Saluti da Nizza

Un tempo si mandavano le cartoline agli amici, ora si passa un week-end lontano da casa e si scrive un post. Così, senza particolare motivazione, se non aggiornare gli amici di come vanno le cose dall’altra parte del confine di Ventimiglia: in questo caso, di cosa succede a Nizza, città già apparsa in passato su .commEurope se non altro per motivi affettivi, visto che si tratta della città in cui questo blog è nato. Citata, ad esempio, parlando del famoso Carnevale di Nizza, che è un po’ il simbolo dell’animo “markettaro” della perla delle Alpi Marittime, che sa vendere sé stessa e le sue iniziative, le sue spiagge e le sue attività culturali.

Nizza è un posto in cui è piacevole tornare in ogni periodo dell’anno, con motivi e modalità diversi: l’Ufficio del Turismo continua a lavorare in maniera sinergica con le Istituzioni locali, attraendo flussi consistenti e motivati. Le Istituzioni stesse, a loro volta, riescono ad utilizzare questa leva per un’ampia politica di marketing territoriale volta ad attrarre investitori. Nizza è il secondo aeroporto francese e questo ne fa una meta insostituibile per tutte le principali linee aeree internazionali, ma è contemporaneamente facile arrivarvi anche con le compagnie low cost e con i mezzi terrestri.

L’effetto di questo circolo virtuoso tra attrazioni turistiche, mezzi di trasporto e accoglienza di buon livello è consistito nella possibilità di avere due città integrate e coesistenti sullo stesso territorio: una, a vocazione profondamente turistica, è una specie di Rimini con spiagge libere e mare trasparente; l’altra, è una delle capitali economiche del Paese, con la presenza sul territorio di aziende importanti (anche grazie al vicino distretto tecnologico di Sophia Antipolis) e business school prestigiose. Due città che in realtà sono una sola proprio grazie alla loro integrazione intelligente e naturale.

Oggi a Nizza tutti i marchi importanti del Retail e della GDO vogliono avere una vetrina: è facile trovare sulla stessa via catene francesi come FNAC e fast food americani come KFC, ma anche filiali di Banche italiane e boutique di alta moda di tutto il mondo. Il risultato di questa ampia presenza commerciale? Un ulteriore contributo al circolo virtuoso di cui si parlava sopra, quello che garantisce alla soleggiata Nizza di continuare a dominare nelle classifiche turistiche europee. Alla faccia delle città liguri, tristi e sconsolate ad appena qualche decina di kilometri.

Onore ad Antonio Campo Dall’Orto

Se si cerca un manager televisivo europeo che ha conquistato attenzione e meriti sul campo e non grazie ad appoggi politici o industriali, sicuramente Antonio Campo Dall’Orto può rispondere all’appello a testa alta: il golden boy della televisione italiana, nato professionalmente in casa Mediaset (è tra i più noti alumni del Master Publitalia) e noto soprattutto per il lancio di MTV in Italia, è negli anni riuscito a conservare un alto profilo manageriale e contenutistico, riuscendo a sopravvivere anche a vicende “fastidiose” come quella relativa a Luttazzi, che qualche mese fa lo ha pubblicamente indicato come artefice della sospensione improvvisa del suo “Decameron”.

Campo Dall’Orto non è più il giovane brillante che, a 28 anni, era vicedirettore di Canale 5: negli anni si è fatto le ossa affrontando sfide difficili come il recupero e la promozione di La 7, conquistatasi negli anni l’etichetta di televisione di élite sia in termini di qualità dei programmi che di profilo degli spettatori. Un progetto inseguito in modo caparbio e quasi irrazionale, che lo ha portato a rinunciare a possibilità molto importanti e che lo ha reso uno tra i manager più apprezzati della gestione di Marco Tronchetti Provera. Una fiducia che nel tempo si è tradotta col passaggio della responsabilità di MTV a quella di MTV e La 7, fino a quella dell’intera Telecom Italia Media.

Ora il Gruppo Telecom Italia ha cambiato gestione ed è iniziata la danza tipica dello spoils system: Franco Bernabé sta piazzando uomini di fiducia nei ruoli chiave ed evidentemente Dall’Orto gli ricorda troppo il management precedente. La decisione è chiara, ma decisamente criticabile: il manager è stato invitato a presentare dimissioni volontarie e a tornare nella “sua” MTV, a giocare con contenuti e programmi per ragazzini invece che con le sfide globali di un Gruppo che non ha mai voluto scommettere veramente sul mezzo televisivo, preferendo personaggi di dubbio profilo come il famigerato Luca Luciani invece che persone brillanti come il buon manager veneto.

