Franco Carlini: addio ad un maestro

Chiunque si sia occupato di ricerca scientifica su comunità virtuali, vita in Rete, fenomeni e tendenze del Web durante gli anni Novanta, ricorderà un numero limitato di fonti attendibili. Oltreoceano regnavano gli autori che poi sono diventati i classici del genere (Howard Rheingold, Allucquére Rosanne Stone, Sherry Turkle, Jaron Lanier e pochi altri); in Europa si faceva decisamente fatica a trovare autori affidabili, preparati, indipendenti. La febbre montante stava d’altronde rapidamente corrompendo professori universitari e consulenti tradizionali: tutti occupati a spergiurare in favore di dot-com da quotare.

In Italia, lentamente, si creò un piccolo gruppo di riferimento. Sui quotidiani, il primo a raccontare di reti civiche e storie di Rete fu Beppe Caravita: ogni suo articolo era una piccola oasi per chi veniva divorato dalla curiosità verso questi lidi per i tempi ancora relativamente nuovi. Ma la ricerca ha bisogno di libri per essere ritenuta credibile: Franco Carlini, Fabio Metitieri, Mafe De Baggis e pochissimi altri riuscirono a razionalizzare la loro esperienza in Rete e dare avvio ad una mai abbastanza ampia serie di testi utili per segnalare all’Accademia l’importanza di virtualità e dintorni, oltre l’hype del periodo.

È stata una strana (ed affascinante) sensazione, in questi anni, scoprire che Mafe non fosse una cariatide da Ateneo ma una giovane sciura disponibile a raccontarsi sul suo blog; che Metitieri non fosse uno scrittore irragiungibile ma un lettore disposto a leggere e commentare i blog più famosi come tutti gli altri utenti; che Franco fosse al tempo stesso l’ideatore di iniziative folli come Trash.it e contemporaneamente, continuando a scrivere su Corriere della Sera e Manifesto, il signore dietro progetti aziendali come Tel&Co.

Oggi tutti piangiamo la morte di quest’ultimo personaggio. Tutti, compresi quelli che negli ultimi anni lo hanno letteralmente distrutto ogni volta che nei suoi articoli cercava di moderare gli entusiasmi a proposito delle tendenze del Web. Lo piangono giornalisti come Zambardino e blogger come Mantellini: qui su .commEurope lo si ricorda con uno degli ultimissimi editoriali, in cui come al solito esprimeva una posizione poco popolare, ma chiara e distinta. Chi l’ha criticato così tanto in questi anni (basti guardare i trackback all’articolo di Mauro Lupi su Carlini pubblicato lo scorso marzo) ed ora si atteggia a prefica, invece, il ricordo non lo merita proprio: meglio dimenticare.

Il metro-tram-bus di Padova e le aberrazioni della politica locale

Esiste una storia, una di quelle che per i lettori italiani hanno un po’ il sapore agro dei deliziosi articoli di GianAntonio Stella e per i cittadini locali rappresenta un incubo quotidiano e basta, che è nata come involontario caso di studio sulle aberrazioni della comunicazione politica ed è finita per causare l’invalidità permanente di diversi giovani. Si tratta delle vicende del metrotram di Padova, dai cittadini conosciuto semplicemente come tram, nel tempo rinominato dai politici metrobus e dai tecnici SIR1. Qui ovviamente ci si concentra sugli insegnamenti che le disavventure del mezzo pubblico patavino fanno trarre a chi si appresta a lanciarsi nell’agone elettorale e sta preparando il proprio piano di comunicazione politica.

La storia iniziò quasi venti anni fa, all’inizio degli anni Novanta. La variegata giunta comunale del tempo, guidata dal sindaco Giaretta, ebbe un’illuminazione urbanistica: per risolvere l’angosciante montata del traffico d’affari (e non) derivante dall’hinterland ed accentuato dalle decine di migliaia di turisti e studenti quotidianamente attratti dallo spiccato profilo culturale della città, era necessario riformare i sistemi dei mezzi pubblici. Venne varato un Piano Urbano del Traffico che focalizzava gli sforzi intorno ad un sistema di tram ad alta capacità, guardando alle esperienze vincenti delle maggiori città d’Europa che effettivamente, negli anni successivi, hanno seguito strade simili.

