Radio Deejay, il gigante ferito

Se la più grande radio privata perde di anno in anno centinaia di migliaia di ascoltatori, la colpa non è del presunto abbandono del mezzo radiofonico: le serie storiche non mostrano tracolli verticali e addirittura, al netto di prevedibili fluttuazioni stagionali, in alcuni periodi recenti hanno visto anche un allargamento della base di ascoltatori saltuari accanto al nucleo storico di fedelissimi.

Se la più grande radio privata perde di anno in anno centinaia di migliaia di ascoltatori, la colpa non è nemmeno di Audiradio: il metodo di rilevazione è imbarazzante per la sua aleatorietà, fatta di interviste di modesta validità scientifica, ma sul lungo termine le serie storiche di cui sopra possono persino permettere di individuare trend interessanti, che mostrino successi e sconfitte di programmi, idee e personaggi, prima ancora che delle emittenti prese come monoliti.

Se la più grande radio privata perde di anno in anno centinaia di migliaia di ascoltatori, la colpa non è nemmeno da attribuire alla validità dei suoi protagonisti: è vero che al microfono non ci sono più Fiorello, Scotti, Amadeus, Baldini, Jovanotti, Laurenti, Gialappa’s, Paoletta e molti altri dei “pilastri” storici dell’emittente, ma resistono strenuamente programmi di qualità quali quelli del direttore Linus o di Alessio Bertallot, che con i loro stili estremamente differenziati mostrano il sincretismo di una radio che vuole piacere a tante nicche diverse.

Se la più grande radio privata perde di anno in anno centinaia di migliaia di ascoltatori, la colpa è forse anche di questo sincretismo a tutti i costi in un mondo di crescenti specializzazioni (la radio “solo successi”, quella “solo dance”, la stazione “solo musica italiana” o quella “solo rock”). E Radio Deejay ormai è lontana anni luce da ciò che era ai tempi della sua fondazione: proprio la sua crescita esponenziale l’ha portata al dover “piacere a tutti, sempre”.

Se la più grande radio privata perde di anno in anno centinaia di migliaia di ascoltatori, la colpa è però soprattutto della sua eccessiva auto-referenzialità. Basti guardare l’ultima campagna televisiva, che si suppone fosse un investimento finalizzato a reclutare nuovi ascoltatori, per notare la sua completa incomprensibilità per i non adepti: per decifrarla è necessario essere del tutto coinvolti nel mondo dell’emittente e questo, francamente, è troppo.

Sicuramente la radio, rispetto alla televisione, ha la peculiarità (e la fortuna) di venire spesso ascoltata in maniera “verticale”, con fedeltà assoluta ad una radiostazione da ascoltare “quando si può”. Ma questo non può diventare il leit-motiv della propria esistenza e addirittura delle proprie campagne promozionali: altrimenti, chiunque sia in autostrada e incappi nell’incomprensibile Radio Deejay, scappa a gambe levate. Prova a prenderlo.

Carrefour, Mattel e il circo dei blogger

Gli internettari di tutta Italia si uniscono nell’indignazione contro Carrefour, accompagnando il dolore di una madre coraggiosa che ha visto maltrattato il figlio con problemi di salute durante un evento svolto nel parcheggio di uno degli ipermercati della catena. Le prefiche si scagliano contro il gigante della GDO, le persone sensibili giurano al mondo che non metteranno mai più piede in un ipermercato della catena, i più attenti sottolineano come la colpa dell’accaduto andrebbe quantomeno condivisa tra azienda di distribuzione e società produttrice dei giochi promossi dalla campagna assassina.

Nella sintesi, da un lato il dolore umano di una madre maltrattata, dall’altro l’ennesimo disastro di una grande azienda europea nel campo di relazioni pubbliche e dintorni. Le persone che appoggiano le urla della prima, i professionisti che analizzano al microscopio le reazioni della seconda. Le persone che si muovono dall’indignazione (commento sul blog) all’azione (boicottaggio), i professionisti che distribuiscono consigli (tanto è gratis) e si mettono a disposizione delle aziende coinvolte per spiegare loro come orientare le proprie PR off line e on line (tanto avranno budget illimitati, no?).

Facciamo tutti parte di uno stesso circo, o quantomeno estremizziamo ciò che succede in queste pagine virtuali per presentarci di volta in volta come vittime o come carnefici, porci sotto il lume dell’attenzione o puntarlo dritto sul viso di chi reclama aiuto. Le aziende ci guardano perplesse, colpite dal fatto che un articoletto su un blog di periferia riesca ad attirare di passaggio in passaggio le attenzioni dei bloggers più noti e quindi, come sempre più spesso accade, dei giornalisti che li consultano alla ricerca di spunti e trend che le sterili agenzie di stampa non possono individuare.

