La vendetta del succo di frutta

Quel genio di Paul The Wine Guy si sveglia il 30 dicembre ed invece di organizzare il Capodanno come tutti gli altri blogger, tende ad alcuni tra i più noti di loro una deliziosa trappola: si finge addetto marketing di un’azienda alimentare austriaca interessata a comprare dei loro interventi promozionali da pubblicare sui blog personali, con un budget pubblicitario totale di qualche decina di migliaia di Euro.

L’unica vecchia volpe che non cade nel tranello è Gianluca Diegoli, che non solo declina l’offerta, ma soprattutto rilancia su Twitter/Friendfeed la notizia, diventando l’hub delle blogstar che, sorprese dalla proposta, hanno reazioni diverse e soprattutto ambigue: tendenzialmente si tende a voler spostare gli interventi su spazi diversi dal proprio blog principale, eventualmente proponendo collaborazioni commerciali.

Quando Paul The Wine Guy espone pubblicamente i risultati della sua indagine, le rezioni sono ulteriormente confuse: i non-contattati si sono divertiti a crocifiggere pubblicamente coloro che hanno tentennato, accusandoli di scarsa trasparenza e scarsa etica; le blogstar più sfacciate hanno esposto in pubblico i propri prezzi (qualche centinaio di Euro), quelle più “professionali” hanno scritto articoli di approfondimento e di riflessione collettiva.

Nessuno è riuscito davvero a trarre una riflessione univoca sull’etica sottesa e necessaria a gestire questo tipo di operazioni, sia in veste di marketer che di autore di post. Si fa tanto parlare di buzz marketing, ma in fin dei conti alla fine sembra di essere tornati ai pubbliredazionali che, notoriamente, le concessionarie tradizionali danno quasi gratis a chi acquista campagne… Perché i veri soldi, con la pubblicità, girano altrove.

Quando tutto diventa “storico”

Quanti momenti “storici” ci sono nelle noste vite terrene? Quanti ne viviamo in prima persona, quanti ne vediamo tracciati sui vari media, quanti ci sono raccontati da conoscenti, parenti, amici, colleghi? Quanti meritano davvero l’epiteto di “storico”, quanti in effetti lasceranno un  solco nella coscienza comune e quanti nella storia personale?

A leggere i giornali, viviamo ogni giorno nuovi, emozionantissimi, momenti storici. Tutto merita questo aggettivo: la decisione di un consigliere provinciale, il record olimpico di un atleta, gli aerei sul World Trade Center, la cresima del figlio di un attore, lo share di un programma televisivo. Tutto insieme giù nel calderone, tutto indelebilmente (?) “storico”.

La comunicazione politica, poi, si diletta a enfatizzare questa tendenza. La nascita di ogni partitino sembra essere la svolta che porterà la democrazia italiana verso un glorioso futuro, ogni risultato delle elezioni statunitensi viene letto come momento imprescindibile per il salvataggio delle sorti del mondo. Con buona pace degli “storici” risultati di Obama.

La verità è che i nostri giorni procedono con una noia terribile e senza grosse svolte significative. Potrà far parte della Storia il primo passo dell’Uomo sulla Luna, ma tra qualche centinaio di anni di tutto periodo storico rimarrà poco o nulla. Perché la comunicazione va veloce e la cronaca è diversa dalla storia. Altri momenti “storici” si succederanno.

I link sono utili, ma non sono tutto

Capita di vedere la seguente citazione ormai un po’ ovunque sul Web

«If you can’t imagine anyone linking to what you’re about to write, don’t write it»

attribuita di volta in volta a Clay Shirky e/o Jeff Jarvis. Due nomi pesanti dell’immaginario Internettiano contemporaneo, in effetti legati in un articolo del Guardian che racconta la visione del primo e raccoglie la frase di cui sopra, che Shirky attribuisce al secondo. Frase che appunto viene citata, ma che estrapolata dal contesto complessivo dell’articolo può dare adito a interpretazioni un po’ estremistiche.

La realtà è che, ancora oggi, vale scrivere qualcosa che non sia immediatamente linkabile. Non è detto che tutto debba essere necessariamente pubblico, digitale e soprattutto scritto. E non si parla solo di dichiarazioni d’amore che, in qualche modo, possono rientrare bene in questa categorizzazione: ci si riferisce anche a documentazione scientifica, economica e spesso anche più prosaicamente business-related.

Sebbene il glorioso Pagerank di Google ci abbia agevolato la vita nel corso degli anni, ha fatto sì che, soprattutto tra noi blogger, il concetto di link-come-funzione-del-valore-del-testo ha raggiunto livelli preoccupanti. Al contrario, i motori di ricerca dovrebbero aiutarci a ricercare proprio tra le informazioni più nascoste, ma magari preziosissime. Quante notizie che potrebbero esserci utili sono sepolte in qualche pagina nascosta e remota?

Basti guardare al mondo dei tumblelog per capire che la costante aspirazione di molti è linkare il più possibile i contenuti più popolari, al fine forse di ricevere un giorno dei preziosi link che facciano scalare le posizioni sulle varie classifiche. Qualche mese fa Axell si era lamentato di questa tendenza suicida, ricevendo per la maggior parte reazioni ironiche o sdegnate. Peccato che, nel frattempo, il fenomeno sia notevolmente peggiorato.

Auguri per un 2009 sereno a tutti i pubblicitari

Pare che il desiderio più diffuso per il 2009 sia quello di godere della massima serenità: così anche .commEurope si adegua e gli auguri per il nuovo anno sono, appunto, quelli di vivere mesi intensi, ma senza i patemi d’animo vissuti nelle ultime settimane. Augurio per tutti i lettori e per i pubblicitari in particolare. Se è vero (e purtroppo lo è) che il lavoro è parte dominante della nostra vita, la pesante situazione di mercato nel settore della comunicazione graverà molto sulle nostre carriere, sui nostri sogni, sulle nostre scelte personali.

Sta facendo scalpore, in queste ore, l’articolo di Fulvio Zendrini che traccia una fine ingloriosa (si parla di “morte annunciata”) per i centri media italiani, colpevoli di una gestione poco ortodossa dei rapporti (e dei flussi finanziari) con clienti e concessionarie di pubblicità. Senza entrare eccessivamente nel merito delle tesi di Zendrini, che già un paio d’anni fa aveva dichiarato che «La pubblicità è morta», ciò che emerge con forza in queste settimane è il grido di allarme di tutte le componenti del mercato: il sistema si è inceppato.

Soffrono le piccole agenzie, che lasciano a casa i finti-freelance con cui collaborano da anni; serrano i ranghi le grandi, che si concentrano sui budget principali perché non sanno come sviluppare nuovo business. Piangono amaramente le concessionarie e gli editori, con diversi magazine costretti a saltare le uscite a causa di assenza totale di investimenti; cercano un nuovo ruolo i centri media, che con buona pace di Zendrini hanno un ruolo importante in tutto il mondo e possono continuare ad avercelo anche in Italia.

Un sereno 2009, allora, a tutta la filiera: a pubblicitari, PR, consulenti, designer, planner e account manager vari. Non sarà certo il miglior fatturato del secolo ad aspettarci, ma cerchiamo di inventarci qualcosa per non finire a picco. Ed alle cassandre, rispondiamo colpo su colpo: se il tavolo salta, il gioco finisce per tutti. Conviene allora avere (almeno un minimo di) spirito collaborativo: che tutti, in azienda ed in agenzia, tirino fuori le unghie. Ci si graffierà un po’, ma almeno non assisteremo all’eutanasia collettiva del mercato.