Vero e proprio paladino del mezzo era il giovane Flavio Zanonato, proveniente dal centrosinistra e con una crescente esperienza nel settore dei lavori pubblici; con le sue nomine a sindaco nelle successive tornate elettorali, il piano sembrò spiccare il volo verso la metà degli anni Novanta. Vennero rastrellati ampi fondi a livello nazionale e si aprì un ampio dibattito interno alla città: nonostante l’incessante comunicazione pubblica cercasse di spiegare i vantaggi del mezzo unico rispetto all’attuale sistema di autobus comunali, ampie frange dell’opinione pubblica temevano un impatto negativo sul delicato equilibrio architettonico cittadino (basti dire che i principiali viali del centro storico sono costruiti intersecando antichi ponti romani).

Nella successiva competizione elettorale, nel 1999, il metrotram non poteva che diventare il principale oggetto del contendere tra il sindaco uscente e la rampante Giustina Destro, rappresentante dell’area berlusconiana del centrodestra veneto. Fu proprio quest’ultima ad esacerbare lo scontro sull’argomento ed a trasformarlo nel punto a favore della sua elezione: con appena un migliaio di voti di scarto, la vittoria della Destro fu quella del movimento trasversale del partito “No tram” più che del centrodestra. Le arti della comunicazione politica erano state usate più che sapientemente nel mobilitare il malumore diffuso rispetto ad un progetto che da marginale era diventato cruciale nel dibattito pubblico cittadino.

Il vero colpo di scena della vicenda si ebbe pochi mesi dopo: pur di non perdere svariate decine di milioni di Euro stanziati dallo Stato, la Destro tirò fuori dal cassetto un progetto “innovativo”: il metrobus. Si trattava di un’iniziativa dalle impressionanti similitudini con quello tanto vessato precedentemente: l’unica innovazione sembrò essere nel mezzo di trasporto, una sorta di treno leggero su gomma più che il tram tutto sommato tradizionale di Zanonato. La maggiore differenza stava soprattutto nella capacità: il progetto della giunta precedente arrivava a garantire circa 100.000 persone trasportate al giorno, mentre la nuova struttura fu pensata per meno di un quinto. La macchina della comunicazione pubblica ricominciò a pompare entusiasmo sulla nuova iniziativa, tra la perplessità generalizzata della popolazione, in primis dei sostenitori della sindaca.

I lavori partirono grazie ad un appalto abbastanza “guidato”, gestito dall’Azienda Padova Servizi: il Ministero dei Trasporti, tuttavia, sollevò circa una trentina di obiezioni al progetto della Lohr, azienda francese capofila del Consorzio Mantegna. Le osservazioni statali vertevano soprattutto sull’eccessivo grado di innovazione del progetto: il tanto agognato mezzo leggero non aveva precedenti al mondo. I francesi rassicurarono le controparti e la città subì anni di lavori per la posa della via guidata, cioè la rotaia unica che guida il mezzo, oltre che per la costruzione di ponti ed altre strutture necessarie ad accogliere il percorso da nord a sud della città. In questa fase che iniziarono i problemi seri per la popolazione: alcuni cittadini avevano subito incidenti gravi incappando nella rotaia o nei lavori. Presto si formò un Comitato vittime Metrobus di Padova, per gridare al mondo le brutte vicende tempo per tempo correlate con il nuovo mezzo.

Tanta agitazione implicò un nuovo coinvolgimento del metrobus nella successiva tornata elettorale: arriviamo al 2004 e l’Amministrazione Destro, incredibile a dirsi, punta maggior parte della propria campagna elettorale sulla fine dei tanto odiati lavori. Viene lanciata la campagna di comunicazione “Pronti si parte” mentre il contendente, alias il “solito” Zanonato, svolge il ruolo che cinque anni fa aveva svolto la sua contendente: dichiara che ovviamente porterà a termine il progetto, ma viste le ampie riserve sull’iniziativa Destro, ci penserà due volte prima di costruire ampliamenti al sistema. La sindaca fa culminare la sua campagna pubblica-elettorale-politica con un colpo di genio: invita il Presidente del Consiglio in carica, Silvio Berlusconi, all’inaugurazione del mezzo pubblico.

