L’assalto a Best Western e l’etica del giornalismo

Anche i più distratti avranno letto con apprensione, magari mentre passavano le proprie ferie in un hotel della catena Best Western, dell’assalto informatico che la catena avrebbe recentemente subito da parte di un cracker infiltratosi nei sistemi informativi passando attraverso un client di un albergo di Berlino.

Lo avranno letto perché, soprattutto se si è stati in passato clienti della catena (e chi non lo è stato?), non avranno potuto ignorare i titoloni che sui giornali parlavano di una cifra impressionante di 8,2 miliardi di dollari di danni e di un bacino di 8 milioni di possibili clienti truffati in tutto il mondo.

Basti leggere l’articolo che su Punto Informatico annunciava l’ecatombe informatica, etichettandola come «una delle più clamorose di sempre» e non lesinando particolari sul destino infelice dei titolari di carta di credito che avevano malauguratamente alloggiato presso un qualsivoglia albergo dell’enorme catena alberghiera.

Cotanto clamore, d’altra parte, era stato promosso dal Sunday Herald, giornale su cui era apparso il primo lancio sul tema. Il giornalista, ovviamente, era convinto di aver fatto il colpo della vita: centrare uno scoop simile a volte può cambiare un’intera carriera e tanto vale girare il coltello nella piaga finché è calda.

Per fortuna, tuttavia, Best Western ha risposto con chiarezza alle accuse: il comunicato stampa italiano, ad esempio, limita i danni ad un accesso improprio ai sistemi dell’hotel berlinese, spiegando con trasparenza il sistema di collegamento tra questi e quelli centrali della catena che, notoriamente, è composta da alberghi molto indipendenti e “federati” sotto il marchio Best Western.

Altro che 8 milioni di clienti danneggiati in tutto il mondo: le vittime del furto di dati sarebbero solo 10 clienti (di cui 8 tedeschi), già contattati dalla catena e tranquillizzati sulla loro situazione. Tanta disponibilità per tutti: chiunque sia stato turbato dalla vicenda può telefonare al numero verde Best Western per chiedere informazioni e supporto.

Bravi quelli di Best Western, meno bravi i singoli alberghi che in effetti non brillano per coerenza con le iniziative della catena, riservatezza delle informazioni e gestione dei pagamenti. Pessimi invece i giornalisti, che si sono buttati a pesce sulla notizia ingigantendola in maniera inopportuna e dannosa per l’immagine di Best Western e degli albergatori aderenti al circuito.

Solo pochi giornali hanno pubblicato rettifiche adeguate ed ovviamente nulla può garantire che chi ha letto il primo articolo possa anche incappare in quello di smentita. Tra i giornali italiani che avevano esagerato nel lanciare la notizia, proprio il succitato Punto Informatico è riuscito a riequilibrare i toni, pur dando conto del fatto che Iain Bruce, il giornalista che aveva buttato il masso nello stagno, continui a voler difendere il suo scoop a dispetto di ogni evidenza, senza alcuna etica e senso di responsabilità per aver causato danni così gravi a Best Western.

Questo è uno di quei casi in cui un’azienda farebbe bene a portare in giudizio un giornalista: altro che danno di immagine, questa è stata proprio una coltellata, ingiustificata e ingiustificabile, sul business di un’azienda seria ed affidabile.

Anche .commEurope va in vacanza

Undici nel 2004, otto nel 2005, otto nel 2006, sei nel 2007. Non sono le ore medie di sonno di ogni anno (anche se…) ma i numeri di post scritti su .commEurope ad agosto di ogni anno. Quest’anno, vacanze permettendo, si fermeranno a quattro (compreso questo): segno di rilassamento rispetto ai ritmi forsennati dei primi tempi di .commEurope, ma anche di maggiore attenzione ai contenuti.

Se è andato in vacanza Pollicinor, ancor più .commEurope merita un po’ di riposo. Il rischio, evidentemente, è quello di veder comparire articoli annoiati, scritti tanto per “dovere”. Invece questo blog merita la massima cura nella selezione dei contenuti, in rispetto dei lettori abituali e di quelli che vi arrivano cercando approfondimenti su temi di comunicazione, marketing e non solo.