Non si dica che Mattel non abbia imparato dalla disavventura che l’aveva travolta un anno fa: anzi, il fatto che abbia portato in giro per l’Italia gli stessi mezzi di Cars che un anno fa l’avevano travolta, stavolta in formato gigante, potrebbe essere letto come un tentativo di rilanciare la propria immagine e quella dei propri giocattoli. Non si pensi che la grande distribuzione sia sempre disattenta alle esigenze dei disabili: su The Rat Race è recentemente apparsa una bella testimonianza sulle attenzioni dedicate ai bambini con esigenze particolari.

E non si pensi nemmeno che Carrefour non sappia gestire le proprie relazioni pubbliche o non conosca le dinamiche della Rete: la catena ha un proprio Forum, su cui si è ampiamente dibattuto dell’accaduto. Ciò che forse sfugge a molti è che i rischi di un’iniziativa complessa a volte superano il progettato fascino che in situazioni normali piccoli e grandi eventi possono esercitare anche in target inaspettati: si va al di là della voglia di comunicazione e degli impatti sognati, perché quando ci sono uomini di mezzo, tutto è possibile.

Tutti al Milano Film Festival!

Furoreggia da qualche ora a Milano la tredicesima edizione del Milano Film Festival, la maratona cinematografica che anche quest’anno terrà svegli i milanesi sino a tarda notte grazie a proiezioni, dibattiti, dj set, concerti. Un evento assolutamente imperdibile per chiunque graviti in Lombardia e dintorni: che si sia raffinati cinefili o adolescenti in calore, si noterà che gli spunti non mancano per nessuno.

L’ampio cartellone, infatti, spazia dal tradizionale concorso di cortometraggi ad una selezione poliedrica di lungometraggi (opere prime), passando per diversi percorsi tematici sponsorizzati e da una retrospettiva su Terry Gilliam che non ha precedenti nella storia: lo stesso regista, presente oggi al Teatro Strehler, si è meravigliato per un tributo talmente ampio e per il notevole affetto del pubblico.

Interessante notare che il pubblico del Milano Film Festival non è variegato solo in termini di interessi culturali, ma anche di età: la coesistenza di film d’essai e di aperitivi all’aperto riesce ad attrarre allo stesso tempo liberi professionisti e studenti universitari come raramente avviene in una città così grande e frammentata come può essere Milano (specie in periodo di ripresa delle attività dopo l’estate).

Per il resto, la bella cornice di Brera (gli eventi si svolgono tra Piccolo, Parco Sempione e Del Verme) ed un abbonamento da 20 Euro (in convenzione con la card de La Feltrinelli) meritano di visitare la rassegna con occhio curioso, anche solo per i corti: alcuni di una bruttezza allucinante, altri romanticamente deliziosi, in particolare le animazioni che si stagliano un palmo sopra gli altri corti in concorso.

Il Premio Ospitalità Italiana 2008 esiste

Un banner promozionale tratto dal sito ufficiale del marchio 'Ospitalità Italiana'Se ripensate a ristoranti e luoghi di villeggiatura visti in Italia nell’estate appena conclusa, forse ricorderete locandine riportanti le icone qui accanto. Dall’albergo a 4 stelle in centro città alla trattoria persa tra le curve di montagna in una remota località di provincia, molti tra gli operatori turistici Italiani potrebbero infatti aver chiesto i vostri voti nell’ambito del Premio Ospitalità Italiana 2008.

Di cosa si tratta? Di un concorso finalizzato a censire e promuovere le strutture che, per spirito d’accoglienza e qualità del servizio, possano rappresentare punte di diamante nella bistrattata capacità di attrazione turistica del nostro Paese. Un progetto, bisogna dire, fortemente sponsorizzato dalle Istituzioni, grazie al ruolo di organizzatore da parte dell’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche e delle varie Camere di Commercio sparse sul territorio.

Sarebbe interessante capire quanti siano stati i partecipanti alla votazione chiusa lo scorso 31 agosto. Vista la semplicità del voto (bastava segnalare un voto sintetico per la struttura provata, contraddistinta da 4 cifre, segnalando il proprio numero di cellulare via SMS o Web), non è difficile immaginare un gran numero di segnalazioni da parte di titolari e dipendenti delle strutture… Ma gli ospiti? Avranno seguito le indicazioni e provato l’ebbrezza della navigazione sul sito del Marchio di Qualità Ospitalità Italiana?

