La promessa mancata degli MVNO italiani

Con il lancio di Erg Mobile il numero di Mobile Virtual Network Operator, unito a quello degli operatori telefonici maggiori, raggiunge la ventina. Un numero sorprendente, anche perché sarebbe facile sfidare qualsiasi italiano ad elencarli tutti: pochi andrebbero oltre Tim, Vodafone, Wind, 3 e (forse) Poste Mobile.

Tolti i 4 player maggiori, d’altronde, tutti gli altri operatori cubano nella migliore delle stime un milione e mezzo di Clienti: il fatturato complessivo, secondo le Authority, è stimabile in qualche milione di Euro l’anno, nell’ordine dell’1% del fatturato totale del pur florido mercato della telefonia mobile italiana.

A parte gli spot di Poste Mobile, d’altronde, la comunicazione degli operatori mobili in questi anni ci ha toccato solo durante la spesa, con le iniziative di Coop, Auchan, Carrefour, Conad proposte alla meno peggio sui manifestini promozionali delle offerte. Solo negli ultimi tempi sono apparse le offerte di TelCo come Tiscali e Fastweb.

Nonostante il posizionamento sul mercato italiano sia sempre legato ai presunti prezzi bassi, i listini degli operatori mobili si scontrano con le offerte che, quotidianamente, gli uffici marketing dei grandi operatori mobili sfornano e accompagnano con imponenti campagne pubblicitarie e attività sui punti vendita.

Noi clienti siamo ormai abbastanza “scafati” dal riconoscerle al volo. Anni di abitudine con marchi come Tim e Vodafone fanno sì che l’emergere di un concorrente credibile sia a dir poco difficile: persino 3, pur con decine di campagne alle spalle, non è riuscita a crearsi un mercato paragonabile a quello dei due “grandi”.

Nel resto d’Europa, gli MVNO vanno abbastanza bene. Si tratta di operatori piccoli, certo, ma che riescono a intercettare nicchie di mercato a valore aggiunto, offrendo anche servizi che vanno oltre voce e messaggistica di base. In Italia no: solo Auchan Mobile al momento offre un’offerta HSDPA, clonata da quella di Wind.

Anche a voler proiettare a molti anni gli attuali tassi di crescita degli MVNO del mercato italiano, non ci saranno mai attori realmente competitivi e credibili. Si tratta di un peccato, perché questo farà sì che l’innovazione tecnologica e commerciale sul mercato sarà sempre dovere (e potere) dei grandi operatori.

Fabrizio Del Noce e la carica dei conduttori schifati

Finalmente Fabrizio Del Noce ha svelato il perché della scomparsa definitiva di Antonella Clerici da La prova del cuoco: il suo cachet è troppo alto per una trasmissione di daytime. In questo modo il furbo direttore ha passato la palla nella metà campo della giunonica conduttrice che, da ormai mesi, si lamentava di essere stata cassata dal palinsensto a causa del suo essere neo-mamma.

Difficile giudicare chi abbia ragione: da un lato è positivo che la Rai inizi a produrre programmi con costi sensati; dall’altro, quando Del Noce sostiene che lo stesso programma, condotto da Elisa Isoardi, continui ad avere risultati di ascolto positivi, si tratta di una bufala. Notoriamente, in quell’orario, è Forum a farla da padrone, staccando di diversi punti Anna Moroni, Beppe Bigazzi e il coccodrillo.

Merito della conduttrice? Elisa Isoardi ormai è diventata un’icona della sua rete: è infatti in linea con molti altri colleghi che conducono quotidianamente le loro trasmissioni sul primo canale nazionale con una faccia a dir poco schifata. Non è difficile navigare in Rete e vedere spezzoni in cui la Isoardi, con le mani sporche di pastella o di farina, ci comunica con gli occhi un drammatico «Cosa ci faccio qui?».

Esattamente il contrario della Clerici che, magari fingendo, passava sempre l’idea che non avrebbe voluto essere in nessun altro posto al mondo che dietro ai fornelli del suo programma. Tutto al contrario della pattuglia degl ormai numerosi conduttori che, oltre alla Isoardi, sembrano essere stati messi su Rai Uno a soffrire senza significato, spinti da Fabrizio Del Noce e dai suoi registi.