L’immagine di Berlusconi alla guida del metrobus in mezzo ad una città dal traffico impazzito non aiuta la campagna per la rielezione della Destro: il tram non riesce ad effettuare il collaudo sulle strade delle città ed è costretto a tornare alla casa madre di Strasburgo, mentre Zanonato riconquista la sua vecchia poltrona con ampio margine. Il resto è storia di questi mesi: il tram è entrato realmente in funzione nel 2007, quasi tre anni dopo l’inaugurazione “elettorale” del 2004. Gli incidenti segnalati dal Comitato aumentano verginosamente ed il metrotram, in servizio sull’asse principale della Città del Santo, ha il brutto vizio di deragliare nei tempi e nei luoghi meno opportuni. L’Amministrazione non osa togliere di mezzo gli autobus tradizionali, perciò il mezzo unico accresce il caos invece di contribuire a diminuirlo.

I padovani, di centrosinistra o di centrodestra, hanno imparato tante lezioni da questa annosa vicenda di cattiva comunicazione politica mischiata a pessima amministrazione pubblica: la città è profondamente cambiata nell’aspetto e nella cultura dominante, ormai decisamente più variegata di quella monocolore (bianco) di un tempo. Ciò che sfugge a loro e che lascia perplessi anche noi che leggiamo di queste vicende interpretandole come un caso di studio, è il perché tutto ciò sia successo: c’era bisogno di questa girandola di cambiamenti di posizione, campagne elettorali al vetriolo e comunicazioni pubbliche esagitate? Il traffico è rimasto quello di sempre, con i pedoni a litigare con i ciclisti intenti a litigare con gli automobilisti propensi a litigare con gli autobus: c’è un serpentone metallico in più a cercare di farsi strada ed a litigare con tutti gli altri, ma le persone che lo usano sono veramente poche.

OK, Veronesi prima di tutto

Arriva il relax di agosto e ci si ritrova a fare cose strane: ad esempio a comprare riviste, da leggere in panciolle, che mai si sarebbe pensato di comprare in tempi normali. Per chi non è particolarmente interessato alle tematiche legate a salute e dintorni, OK – La salute prima di tutto rientra in questo mercato di “curiosità in edicola”. Il segreto, da parte della redazione, sta nel proporre copertine attraenti al primo sguardo: il progetto editoriale della rivista, d’altronde, risponde a questa esigenza ogni mese, piazzando un personaggio noto in copertina a testimoniare le proprie vicessitudini sanitarie.

La copertina del numero di agosto 2007 di OK - La salute prima di tuttoPer rendere attraente il numero di agosto, la scelta non poteva che ricadere che su un mito nazional-popolare del calibro di Claudio Baglioni, chiamato a raccontarci le sue sventure in campo ortottico. Con un trucco, però: sotto al suo viso in caratteri cubitali viene pubblicizzato il servizio principale del numero, non correlato con l’esperienza del cantante, che spiega perché le storie d’amore finiscono soprattutto in agosto. E si sa, il binomio Baglioni & amore è un grande bestseller italiano. Anche altri grandissimi personaggi del calibro di Jo Squillo o Valerio Massimo Manfredi con le relative malattie portano il loro contributo alla rivista.

Lo spirito ecumenico della rivista viene svelato dagli altri articoli segnalati in copertina: tra tutti spicca quello che promette di svelare il mistero della notevole attrazione che le transessuali esercitano su uomini tradizionalmente eterosessuali. Servizio che, per inciso, è di pessima fattura, visto che ricorre alla banale (ed erronea) distinzione per cui i travestiti sono uomini che si sollazzano a vestirsi da donna e le trans ex-uomini che hanno cambiato organi genitali. Al di là di questo argomento specifico, comunque, l’attenzione per sesso e dintorni è a livelli sospetti: basta dare un occhio al sommario in Pdf disponibile sul sito per notare articoli del tipo «Può far male astenersi dal sesso?», «Via l’utero, ma il piacere non si tocca»,  «No al sesso orale, c’è il papilloma virus».

