Baarìa e l’epica fai da te

Baarìa, il film definito “kolossal” girato negli ultimi due anni da Giuseppe Tornatore, sicuramente sbancherà i botteghini. Notizia probabilmente positiva, visto che gli unici film che realmente riescono a fare mercato in Italia sono quelli natalizi a base di battute insulse. Il film di Tornatore e quei film, comunque, qualcosa in comune ce l’hanno: la presenza asfissiante di vip e starlette di chiara matrice televisiva. Parte del successo quindi sarà anche merito loro, più che della presupposta liricità dell’opera ambientata a Bagaria.

Il film non è brutto, ma è lontano anni luce da Nuovo Cinema Paradiso. In quell’occasione, Tornatore aveva girato una pellicola capolavoro e vinto un meritatissimo Oscar. Stavolta, ha cercato di girare una pellicola da Oscar, ma difficile da definire capolavoro. Baarìa sembra più l’unione di un paio di puntate delle serie televisive che vanno tanto di moda in Italia, più che un film da 30 milioni di Euro. Ovviamente è piaciuto a Silvio Berlusconi che l’ha prodotto e sostenuto pubblicamente: è un buon ritratto dell’Italietta da cartolina.

In questo film i Comunisti sono buoni ma sciocchi, ottimisti ma corrotti. I mafiosi sono invisibili ma potenti, negativi ma utili. Si va avanti così, di luogo comune in luogo comune, riuscendo solo in parte a restituire la magia culturale che ha dato vita a Renato Guttuso, Dacia Maraini, Ignazio Buttitta e Giuseppe Tornatore stesso. Si va avanti e indietro nel tempo per due ore e mezzo, con un montaggio che fa fatica a inseguire la visione onirica del regista e una fotografia che non brilla certo per originalità (qualcuno li ha definiti “omaggi”).

Sopra tutto questo e sopra le musiche di Ennio Morricone, c’è tuttavia un fattore che è veramente, ma veramente debole. Baarìa racconta la storia di un uomo qualsiasi, troppo qualsiasi per essere interessante. Tutti noi vorremmo raccontare in un libro o in un bio-pic le storie dei nonni partigiani o dei genitori migranti e può essere che alcuni di noi riuscirebbero a scrivere storie appassionanti ed auto-conclusive, magari epiche pur se vissute da gente comune. Tornatore non ci riesce, concentrato com’è ad esaltare le figure dei propri parenti.

E tutti twittavano “Al lupo! Al lupo!”

Se nel mondo “reale” la morte di Mike Bongiorno ha rappresentato la fine di uno degli ultimi personaggi residui di un mondo che sta sparendo, in Rete si è assistito ad una sorta di rivisitazione italica della scomparsa di Michael Jackson vista attraverso i social network. Come era avvenuto in quell’occasione negli Stati Uniti, molti di noi hanno appreso la notizia curiosando in Rete, magari approfittando della pausa pranzo per fare un giro sulle piattaforme sociali.

I primi che hanno tweettato la notizia, a dire il vero, l’hanno comunque appresa da media tradizionali. Quelli che l’hanno letta, sono corsi a verificarla sui quotidiani online e, in assenza di riscontro immediato, hanno iniziato a retweettarla a mo’ di scoop del secolo. In realtà sono bastate poche decine di minuti per permettere ad agenzie e quotidiani di togliere dal freezer i coccodrilli, con molti particolari sulla carriera del presentatore e pochi sulle circostanze della morte.

La notizia si è quindi incanalata sui social network “di approfondimento”, quali FriendFeed e similari. I tweet hanno cambiato leggermente tono, passando dallo “sto dando una notizia in anteprima” a “mi dispiace per la morte di Mike Bongiorno”. Il focus del giorno quindi non è stato più il decesso in sé, ma le emozioni suscitate dall’evento in chi lo stava commentando a poche ore di distanza. Con tanto di commenti sull’efficacia di Twitter nel diffondere notizie.

Uno sviluppo tutto sommato equilibrato della vicenda, lontano da quello cui si assiste ogni volta che si è di fronte ad una notizia che si vorrebbe “far crescere dal basso”. Che si sia testimoni di una piccola o grande scossa di terremoto nel quartiere, di un treno che deraglia o di un violento acquazzone, lo spirito da reporter ci pervade rendendoci inconsciamente obbligati a gridare al mondo quanto sia importante ciò cui stiamo assistendo, alla faccia dei media silenziosi.

Grazie a Dio, raramente i nostri drammi sotto casa sono davvero rilevanti per il resto del mondo. I nostri contatti sui social network però si fidano della nostra percezione ed amplificano le notizione che diffondiamo a rotta di collo. Con tutta calma, le agenzie di stampa valutano l’accaduto, lo formalizzano con il livello di allarme che gli è proprio e lo immettono nel circuito tradizionale dei media. Solo in pochi casi la notizia ha davvero l’entità che percepiamo noi.