In difesa di Antonio Campo Dall’Orto sono scesi in campo figure importanti per l’industria televisiva come Aldo Grasso, che ha pubblicamente elogiato il percorso professionale e creativo dell’ex-direttore di La 7 e delle sue scoperte. A questo punto, c’è da sperare che qualcuno dei vecchi interlocutori torni alla carica e gli offra il posto di primo piano che merita. Riguardo a La 7, invece, poniamo un fiore sul sarcofago che stanno costruendo intorno a programmi, strutture e prospettive. Abbiamo perso l’occasione di vedere nascere il famoso terzo polo ed a questo punto possiamo stare tranquilli che non lo vedremo per un bel po’ di lustri ancora.

L’uomo sognatore battuto dall’uomo dei sogni

Con un immenso sospiro di sollievo, possiamo definire conclusa la campagna elettorale 2008. Per quanto ancora alcune Amministrazioni Locali siano in balia dei ballottaggi prossimi venturi, la maggior parte dell’elettorato, quello che doveva votare per le Elezioni Politiche italiane, può dirsi fuori da quest’incubo. Una campagna iniziata in maniera sonnolenta che poi ha visto un’improvvisa impennata da parte dei due gruppi principali: da un lato, il Partito Democratico e il suo leader possibilista e sognatore, dall’altro il Popolo della Libertà guidato dall’uomo dei sogni attraverso le sue trovate quotidiane, tipo l’acquisizione “formato famiglia” di Alitalia.

Tutti gli altri 170 e passa movimenti, invece, hanno condotto una campagna elettorale decisamente sotto tono. Pensiamo all’Unione di Centro: un continuo tentativo di porsi come “forza tranquilla” à la Mitterand, mentre nel frattempo compilava liste piene di personaggi mediocri e ben poco “tranquilli”. L’esatto contrario della Sinistra Arcobaleno: candidati di alto profilo, ma tesi a comunicare un clima di allarmismo rispetto alla pur disastrata situazione economico-politica. Poco da raccontare sulle forze minori: continuamente a lamentarsi dello scarso spazio dedicato loro dalle televisioni, con programmi-fotocopia o fuori mercato.

C’è un soggetto politico, però, che ha turbato qualsiasi analisi ex post. Prima delle Elezioni Politiche, abbiamo tutti preso in giro la Lega Nord, i suoi manifesti e il suo profilo “nudo e crudo”; ora, non riusciamo a decostruirne i processi di comunicazione, che risultano incomprensibili ma soprattutto diversissimi rispetto a quelli comuni del resto dei partiti. Non ci riusciamo, forse perché appunto fuori registro: la Lega è il lato pragmatico dell’uomo dei sogni, è il necessario contrappeso a chi gonfia la mongolfiera con le critiche del popolo del Nord, ma non se la sente di fare promesse negative al suo elettorato. Silvio Berlusconi promette di abolire l’ICI? La Lega Nord porta la voce dei comuni, e così via.

Il sognatore per eccellenza, Walter Veltroni, durante la campagna elettorale è partito direttamente con l’aerostato. Ci ha fatto sorridere ed emozionare mentre lo gonfiava grazie all’entusiasmo dei suoi elettori; ci ha fatto soffrire quando un paio di sere fa lo abbiamo visto a raccogliere i frammenti del suo dirigibile bruciacchiato dal sole. Se avesse volato un po’ più basso, forse sarebbe riuscito a mantenere la rotta per i 5 anni canonici: ora ci aspetta una legislatura in mongolfiera, con alti e bassi. Con la differenza che alla guida, rispetto ai viaggi precedenti, l’uomo dei sogni è stanco e poco carico: una copia sbiadita del premier con le corna dei governi precedenti.

Pane al pane, vino al vino

Sembra scritta in un’altra epoca storica, l’analisi di Marketing Routes che, ad inizio aprile, analizzava con eleganza i risultati delle interviste effettuate con i responsabili di alcune aziende vinicole del Nord Est. L’articolo era decisamente scritto “al momento giusto”: stava per aprirsi il Vinitaly e l’attenzione di produttori, esperti e amanti del vino di tutta Europa stava per essere concentrata quasi totalmente verso la famosa manifestazione di Verona. Una bella occasione per ottenere nuovamente il meritato credito sui mercati internazionali da parte di un settore agroalimentare italiano che, negli ultimi mesi, ha avuto pesanti critiche a causa di mozzarelle di bufala alla diossina e dintorni.

