che Betty continua a restare dolcemente mostruosa ad oltranza.

Non è la messa in onda di Ugly Betty, tuttavia, la notizia che fa esprimere plauso e stima (e basta, non esageriamo) al management Mediaset: è piuttosto l’acquisizione della maggioranza, primo passo verso un controllo al 100% con contestuale delisting del titolo, della rinomata Endemol. Sì, proprio lei, la casa di produzione del Grande Fratello e di tutti i suoi fratelli,  la fucina creativa delle trasmissioni più amate nel mondo ed in Europa in primis. Una società che negli anni della bolla da new economy era finita ingiustificatamente nell’orbita Telefonica ed ora torna ad essere controllata da un player del suo mercato originale, già integrato a monte con il mondo delle concessionarie di pubblicità.

I più cattivi ricorderanno il legame tra Aran Endemol (la versione storica in Italia della fabbrica dei format) con la famiglia Craxi e le querelle politiche che erano scaturite a proposito dell’uso della società come clava nei confronti dei nemici politici di Berlusconi. Qui su .commEurope regna la bontà come nel Mulino Bianco e perciò si dimenticano i risvolti della solita politica italiana, che sicuramente prenderà di mira la vicenda. Meglio concentrarsi sul valore industriale dell’acquisizione e sul nuovo ruolo che Mediaset potrà svolgere a livello europeo e non: a partire dall’Italia, dove la principale cliente di Endemol è probabilmente la Rai (vedi Affari tuoi), cioè la società che dovrebbe rappresentare la concorrenza a Mediaset stessa.

Discorso simile, tra l’altro, vale in altre nazioni dove il Biscione è presente (vedi Spagna): acquisendo un importante attore del mercato, si aumenta la verticalizzazione e si privilegia un investimento sensato ed in linea con lo sviluppo del Gruppo, piuttosto che tentare nuovi excursus in terreni minati (cfr. le disastrose esperienze di Jumpy o Pagine Utili). L’importante è che Mediaset lasci correre la fantasia degli autori Endemol a briglie sciolte: perderà qualche progetto Rai in Italia, ma potrà aumentare sensibilmente la sua rilevanza nel mondo dei media internazionali. Ed in Italia, magari, si aprirà qualche spiraglio in più per la concorrenza, tanto per uscire dal solito giochino a tre Endemol vs. Einstein vs. Magnolia.

Il Sole 24 Ore alle grandi manovre

Gira ormai da qualche giorno la notizia che Il Sole 24 Ore, tra un progetto di quotazione in Borsa e qualche altra iniziativa editoriale fuori dal core business (vengono in mente i prodotti “turistici” degli ultimi tempi), intenda anche imbastire una faraonica piattaforma di “blog d’autore”, con una previsione iniziale di 100 blog specialistici. C’è chi nota che il numero sia un po’ alto, chi si candida come autore e chi indice concorsi per definire i possibili dettagli dell’operazione: com’era prevedibile, la notizia non poteva passare inosservata per una questione di quantità prevista e di qualità attesa. Qualità, in particolare, che dev’essere veramente alta: il quotidiano non può rovinare la propria immagine per qualche “pensirerino” poco consono.

L’iniziativa, d’altronde, avrebbe sicuramente il vantaggio di avvicinare alle iniziative dell’editore un pubblico più eterogeneo; tuttavia, non è difficile immaginare che i primi lettori arriveranno direttamente dalle pagine del quotidiano e saranno lettori tradizionali: liberi professionisti, professional aziendali ed altri membri del variegato mondo aziendale e finanziario. Dal punto di vista editoriale, l’idea non suona affatto malvagia: i blog di un consulente del lavoro o di un fiscalista appariranno irrimediabilmente noiosi per il pubblico tecnofilo di Nòva, ma potranno attrarre verso le mirabolanti spiagge del Web 2.0 anche gente che, in azienda, naviga decisamente poco.

Sarebbe carino, però, capire il business model dell’iniziativa: se di blog veramente specialistici e di qualità si tratta, perché non prevedere forme di abbonamento ai contenuti? La proposta appare provocatoria rispetto alla filosofia in voga in questi anni, ma potrebbe segnare un punto a favore della sostenibilità del piano: se si tratta di far spendere tempo a preziosi professionisti del diritto o della finanza, è bene che gli stessi vengano retribuiti, magari in funzione delle sottoscrizioni del singolo blog. Non si vorrà, si spera, seguire la logica un po’ ridicolizzante di alcuni circuiti di nanopublishing: concedere agli autori una microparte dei microricavi derivanti dalle microinserzioni pubblicitarie dell’AdSense di turno.

Non si tratta, si badi bene, di rendere quella del blogger una professione: al contrario, si tratta di fare entrare le professioni nel mondo delle opinioni condivise e di qualità. Sarà forse un peccato che in un modello simile le informazioni non possano, per ovvi motivi, essere aggregate su Technorati e dintorni: ma si tratta di un “pedaggio” a favore di iniziative che devono durare nel tempo per costituire riferimenti affidabili. Abbiamo già visto morire iniziative mirabili come NetManager per la solita miopia di imprenditori improvvisatisi editori, desiderosi solo di inserire banner e link pubblicitari ad ogni angolo di pagina: se di contenuti professionali stiamo parlando, dobiammo essere professionali anche nell’usufruirne.