Non andranno in vacanza i commenti, anche se ovviamente rimarranno moderati. Ciò vuol dire, probabilmente, che un sacco di persone, come al solito, si lamenteranno perché le proprie lamentele verso Todomondo, come al solito incomprensibilmente scritte su .commEurope invece che inoltrate al tour operator, verranno pubblicate con leggero ritardo. Che volete farci, anche i blogger vanno in vacanza e magari non bramano così tanto di leggere notte e dì le sventure delle vacanze altrui.

Diritto d’autore e vita da consulente

La posizione “ufficiale” della consulenza rispetto alla vicenda “Matteo Flora vs. Mondo” (per gli altri: Mediaset vs. YouTube) potrebbe essere quella di Annarellix: un articolo meditato, che esprime amarezza per una certa percezione collettiva che il mondo ha del nostro (sporco) lavoro. La difesa ufficiale del consulente di Mediaset è invece quella di Daniele Minotti, noto giurista e a sua volta consulente legale: anch’egli difende la vastissima categoria dei “consulenti”, leggendo ovviamente la vicenda da un punto di vista più approfondito e non fermandosi alle varie critiche del tipo “Venduti!”.

La difficoltà collettiva intrinseca nell’affrontare la vicenda deriva dal manto di mistero che ricopre la professionalità dei consulenti di alta direzione. Di coloro che, in ambito legale come HRM, con interessi in Area Commerciale o nei BPR, supportano le grandi aziende in operazioni delicate, propedeutiche a sviluppi importanti come quello di Mediaset (che potrebbe “guadagnare” 500 milioni di Euro dalla vicenda, cioè una cifra pari all’utile netto 2007). Di quei personaggi che rimangono nell’ombra, portando nella tomba segreti industriali, organizzativi e relativi alle Risorse coinvolte negli affari.

Vista la faccenda con l’occhio del consulente, se c’è una critica che si può fare a Lastknight, è proprio l’aver voluto raccontare troppo del proprio lavoro in pubblico. Non è un caso che il primo articolo sulla sua consulenza allo studio legale nominato da Mediaset, a metà luglio, sia stato salutato col sorriso dei suoi lettori abituali, mentre quelli successivi, in particolare quello di fine luglio, abbiano ricevuto centinaia di commenti furiosi. Matteo, che è un freelance, si è voluto esporre per mettere in risalto la quantità di lavoro richiestagli dalla faccenda, ma è rimasto scottato dal contatto col pubblico.

Il diritto d’autore, d’altronde, è il tipico campo in cui aziende, istituzioni e utenti finali hanno vision completamente diverse e difficilmente coniugabili. Le aziende hanno costruito un secolo di business su quello che, fino all’inizio del Novecento, era un settore industriale marginale. Oggi media ed editoria sono mercati che valgono tanto, che su quei diritti si confrontano quotidianamente con le istituzioni, che hanno serie difficoltà a regolamentare in maniera adeguata l’effervescente mercato in cui, come se non bastasse, i cittadini vogliono iniziare ad avere una voce, come utenti e come produttori di contents.

Alla fine proprio loro diventano il fulcro del problema: come nota Sp0nge, sono gli utenti finali che, invece di pubblicare i filmatini delle vacanze, si dilettano a uploadare i filmati di Mediaset, trascurando del tutto il tema del diritto d’autore. Non c’è consulente che tenga: Flora ha potuto solo censire cosa “la folla” ha fatto degli spezzoni Mediaset. Non è un caso che, nella querelle Viacom vs. YouTube, sia emersa la vera intenzione del gigante statunitense: verificare se alcuni video siano stati caricati anche da staff Google o da privati. Nel primo caso (e ciò potrebbe valere anche per Mediaset), ci sarebbe dolo.

Il mondo dei media evolve rapidamente e non si può non condividere l’analisi di Massimo Gramellini sulla trasformazione del gruppo editoriale della famiglia Berlusconi da pirata dell’etere a organizzazione che lotta contro i concorrenti più subdoli del momento, quelle Internet company che hanno capito la rilevanza del mercato ed operano borderline con le regole del diritto d’autore per rubare loro la linfa vitale, quella del mercato pubblicitario. L’attenzione degli utenti è poca e preziosa: è ormai evidente che broadcaster tradizionali e piattaforme di videosharing siano più concorrenti di quanto possa sembrare.