Peccato che, poche ore dopo l’articolo di Marketing Routes, sia scoppiata l’ecatombe. Se non erano bastate le polemiche intorno a “Brunellopoli”, percepite forse come troppo settoriali da parte dei clienti finali, la pubblicazione di un eloquente dossier su “Velenitaly” da parte de L’Espresso ha avuto l’effetto di una deflagrazione nell’opinione pubblica italiane ed internazionale. L’incubo del vino al metanolo di metà anni Ottanta e delle sue vittime è balenato nella mente di tutti, compresi coloro che del vino non sono consumatori abituali. L’indagine del magazine, infatti, riguarda soprattutto i vini più modesti, quelli che purtroppo molti consumano senza troppi pensieri, in casa o nei locali pubblici meno qualificati.

Il punto è che il mercato interno del vino, negli anni, è profondamente cambiato. Oggi il vino è l’ottava categoria merceologica della GDO, che vende il 60% dei vini con un prezzo inferiore ai 3 Euro. L’accusa de L’Espresso che alcuni di questi vini (tutt’ora in vendita), siano ricchi di acido solforico, acido muriatico, concimi ed altre orripilanti sostanze, rende piuttosto diffidenti verso l’intero settore; la notizia che anche interi stock di presunto olio extravergine d’oliva, biologico e italiano, venduto da Coop e Conad siano in realtà contenenti liquami provenienti da tutto il mondo, provoca la pelle d’oca anche ai clienti più smaliziati della Grande Distribuzione, che da tutta la vicenda esce di volta in volta come vittima o carnefice, a seconda dei punti di vista.

Ci sono voci discordanti, come quella di Carlo Odello, sul fatto che giornalista ed editore de L’Espresso abbiano scelto tempi e modi corretti per raccontare delle indagini della Magistratura. Ci sono giornalisti, come Enzo Vizzari, che a causa di queste critiche sono stati zittiti. Ci sono esperti del settore, come Antonio Tombolini, che ritengono poco grave la vicenda del vino adulterato rispetto a quella di Brunellopoli. Tutti, però, dovrebbero concordare sui disastrosi risvolti sull’immagine internazionale dell’intero settore: dalle cantine agli enologi, dai distributori ai giornalisti specializzati, tutti hanno contribuito, più o meno implicitamente, a questa situazione ed ora tutti, più o meno esplicitamente, dovranno subirne le ripercussioni. Altro che le mozzarelle: stavolta lo strike colpisce tutti.

Avete bisogno di una poltrona?

Volete passare un pomeriggio alternativo durante un (finalmente) tiepido week-end di aprile? Dedicatelo ad accompagnare un familiare in Via Angelo Maj a Bergamo alla ricerca di una poltrona: un’esperienza divertente da vivere in un luogo bizzarro. Via Maj, nel pieno centro storico di Bergamo bassa, presenta infatti una particolarità: tra un isolato e l’altro, si rincorrono quasi una decina di negozi di divani, poltrone e materassi. Una specie di distretto industriale in versione commerciale: i nuovi negozi continuano ad aprire in quella zona, perché evidentemente sperano in raid come questo, in cui viene spontaneo dare una chance a tutti i negozi, indipendentemente dal loro nome più o meno famoso.

In Via Maj, d’altronde, c’è un po’ di tutto: dall'”antenna” del grande mobilificio di provincia al notissimo Divani & Divani, dalla catena simil-outlet Manifattura Italiana Divani all’elegante Nicoletti. Un vero e proprio angolo di Basilicata immerso in una città che rappresenta il cuore economico della Lombardia, quello che può permettere ai suoi abitanti di abbordare le improbabili cifre proposte dai negozianti del settore: non solo migliaia di Euro per un salotto completo, ma anche 1.500 Euro per una poltrona singola o altrettanti per una struttura (si badi: senza rete né materasso) letto. E no, non è colpa dei rivestimenti in pelle: in quel caso, i prezzi possono anche raddoppiarsi.