L’incentivo al voto consisteva in soggiorni offerti dalle strutture stesse partecipanti all’iniziativa. La spinta al voto, invece, derivava soprattutto dalle piccole strutture, dotate di locandina e coupon per ricordare il proprio codice agli avventori e desiderose di farsi un po’ di pubblicità a costo tendente allo zero. Il sospetto, vista l’assenza di pubblicità per l’iniziativa fuori dai luoghi in questione, è che il tutto fosse altamente auto-referenziale: un gioco tra ristoratori per pavoneggiarsi alla prossima premiazione in Camera di Commercio.

Detto questo, bisogna dire che la certificazione per ottenere il marchio è sempre valida e il sito Ospitalità Italiana è sempre on line: permette tra l’altro, una volta finite le votazioni sintetiche, di compilare dei questionari qualitativi delle singole strutture censite (la cui destinazione, però, è del tutto sconosciuta). Si tratta in fin dei conti di un sito utile per scoprire strutture che si suppone di qualità, magari a pochi chilometri da casa propria. Ma chi sa che esiste il Marchio di Qualità ed il relativo sito?

Google Chrome e il mercato ICT visto col cuore

Sulla strategia di marketing del lancio di Google Chrome è già stato detto tutto in Rete: anche i meno avvezzi alla materia hanno intuito la portata innovativa del lancio detto/non detto con un fumetto divulgativo, mentre i più sensibili ai temi della strategia aziendale hanno intuito l’importanza significativa di questo prodotto per una Google che ormai non è più e non è solo una Web company, ma un attore leader dell’ICT a tutto tondo. Nulla da eccepire, anzi: onore al management di Google per essere riusciti a sviluppare un prodotto di qualità così lontano da occhi indiscreti, salvo riuscire a farlo deflagrare sul mercato con una veemenza mediatica raramente ricordata in passato. Quando anche i telegiornali di Stati come quelli del Sud Europa arrivano a parlare di un software in termini talmente trionfalistici, viene da dire che Google dovrebbe elevare un monumento a Stefano Hesse e ai suoi collaboratori sparsi per l’Europa.

C’è solo un problemino, in tutto ciò. E cioè che in pochi sembrano aver compreso davvero il contenuto degli interventi dei media tradizionali sull’argomento. Inutile dire che non ci si riferisce agli Internet addicted, che giustamente sono corsi in massa a scaricare l’applicazione gratuita, né all’estremo opposto a coloro che non hanno mai acceso un PC in vita propria; si fa riferimento, piuttosto, alla crescente parte della popolazione che gode di un accesso ad Internet, anche solo perché a disposizione in ufficio. Sono coloro che non hanno idea di cosa sia Firefox, che dell’icona “Internet Explorer” sul desktop leggono la parte “Internet” e si accontentano, perché la grande “e” celeste è sinonimo stesso di Rete e Rete è sinonimo di Libero o Virgilio.

Per questa amplissima fascia di utenti, l’annuncio di Google Chrome rimane come una stella cadente in cielo: qualcosa che si intuisce essere importante, ma che non si comprende in pieno… E il cui ricordo, dopo pochi secondi, sparisce dalla mente. Se anche la parte più curiosa di questa ampia popolazione avesse voglia di avventurarsi nel cliccare sul link promozionale nella pagina di Google («Ma cos’è, un “browser”?», rimarrebbe perplessa nel leggere quelle tavole a fumetti così tecniche, seppur ben disegnate; se anche volesse lanciarsi nel download dell’applicazione, rimarrebbe fortemente scoraggiata dai messaggi di allarme del browser prima (si tratta di installare un eseguibile) e del firewall poi (visto che sconsiglierebbe di lasciare aprire le porte al programma di setup prima ed al nuovo browser poi).

Entusiasmiamoci pure per la genialità di Google Chrome così come facevamo per Mozilla Firefox. Ironizziamo sulla sua qualità rispetto all’improbabile Safari, con cui pure condivide pezzi importanti del codice. Ma teniamo presente che sarà sempre un gioco inter nos, di gente che sa di cosa parla e che sa come tenere d’occhio la crescente presenza di Google nella propria vita on line e si esalta nel leggere l’articolone di Wired che sembra proprio uno di quelli dei bei tempi andati. Però smettiamola di fantasticare sull’inevitabile declino di Internet Explorer, sul trionfo a scena aperta di Google e sulla morte di Microsoft nel giro di qualche mese: se si parla di mercato ICT, bisogna essere seri e ragionare con la testa, non col cuore.