Da notare che sul sito non ci sono solo le immagini della copertina o del sondaggio: vengono pubblicati anche l’articolo di copertina, molti degli altri testi pubblicati sulla versione cartacea e contenuti aggiuntivi. Sorge il dubbio del perché si debbano spendere 2,20 Euro per testi non del tutto imperdibili, che si trovano in Rete gratis. In misura di un’elemosina di 10 centesimi per copia, il giornale gode dell’egida di quel santo uomo che risponde al nome di Umberto Veronesi cerca di dare dignità persino ad articoli che parlano di psicofisiognomica (…), con boxettini-foglia-di-fico in cui l’omonima fondazione, garante della scientificità della rivista, approva la pubblicazione degli stessi solo nei termini di “gioco dell’estate”. Si tratta sicuramente di un modo come un altro per finanziare la bistrattata ricerca scientifica italiana, ma quanta fatica…

Mattel, una ecatombe che si poteva evitare

La storiaccia della Mattel, che in questi giorni di scarse notizie è diventato il principale tormentone mediatico, sembra tratta da uno dei quei simpatici libri che, scritti per i manager alle prese con il crisis management, diventano testi di culto per gli studenti di Relazioni pubbliche. Diventerà un caso di scuola: agli occhi dei consumatori, ha tutte le caratteristiche per rimanere come ferita inguaribile sull’azienda dell’asteriscone rosso e presenta molti spunti di riflessione per chi si occupa di marketing, di produzione industriale, di comunicazione e persino di macroeconomia, viste le prese di posizione politiche che stanno emergendo in queste ore.

L’ultimo stillicidio mediatico che si ricordi nel campo dell’entertainment fu la saga del rootkit di Sony, un paio di anni fa: nulla in confronto all’ecatombe cui stiamo assistendo in questi giorni. In quel caso, infatti, i clienti finali erano un target meno delicato di quello attuale: ora si parla di giocattoli destinati ai bambini, perciò l’attenzione collettiva è amplificata e moltiplicata. Attenzione che, tuttavia, non sempre viene orientata in maniera corretta: i media parlano a ripetizione del problema della vernice contenente piombo, ma se si osservano le scilinguate liste ufficiali della Mattel, ci si rende conto che il 99% dei ritiri è in realtà legato al problema dei piccoli magneti ed il ritiro a causa della vernice tossica riguarda una sola referenza (l’ormai onnipresente personaggio del film Cars). Allo stesso modo, è facile notare che si continui a tirare in mezzo Barbie, nonostante solo un modello del tutto marginale della celebre bambola bionda è interessato dal ritiro.

La Mattel ed i suoi fornitori cinesi stanno ora sottoponendosi al calvario rituale, fatto di scuse, numeri verdi, videomessaggi lacrimosi e lettere aperte di manager-padri di famiglia. I politici europei, come quelli cinesi, promettono indagini approfondite e lanciano strali contro il primo produttore al mondo di giocattoli. I consumatori gridano vendetta e si chiedono (giustamente) come mai i giocattoli oggetto del ritiro avessero comunque i loghi di sicurezza previsti dalla normativa comunitaria. E pensare che tutto è iniziato due giorni fa con una presa di posizione troppo netta da parte di Mattel Italia: «i prodotti incriminati non sono mai stati distribuiti nel nostro Paese».

Gestita male la partenza della vicenda, Mattel è stata travolta nel nostro Paese come nel resto del Mondo. Addirittura, il magma dell’indignazione ha travolto anche aziende del tutto differenti, come Disney (che ha la sola colpa di aver concesso in licenza il famigerato personaggio a Mattel), ma soprattutto come Nokia, che per pura coincidenza negli stessi giorni ha diramato la comunicazione di un cambio gratuito per alcune batterie difettose. I casi di Mattel e Nokia sono stati presentati insieme all’interno di servizi nei telegiornali ed articoli su giornali e Web, nonostante l’obiettiva differenza di gravità dei ritiri e le diverse strategie adottate per rispondervi. C’è poco da fare: quando parte l’ondata dell’indignazione collettiva, fermarla è quasi impossibile. Almeno fin quando non ci saranno notizie più appealing nei flussi delle agenzie…

Un anno di pancakes

È trascorso un anno da quando James Provan, per gli amici Gir2007, ha pubblicato su YouTube “Pancakes!”: da quel momento il video è stato visualizzato oltre 2,2 milioni di volte. Non è il più visto della storia del celebre sito, tuttavia è stato una pietra miliare nell’esplosione di celebrità che YouTube ha vissuto in questi mesi. Si tratta del primo video che ha avuto risonanza mondiale sui media tradizionali: in pochi giorni, infatti, durante la scorsa estate, l’ipnotizzante musichina ha trascinato il video sui maggiori canali televisivi di lingua anglosassone.