Si sta parlando di elementi d’arredo semplici, con rivestimenti in cotone o microfibra. Tesssuti variabili dalle 120 alternative di PoltroneSofà alle “centinaia” (?) di Chateau D’Ax, passando per le alternative del mobilificio brianzolo che accanto ad un numero simile di tessuti, propone la massima flessibilità in termini di misure, modelli e “ispirazioni” dai produttori e dai designer più noti. Come dire: andate nel negozio di fronte, prendete il catalogo e noi vi riproduciamo il tutto con un prezzo ad hoc. Che poi non si capisce se è più basso (perché spiegano di aborrire la pubblicità e quindi di risparmiare) o più alto (perché la qualità artigianale si paga).

Non mancano le sorprese ed alla fine sembra convincere più l’affabilità delle commesse che i prodotti esposti, tendenzialmente simili. Chi vince? L’Ikea, ovviamente. Perché alla fine, dopo aver ascoltato per 3 ore l’arredatore esperto, ci si rende conto che è del tutto fuori mercato. E che il prodotto “alta gamma” Ikea costa un quinto del prodotto “low cost” venduto con sprezzo dalle grandi catene, che comunque lo producono all’Estero. L’unico punto a favore? I prezzi quasi sempre comprensivi di trasporto e montaggio a domicilio. Il che, però, è un po’ poco: è bello che il Made In Italy sia sinonimo di Alta gamma all’Estero, ma sul mercato interno la strategia non funziona sempre.

Quando branding e realtà coincidono

Quel capolavoro di sito che risponde al nome di BrandChannel ha pubblicato la classifica dei BrandJunkie Awards, i premi votati dai brand-maniaci che frequentano il sito ai marchi più noti del Mondo, assegnati secondo categorie piuttosto originali: la marca con cui si vorrebbe andare a cena, ad esempio, o quello che dimostra di essere più “green”; il brand che ispira di più o il marchio del passato che si rimpiange di più. Categorie che dicono molto del rapporto che i frequentatori del sito hanno con i marchi più noti, ironiche sino ad un certo punto.

In un universo in cui valore immateriale del marchio e prodotti dell’azienda che quel marchio utilizza rappresentano mondi sempre più staccati, non basta più riferirsi ai Lovemarks che Kevin Roberts e i suoi amici ci hanno raccontato nel bel libro omonimo: i commenti ai risultati degli Awards scritti da Jim Thompson dimostrano dei trend che vanno oltre l’infatuazione verso i marchi, coinvolgendo non solo le aziende più note, ma la visione stessa che i visitatori un po’ pazzi (ma dall’evidente profilo socio-culturale elevato)del sito hanno del mondo.

Basti spulciare la classifica per notare la comparsa degli Stati Uniti (!) nella top-3 dei “marchi che necessitano di rebranding”, a dimostrare come si sia arrivati a considerare il tema del branding su un livello superiore, ormai molto staccato da quello del mondo materiale che vagamente quei nomi cercano di rappresentare. La presenza di Barack Obama nella top-10 dei “marchi che ci si attende rivoluzioneranno il mondo del branding nei prossimi 5 anni”, suggerisce addirittura l’aderenza totale tra universo simbolico e universo reale.

Lo vediamo, ad essere sinceri, anche nella vita di tutti i giorni: il continuo dibattito su Starbucks in Italia o l’insistente ricerca di informazioni su KFC Italia su .commEurope (!) difficilmente sono davvero relative al Frappuccino o alle ali di pollo fritte: rappresentano piuttosto l’attesa epifanica di un qualcosa di irrazionale, di un cambiamento visto altrove che si vuole importare a tutti i costi. Nulla di dissimile dal successo di Apple, che trionfa in quasi tutte le graduatorie: la novità vince sempre e i marchi che sanno interpretare lo spirito del cambiamento hanno una marcia in più.

Paradossalmente, lo si nota anche dalla classifica dei marchi non più esistenti che i visitatori di BrandChannel vorrebbero far resuscitare: Atari, Polaroid, Cingular o Netscape, ad esempio, sono stati brand che hanno saputo rappresentare innovative punte di diamante nel periodo storico in cui hanno regnato nei rispettivi settori. Forse farebbe bene IBM a riflettere sulla sua comparsa in questa lista: sarà anche rimasta nei cuori dei manager come azienda di consulenza, ma i brand-maniaci non le perdoneranno mai la cessione di portatili e dintorni a Lenovo…