I problemi di WordPress e le rivoluzioni rimandate

I lettori abituali di commEurope avranno notato misteriosi ritardi nella pubblicazione dei post da settembre in poi: il “merito” è degli aggionamenti di WordPress, che non solo presentano ogni volta impatti deliranti sugli archivi (vedi la vendetta delle lettere accentate), ma soprattutto comportano una serie di ritardi per cui alla fine si decide di rischiare e lasciare on line una versione più vecchia e perciò per definizione ricca di bug.

Il punto è che un blog dev’essere solo (per quanto culturalmente stimolante, ci mancherebbe) un passatempo. Siamo tutti consci di star vivendo una rivoluzione nei flussi di comunicazione peer-to-peer o bottom-up, ma dobbiamo anche renderci conto di essere delle mosche alle prese con una carta adesiva. Terribilmente attraente, ma dai rischi mortali per quanto riguarda la vita del blogger che le vola incontro.

Se si è giornalisti professionisti, non solo si è più bravi a scrivere, ma si ha anche un certo rapporto con tempi e modi della scrittura. Se si è blogger amatoriali, il rapporto è più complesso: perché i tempi non sono quelli della propria professione e la cura degli strumenti di supporto non è a carico di altri. Un giornalista deve concentrarsi sulla qualità del proprio intervento, il blogger deve mantenere la tipografia virtuale e poi vestirsi da editore prima ancora che da autore.

Tutto ciò fa sì che i giornalisti professionisti possano stare tranquilli: abbiamo ancora molto bisogno del loro tempo passato a documentarsi, dedicato alla scrittura e poi passato, magari, a difendere le proprie opinioni di fronte ai lettori inferociti. Se poi per farlo usano un blog, tanto meglio per loro e per i giornali che rappresentano: sia onore ad Alessandro Gilioli, ad esempio, che è riuscito a creare uno spazio di qualità per diffondere i propri articoli e confrontarsi coi lettori.

Ne parliamo tra qualche anno, insomma. Quando l’infrastruttura sarà trasparente e non richiederà tempo per manutenzione e aggiornamenti, quando i blog saranno uno strumento professionalmente riconosciuto e non una passione da seguire a notte fonda, quando avremo accesso alle fonti come avviene normalmente ai professionisti. Nel frattempo, un post alla settimana è più che sufficiente per mantenere attivo questo Speakers’ Corner personale.

Galbani vorrà ancora dire fiducia?

Corrono per le strade delle nostre città i camioncini giallo-verdi di Galbani. Corrono come hanno sempre fatto, come ricordiamo sin dall’infanzia, come facevano già decenni prima. Galbani è un marchio italiano storico e proprio per questa sua natura così nazional-popolare, è sempre riuscito ad attirare le simpatie delle masse, anche con prodotti di posizionamento non eccelso come il formaggio Bel Paese e i suoi derivati.

Galbani è un’azienda che ha cambiato mille volte padrone, ma ha sempre conservato la produzione in terra italica. Che fosse di proprietà Danone o sotto l’egida Lactalis, ha conservato la gamma di prodotti storica e le stesse modalità di distribuzione, con tutte le criticità collegate che lo scandalo degli scorsi giorni ha indirettamente sottolineato: l’esigenza di avere punti di distribuzione sparsi per il territorio comporta ovvie difficoltà di controllo.

Il fatto che da anni «Galbani vuol dire fiducia» forse ha avuto un impatto ancora più forte nello sviluppo della vicenda. Da diceria locale a notizia principe dei quotidiani, il sistema di contraffazioni alimentari ha fatto crollare le vendite del marchio che insieme a Locatelli e Invernizzi ha costruito l’immagine internazionale dell’industria casearia italiana: è stato un brutto trauma per molti Italiani, clienti prima o poi dell’Egidio Galbani SpA.

Interesante notare che in realtà l’avvio della spirale distruttiva sia stato dato non tanto dalla notizia delle contraffazioni, quanto da quella della decisione da parte di una delle Coop di ritirare i prodotti Galbani dai propri punti vendita. Alla base del clamore, uno scontro di credibilità: tra la “fiducia” di Galbani e la “fama” di Coop ha evidentemente vinto quest’ultima, ritenuta più severa in termini di standard qualitativi.

Può essere che dopo questa vicenda il marchio Galbani sarà compromesso per sempre, almeno sul mercato italiano. Forse converrebbe all’azienda farlo scomparire dai prodotti Santa Lucia e lasciarlo solo su quelli “tradizionali”. O forse l’azienda potrebbe anche non fare nulla: aspettare che la buriana passi e il consumatore dimentichi l’accaduto potrebbe essere una strategia vincente nel lungo periodo. Nel breve, meglio star zitti e abbozzare.

Come si chiamerà la “nuova” Alitalia?

Ora che il (melo)dramma della trattativa tra Compagnia Aerea Italiana, Governo e Sindacati sembra essere giunto ad un punto di svolta, forse è ora di porsi qualche domanda sulle strategie future dell’azienda, con un occhio di riguardo a ciò che potranno essere marketing, immagine e promozione di una compagnia che muore bistrattata e rinasce (quasi) monopolista, con una missione diversa anche in termini di appealing sui clienti di tutta Italia.

Prima di tutto, sarebbe interessante capire come si muoverà la CAI in termini di branding: se nome e logo rimarranno quelli della “vecchia” Alitalia, sarà da un lato difficile convincere le Istituzioni Europee che ci sia effettivamente discontinuità tra le due compagnie, dall’altro non ci sarà un reale impatto sulle aspettative dei consumatori finali, che immagineranno di continuare ad avere a che fare con la “solita” compagnia e i suoi problemi.