Quando il Times ha dedicato un articolo al video un paio di settimane dopo la pubblicazione, la canzoncina in questione era già arrivata al 3° posto della classifica musicale israeliana. Nel frattempo, una serie infinita di post (anche riflessioni in italiano sul suo successo) ne ha decretato il primo posto stabile per la chiave di ricerca “pancakes” in Google, contribuendo ulteriormente al successo del filmato e del suo autore. Il quale ormai viene venerato da molti affezionati utenti della piattaforma, che gli dedicano decine di filmati in cui ne imitano lo stile ed i contenuti.

Gir2007, dopo aver pubblicato diversi altri filmati, ha sancito ufficialmente il suo affetto per la piattaforma con il video “Addicted to YouTube”, realizzato con la raffinata tecnica stop-motion, ottenendo un nuovo successo da 1,6 milioni di contatti. Un caso positivo, insomma, dopo tanti contenuti solo fintamente creati dagli utenti, ma in realtà ripresi da canali televisivi: i contenuti del giovane scozzese vengono apprezzati perché richiedono sforzi immani per essere realizzati (anch’essi documentati in video di backstage) e sono sicuramente più divertenti di molti videoclip musicali mainstream.

Un anno di pancakes ci ha fatto capire che c’è un’attenzione diffusa e non marginale anche per contenuti non prodotti dalle major (motivo di sviluppo del mercato P2P negli anni a cavallo del cambio di millennio) né porno (eterno driver della tecnologia). Per ora i Gir2007 che hanno successo on line sono giovani e felici di ottenere fama, commenti e stelline: sarebbe interessante capire cosa li gratificherà quando si renderanno conto che le grandi piattaforme passano di mano a cifre miliardarie grazie al loro talento.

Anica, AnicaFlash e Coming Soon

Tra tutte le associazioni aderenti a Confindustria, l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, per gli amici Anica, è tra le più vive e promettenti. Sarà per l’effervescenza del settore industriale di appartenenza (principalmente cinema ed indotto), ma Anica svolge bene i suoi compiti istituzionali e spesso espande il proprio ruolo anche ad ambiti inaspettati. Dalla sua fondazione nel Dopoguerra ad oggi, non solo è diventata l’antenna italiana dell’Academy Awards, ma si è anche affermata a livello internazionale come ente leader di molti progetti internazionali.

Anica supporta quotidianamente la aziende socie, in vari modi: promuovendone attivamente le produzioni e le distribuzioni, monitorando la legislazione del settore, promuovendo accordi internazionali, mediando la complessità delle istutizioni europee attraverso MediaDesk Italia. Negli anni, soprattutto la prima attività è riuscita a crearsi credibilità e fiducia presso il grande pubblico: “Appuntamento al cinema” è un’etichetta che ci accompagna da anni e fa spesso capolino nei palinsesti televisivi delle reti Rai. I trailer sono d’altra parte brandelli di cinema e non è un caso che, rispetto agli spot tradizionali, riescano a rappresentare uno spettacolo di per sé.

Proprio su questo assioma si basa il mondo di Coming Soon, costola di AnicaFlash, alias la società che da 30 anni distribuisce le “rubriche cinematografiche” a radio e televisioni private. Coming Soon è il marchio che progressivamente, prima via satellite, poi via digitale terrestre e Web, ha iniziato a rappresentare un vero e proprio faro per gli appassionati di cinema italiano ed internazionale. Se il canale televisivo è riuscito a creare un palinsensto low cost, ma decisamente guardabile, è stata soprattutto la Rete a far decollare l’infotainment cinematografico: oggi il sito istituzionale di Coming Soon è una delle community più attive in questo ambito.

Con il tempo, nuovi strumenti promozionali sono stati partoriti grazie alla flessibilità delle nuove tecnologie ed alla maggiore disponibilità di banda sul Web: l’esempio più eclatante è il box chiamato “Andiamo al Cinema” (ti pareva), che tutti i gestori di blog personali o siti dedicati al mondo del cinema possono inserire sulle proprie pagine, dopo averne fatto formale (…) richiesta a Coming Soon. Le informazioni (ad esempio le sale in cui è possibile vedere il film, per provincia) vengono fornite nel frame stesso e quindi non è necessario lasciare il sito ospitante. In fin dei conti, è carino da guardare e non crea grossi problemi tecnici: così si farà pubblicità ai film in uscita ma non si guadagnerà un centesimo… Ma vuoi mettere la soddisfazione di offrire un servizio così ai propri lettori?