Una delle maggiori critiche fatte a Mediaset, d’altronde, è il frequente ricorso, durante le proprie trasmissioni, a spezzoni presi da YouTube. Un meccanismo che a molti sembra speculare alla presenza di contenuti Mediaset su YouTube e similari, ma che in realtà presenta un problema di fondo: Mediaset di solito trasmette video semi-privati pubblicati tramite YouTube, mentre YouTube ospita filmati di proprietà di Mediaset. Fin quando si continuerà a confondere i due piani, ci si fermerà a discutere di diritto d’autore come se si parlasse del capocannoniere del campionato di calcio al bar sotto casa.

Il diritto d’autore, invece, è cosa seria e (perché no) giusta. Produrre un articolo, un video, una canzone, una foto, può essere un’attività professionale e come tale merita di essere preservata. Sono anni che ci si lamenta della SIAE, ma non se ne viene a capo: il mercato dei diritti d’autore deve essere seriamente rivisto e ciò deve essere fatto a livello europeo. L’Italia seguirà a ruota, ma si spera in maniera coscienziosa: troppe persone ormai vivono di diritti d’autore, in maniera più o meno indiretta. Se YouTube non ha bisogno di molte Risorse umane, Mediaset e Viacom sì… E di molti consulenti, oh.

L’alta definizione? Non interessa a tutti

Sei in giro per la città e sbadigli nel traffico mentre cerchi di sintonizzare la radio. Passi una, due, tre frequenze e poi ti fermi su quella che si sente decentemente. Scendi dall’auto, indossi le cuffiette e vai a fare una corsetta: alle orecchie hai l’iPod e ti congratuli con te stesso per la qualità dell’audio rispetto a quella sentita prima in auto. Fai un allungo fino a Blockbuster per riportare un DVD noleggiato, scaduto da mesi.

Torni a casa e accendi il televisore: Inizi lo zapping e guardi un po’ di secondi di tante trasmissioni in onda. Alla fine ti fermi su un canale che sembra attirare la tua attenzione ma in realtà ti viene in mente che devi fare altro, nella stanza vicina. La TV sta accesa in sottofondo e magari la ricezione non sarà perfetta, ma non ti va di accendere il decoder per cercare il canale più pulito tra quelli in arrivo via satellite.

“Fare altro” si traduce nel dare un occhio alla coda del client P2P che hai lasciato a scaricare bit per tutto il giorno. Al mattino hai scelto due-tre film tra i più popolari del momento ed ora puoi guardarli senza andare al cinema o aspettare che siano pubblicati in DVD. Spegni la TV accesa nella stanza vicina ed inizi a guardare un DivX che, si direbbe, è stato ripreso con una telecamera nel buio di un cinema di provincia.

Mentre il film va avanti, ti cade l’occhio sulla fotocamera che hai lasciato domenica sera accanto al PC. Approfitti della serata attaccata allo schermo (altrimenti sarebbe difficile carpire il parlato del film) e inizi la copia delle foto. Il download è veloce: nonostante la tua fotocamera supporti i 7 MegaPixel, tu scatti le foto con qualità media. Tanto pensi che non le stamperai mai e così sulla schedina SD ce ne vanno di più.

Poi vai a dormire e ti fermi un attimo a pensare: continui a circondarti di apparecchi elettronici di alta qualità ed alta definizione, poi li utilizzi alla meno peggio. Ti diletti con i video formato francobollo di YouTube invece di vedere gli originali sullo schermo al plasma nel soggiorno, ascolti le canzoncine sull’iPod a 128 Kbps invece di ricorrere all’ampia discografia in CD che giace impolverata sulla libreria.

Preferisci scaricare film in bassissima qualità in DivX piuttosto che ricorrere al DVD fisico da comprare o noleggiare sotto casa. Hai MySky HD compreso nel tuo pacchetto satellitare, ma alla fine lo utilizzi sì e no una volta l’anno per registrare una partita di basket che poi non guarderai mai. Se tutti fossero come te, il mercato dei dischi ad alta definizione tipo Blu-Ray non decollerebbe mai.

E in effetti il mercato dei dischi ad alta definizione non sta decollando affatto. Chissà perché?