Caterina Balivo, ad esempio, riesce ad apparire fuori posto nella maggior parte dei suoi programmi serali, sebbene al contrario provi a convincerci di essere davvero interessata agli orripilanti programmi che conduce al pomeriggio. Sempre meglio dei veri rappresentanti di questo trend, però: i giornalisti (o ex) “promossi” a fare i conduttori. Uno Mattina in questo è una scuola formidabile.

Tra tutti, brilla Lamberto Sposini: il piglio schifato durante le trasmissioni in cui intervista finti vip e protagonisti dei fatti di cronana più trucidi è ormai cosa nota. Sicuramente lui, come tutti gli altri, ha bisogno di lavorare e deve accontentarsi di ciò che gli passa la rete; ma se questi conduttori proprio non riescono a mostrare simpatia, almeno potrebbero provare ad alzare la testa e mostrare un po’ di dignità.

La Pasqua dei terremotati e dei giornalisti invadenti

Difficilmente si ricorda una Pasqua tanto amara in Europa. Il ricordo di 300 vite spezzate è vivido e le difficoltà viste negli occhi di persone troppo simili a noi per essere ignorate hanno segnato profondamente questi giorni di (presunta) festa.

Non può evidentemente esistere nessun altro tema meritevole oggi di riflessioni profonde se non quello del terremoto e così anche .commEurope si adegua: ovviamente, il focus è verso il tema principale di questo blog, cioè la gestione della comunicazione.

Il terremoto a L’Aquila, d’altronde, rimarrà impresso nelle nostre menti anche per il pessimo servizio che i giornalisti di tutte le testate e di quelle televisive in particolare hanno reso agli abitanti delle zone terremotate prima che a noi spettatori.

I giornalisti hanno infatti abbondantemente intralciato i lavori di salvataggio e di soccorso ai terremotati. Va bene il diritto di cronaca e grazie per il sacrificio (…) dei viaggi su e giù tra Roma e L’Aquila, ma forse si poteva evitare di far precipitare la situazione.

La sensazione che si è diffusa in Rete è quella che i telegiornali abbiano dimostrato un tale interesse per gli ascolti da essere diventati poco credibili quando hanno cercato di dimostrare compassione e pietà per le vittime e supporto ai soccorritori.

Ascolti, peraltro, del tutto inutili a fini pubblicitari. La Rai, in particolare, ha bruscamente ridotto la trasmissione di spot e reso pertanto inutile la corsa all’audience. Corsa che, a questo punto, si sospetta essere un esercizio di auto-esaltazione fine a sé stesso.

I quotidiani si agitano e si aggregano

Il primo step gli editori italiani lo hanno fatto nel momento in cui hanno iniziato ad aggreggare la versione online di tutte le proprie testate sotto un unico dominio. Prima utilizzando il dominio dell’editore o di un’iniziativa specifica per il canale (pensiamo alla genesi di Kataweb), poi quello della testata principale del gruppo.

Hanno così prevalso i grandi quotidiani, sotto i cui domini, con esiti spesso bizzarri in termini di naming, sono finite anche tutte le iniziative editoriali dei gruppi non riconducibili ad una testata specifica: dai siti promozionali agli annunci di lavoro, tutto ha trovato casa sotto tre-quattro cappelli principali e conosciutissimi.

Questo ha fatto sì che, nelle statistiche pubbliche, questi domini cappello esplodessero in termini di pageviews. La tendenza, peraltro, si è poi vista anche a livello internazionale: è notizia recente la scomparsa del sito dell’International Herald Tribune in favore del New York Times, con clamorosi danni all’indicizzazione dei contenuti.

Quella che invece è una peculiarità del tutto italiana è l’agitazione che ha contraddistinto il mercato a partire dall’annuncio della nascita di Premium Publisher Network, il consorzio fondato inizialmente da Rcs Mediagroup e Gruppo Editoriale L’Espresso poi arricchitosi con l’ingresso dell’Editoriale La Stampa e recenemente di Athesis.

L’agitazione deriva forse dall’entusiasmo di aver osato sfidare, a livello nazionale, i giganti internazionali della pubblicità a performance. In barba a qualsiasi normativa a tutela della concorrenza, il prossimo passo potrebbe essere un bel super-dominio che aggreghi tutti gli editori del consorzio. Tanto, se la concessionaria è la stessa per tutti…