Cinema e Web: update 2007

Periodicamente è opportuno verificare l’interazione che esiste tra Cinema e Web: esattamente un anno fa, ad esempio, l’occasione era stata data dal lancio di H2Odio,  il film di Alex Infascelli lanciato dal Gruppo L’Espresso nelle edicole italiane e sul Web, in streaming. Allora i dubbi sul pricing erano più che fondati: frutto della solita paura atavica degli editori nel confronto dell’e-commerce, non avevano alcun confronto plausibile con le esperienze internazionali. Siamo alle solite: gli editori in questi anni si sono mostrai bravi a proporre informazioni, ma imbranati nel vendere servizi (basti provare, sempre per restare in ambito L’Espresso, il costosissimo acquisto di arretrati di opere tramite il Servizio Clienti de La Repubblica). Molto più “sul pezzo”, si direbbe, ISP ed operatori specializzati.

Il logo del servizio Tiscali Movies NowSul Corriere di oggi, è Tiscali a diventare innovatrice di mercato. La sua reincarnazione inglese, infatti, ha lanciato il servizio Tiscali Movies Now, una piattaforma di download di film integrali a basso prezzo: titoli di varia natura (dai bestseller di Woody Allen a misteriosi filmetti inglesi) da scaricare per una manciata di sterline, con un buon margine di scelta nella qualità desiderata. I film possono infatti essere scaricati in un formato adatto ai player portatili, ma anche in qualità VHS ed in qualità DVD: in molti casi, inoltre, è possibile scegliere se noleggiare il film o acquistarne una copia digitale.

Auchan Bergamo offre il noleggio DVD a 1,50 EuroLa piattaforma di Tiscali non sarà innovativissima dal punto di vista tecnologico (il sistema gira grazie allo schema Playforsure di Microsoft ed ai relativi sistemi di rights management), ma è un buon segnale per il mercato home video europeo. Le catene di noleggio tradizionali sono già state messe in crisi da TV satellitari ed ipermercati (persino in Italia è possibile noleggiare le ultime novità a 1,90 Euro al giorno): speriamo trovino nuovi stimoli da questa sfida lanciata dalla Rete, solitamente temuta come foriera di illegalità tramite il download non autorizzato dei film.

Il mondo della televisione ha già capito che i video su Internet non sono solo quelli di YouTube e corre a creare marketplace per gli affezionati. Il Cinema è un po’ più timoroso e per ora vede la Rete soprattutto come uno strumento di marketing ed informazione sui propri prodotti: è ormai abitudine produrre un sito per ogni film distribuito, con tanto di blog a raccontare l’avanzamento della produzione (bisognerebbe capire in cosa sarebbe “blog” quello di Shkrek III, però). Peccato che di solito queste iniziative svengono dopo il termine delle proiezioni, rinascono per l’uscita in home video e muoiono definitivamente poche settimane dopo.

La febbre delle foto

Ad inizio marzo la stampa alternativa pone l’accento su una vicenda da un lato bizzarra, dall’altro decisamente negativa: la versione cartacea de Il Corriere della Sera qualche mese prima ha pubblicato un articolo su Guantanamo allegano un’immagine tratta dalla locandina di un film invece che un’immagine reale dell’infermo americano. Tanto scalpore, niente scuse ufficiali ed un messaggio del presidente dell’Ordine dei Giornalisti al free-lance della serie “tutti possiamo sbagliare”. A dire della redazione, la colpa sembrerebbe da attribuire ad un’erronea ricerca su una banca dati fotografica commerciale.

Primo d’aprile: Luca Zappa, un blogger con la passione della fotografia, scopre che una delle sue foto è stata pubblicata nell’ambito di una delle mille categorie gallerie pubblicate ogni giorno dai principali quotidiani on line, Repubblica.it in questo caso. La sua denuncia non rimane isolata: poche ore dopo, su Flickr, persone di tutto il mondo iniziano a discutere i furti delle proprie immagini da parte dei quotidiani italiani. Il buon Pandemia avvia il dibattito su questa pessima abitudine e piano piano tutti i maggiori blogger italiani hanno iniziato ad inveire contro lo scarso (anzi, nullo) rispetto dei diritti da parte di Repubblica.it, che negli stessi giorni ha avuto il coraggio di esaltare i propri record di traffico.

Il risultato del Pandemonio sembrava essere di segno positivo: Repubblica.it aveva iniziato a pubblicare forme primordiali di riferimento all’autore delle foto, pur continuando ad ignorare le caratteristiche delle licenze pubblicate su Flickr e su altri siti simili, vero e proprio serbatoio di foto a costo zero per i quotidiani. Non solo di quelli on line, però: è proprio di ieri la “denuncia” di Macubu, un blogger genovese, rivolta a La Repubblica cartacea, edizione genovese. Il quotidiano ha infatti pubblicato una sua bella foto, senza citare i riferimenti all’autore che, se non altro per quanto riguarda la stampa cartacea, è espressamente previsto dalla Legge. Nel frattempo, passata la burrasca, anche i credits sono (ri)scomparsi dalle gallerie della versione digitale, ormai sempre più spesso “blindate” in Flash.

Sia detto che la cattiva abitudine, in realtà, non è solo quella del Gruppo L’Espresso: poche ore fa anche Corriere.it ha dovuto pubblicamente scusarsi per aver rubato una foto dal sito di una blogger. Per aggiungere torto su torto, l’immagine è anche stata usata in un pessimo contesto: si trattava infatti di un articolo su una hostess dedita alla prostituzione. Se teniamo questo ritmo, prossimamente ogni articolo, dal giallo di Cogne al dibattito politico internazionale, sarà accompagnato dalla foto (ottenuta senza rispettare la licenza, ovviamente) di un blogger: possibilmente, super-decontestualizzta e magari scelta a casaccio. Tanto è gratis!