La TV interattiva da Quizzy agli UGC

Luca Sofri pubblica un articolo cattivissimo sulla nascita di Rai4 ed in Rete parte il dibattito in merito all’idea di “televisione interattiva” che ha permeato il lancio ufficiale del nuovo canale. Niente di particolarmente innovativo, a dire il vero: Freccero pensa di lanciare una rete “per i giovani” e gli vengono in mente gli User generated contents. Pensa di proporli in salse diverse, anche se sembra finisca a fare una QOOB meno attraente sul target di destinazione.

Il primo autore illustre a cogliere la palla al balzo è stato Michele Boroni, che ha crudelmente riportato alla nostra mente un ricordo che avevamo rimosso: si tratta del Quizzy, l’oggetto dei desideri televisivi di molti dei bambini di inizio anni Novanta. Per chi non lo ricordasse: era un gadget lanciato come “telecomando interattivo”, capace di interagire con i quiz delle reti Fininvest direttamente da casa. Il telespettatore giochicchiava coi tasti in locale, poi trasmetteva telefonicamente i propri dati via telefono ad un numero 144, sperando in premi che, a quanto si è saputo successivamente, erano abbastanza immaginari.

Al di là dell’aggeggio semi-truffaldino, però, la storia di Quizzy vale soprattutto come metafora della voglia di interattività che ormai da un paio di decenni le reti televisive europee cercano di sfruttare a proprio favore. Che si tratti di mettere lo spettatore dietro la telecamera in stile YouTube o che si aspettino ansiosamente gli SMS premium dei televoti, il messaggio è chiaro: pur con risultati frequentemente scarsi, si cerca di rispondere al crollo degli spettatori mettendo gli spettatori stessi al centro della scena.

Idea che, tutto sommato, si trovava anche nelle bellicose dichiarazioni di Mike Bongiorno ai tempi del lancio del Quizzy: le motivazioni per cui la televisione dovrebbe essere interattive sono oggi quelle le stesse di allora, ma le innovazioni continuano a languire. Al lancio del Quizzy, il popolare presentatore si lanciò addirittura nel celebrare l’assimilabilità dell’interattività televisiva con quella del voto elettorale, allarmando sociologhi attenti come Omar Calabrese. La tecnologia non ha assecondato quella similitudine tra televisore ed urna elettorale: la politica, invece, sì.

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