Sarebbe affascinante osservare la nascita di un nuovo marchio, ma questo vorrebbe dire anche perdere l’heritage internazionale del marchio AZ e soprattutto apportare forti investimenti in restyling di aeromobili, materiale consumabile e customer desk. Vorrebbe anche dire rinunciare all’altro marchio storico dell’aviazione commerciale italiana, quell’AirOne che molti indicano come compagnia efficiente ed ora rischia di sparire inglobata nella nuova azienda.

Anche la scelta del partner straniero, oltre agli ovvi impatti industriali, avrà forti impatti sul rapporto tra la compagnia e i suoi clienti: scegliere AirFrance vorrà dire mantenere un ruolo attivo in SkyTeam; preferire Lufthansa implicherà aderire a Star Alliance. Non è solo un problema di hub e rotte: ogni alleanza ha standard qualitativi, servizi e stili diversi. Elementi sotto gli occhi di tutti e soprattutto dei frequent flyers, che rappresentano la linfa vitale di ogni compagnia aerea.

Proprio da questo redditizio segmento dovrà ripartire l’offerta della nuova azienda. Quello delle miglia non è solo un passatempo per manager: il programma Millemiglia di fatto è stato negli ultimi anni l’unico legame tra Alitalia e i suoi clienti e la compagnia aerea che nascerà dalle sue ceneri dovrà stare attenta a non dissolverlo. Buttare al vento le miglia accumulate vorrebbe dire buttare al vento le chance di ottenere la fiducia di chi già guarda con diffidenza alla nuova compagnia. Comunque essa si chiamerà.

Intelligence in Lifestyle, troppo lungo per essere vero

Scrive Antonio Sofi a proposito dell’uscita di IL – Intelligence in Lifestyle, il nuovo magazine della casa editrice Il Sole 24 Ore dedicato ad un pubblico maschile di fascia alta:

«non mi sembra che in molti abbiano parlato del nuovo magazine mensile del Sole 24 Ore. Chissà forse è colpa anche del nome complicatissimo da cercare su Internet: IL (Intelligence in Lifestyle). Il primo numero a me è piaciuto: si legge con piacere, ha pagine ben costruite, con belle fotografie (straordinarie per esempio quelle del reportage di Marco Beck Peccoz, quel biliardino sulla piattaforma…) e rubriche che funzionano (”Luoghi non paralleli” per esempio). Con le storie e gli incontri più o meno tradizionali messi a sandwich tra due pancarrè global (Report e Agenda).»

Commenti forse ancora più positivi a casa di Fabrizio Verrocchi

«Nonostante sia una sorta di XL per ometti cresciuti, con un rapporto pubblicità/contenuti forse anche peggiore, gli articoli scorrono via piacevoli alla lettura. Anche quelli meno ben scritti vengono aiutati da un impatto visivo decisamente fludio, minimale senza essere scialbo, elegante senza apparire snob. Insomma, per quanto riguarda la grafica e – a tratti – la scelta degli articoli, è indubbiamente un bel lavoro. Pur non essendo mai stato un lettore di riviste simili (ho abbandonato XL dopo i primi numeri e ne compro uno ogni tanto, pentendomene sempre) sono convinto che al momento non ce ne siano di altrettanto ben fatte in giro, almeno per quanto riguarda l’Italia.»

Un po’ troppo enfatici, invece, i toni della presentazione ufficiale, a cura di Walter Mariotti.

«Pensato come supplemento maschile del giornale, IL s’iscrive nella linea di sviluppo editoriale della casa editrice, varata con Ventiquattro e proseguita con le felici esperienze di House 24 e de I Viaggi del Sole. Come gli altri mezzi, anche IL vuole contribuire ad ampliare gli orizzonti culturali ed esistenziali del lettore del Sole, proponendosi come un giornale capace di compiere una piccola, grande svolta editoriale: innovare il segmento delle passioni declinando l’alfabeto dell’uomo contemporaneo in un approccio giornalistico di standing superiore.» 

E ancora…

«Proprio come il lettore del Sole, anche il lettore di IL appartiene a un’élite. Di spirito e pensiero, però, prima ancora che di censo e frequentazioni. È un protagonista della tradizione, certo, ma caratterizzato da un’innata propensione al rischio, al cambiamento, che gli permette di anticipare la realtà. Sempre all’avanguardia dell’economia, della finanza, delle professioni, non può che trovarsi all’avanguardia delle idee, dello status, dei consumi culturali e materiali.»

Un commento anche su .commEurope? Bel prodotto editoriale, ma incapace di giungere al target di elezione. Non è credibile l’idea che un professionista dai tratti descritti sopra possa muoia la voglia di aspettare un mese per ricordarsi di acquistare ilsuomensilepreferitissssimo, ma soprattutto che riesca a dedicargli il tempo infinito necessario anche solo a scorrere le oltre 300 pagine, o almeno guardare le pubblicità.

Il primo numero di IL ha una bella grafica e una bella impostazione generale, sebbene pecchi spesso di banalità nel cercare di essere originale (es. non tutti i brani musicali segnalati sono all’altezza/hanno una correlazione con l’articolo in cui sono citati). Si tratta di un bell’esperimento, che però rischia di soccombere sotto l’eccessiva attesa di cui è rivestito: forse sarebbe bastato un (leggero) allegato al quotidiano, forse sarebbe bastato rieditare Ventiquattro.