Una volta si diceva grassroots journalism e si faceva sui blog, ora bastano 140 caratteri per lanciare un urlo che, se il nostro network è abbastanza grosso e abbastanza suscettibile, non rimarrà solo. Dovremmo però imparare ad evitare di gridare “Al lupo! Al lupo!” e sconfessare i media se non premiano  la nostra voglia di protagonismo. Bene per la nascita dal basso dell’informazione; male, anzi malissimo, per il volersi sentire centro dell’universo.

I figli so’ piezz’ e clone

Che Madonna sia un genio del (self) marketing è cosa nota; né stupisce la sua ultima canzone (self) Celebration. Si odono strali riguardo al coinvolgimento della dodicenne Lourdes, ma in fin dei conti siamo nei limiti del previsto/prevedibile: una mossa per fare notizia, per far parlare di un singolo dimenticabile e in qualche modo spianare la strada alla Madonna 2.0. La figlia, appunto.

In qualche modo, quasi cogliamo il dramma di una persona che ha passato una vita ad assumere pose sexy in calzamaglia ed ora riesce a stimolare un’unica domanda sex-related tra i fan: “Ma prenderà le pastiglie per la menopausa?” (in attesa che la menopausa stessa venga lanciata da Madonna come la nuova moda per le ventenni). Tanto vale riportare indietro le lancette del tempo e rilanciare.

Nulla di meglio di una (prossima) teenager, che diventi allo stesso tempo la Britney e la Madonna del prossimo decennio. E senza troppo biasimo per la madre: non è il primo caso, quello di Madame Ciccone, di genitore che voglia estendere all’infinito la propria fama creandosi in casa un clone. Al momento, in Italia, sono ad esempio numerose le campagne pubblicitarie che presentano insieme genitori e figli.

Può sempre essere che tu sia Kirk Douglas e tuo figlio Michael riesca ad essere al tempo stesso la tua reincarnazione e la tua nemesi: nella maggior parte dei casi, tuttavia, i figli furbetti ripercorrono  a memoria i passi dei genitori, riuscendo a conquistare i figli dei fan che proprio i genitori avevano esaltato. L’effetto Scarpetta/De Filippo, insomma: di padre in figlio, un tentativo continuo di innovare nella tradizione.

Un po’ quello che in questi mesi ha fatto Giovanni Baglioni, erede naturale del padre Claudio ma sufficientemente diverso per attrarre (anche) nuove fette di pubblico. La stessa cosa che ha fatto Ziggy Marley, che da un lato ha cercato di produrre qualcosa di nuovo, dall’altro si è adagiato tranquillamente nel solco tracciato dal padre Bob. Nulla di diverso dai tanti “figli” che oggi corrono in Formula 1.

Poca meraviglia per Madonna, dunque, e per le sue aspirazioni di mamma in carriera. Il pubblico è abbastanza cattivo da selezionare e quindi Lourdes dovrà lottare per affermarsi ai livelli della madre. Anzi, in qualche modo, la sua vita professionale sarà resa difficile dal continuo confronto con una madre ingombrante. Una madre che è un vero marchio di fabbrica, anzi una fabbrica proprio.

Real time Web e Privacy: le grandi sfide per i motori di ricerca

Ci sono due issues che in qualche modo stanno condizionando e sempre più orienteranno lo sviluppo dei motori di ricerca: il cosiddetto “real time Web” e la gestione della privacy degli individui, siano essi navigatori abituali o meno. Due tematiche solo all’apparenza slegate, che interessano tutti noi prima ancora che le aziende coinvolte.

Il primo tema, come è ormai noto agli analisti più accorti, è la buzzword che monopolizzerà i mesi a venire. In più di un’occasione le principali Web Company mondiali l’hanno indicato come linea guida dei propri piani industriali e in qualche modo la disponibilità continua e aggiornata delle informazioni è da sempre l’araba fenice del Web.

I motori di ricerca si candidano come leader natural del campo e non sorprende che Google stia lavorando alacramente sul tema: i risultati di ricerca del motore oscillano oggi tra risultati troppo vecchi per essere interessanti e intere pagine di link a notizie che starebbero meglio su Google News che sulle pagine principali del motore.

Il fenomeno è evidente ad esempio quando avviene una catastrofe in un piccolo paese: le prime due-tre pagine di risultati sono link ad articoli ripetitivi dei quotidiani; le successive, sono informazioni prese random da vecchi articoli, post di blog, pagine tratte da siti irrilevanti. Marginali i riferimenti ai social network, privati o pubblici.

Su quest’ultimo tema attori come Bing stanno cercando di cambiare la logica tradizionale dei motori di ricerca. La paura di molti, tuttavia, è che il mix sia troppo difficile da dosare: qual è davvero l’informazione rilevante nelle ore successive la catastrofe? E nei giorni successivi? Ed un anno dopo, che valenza hanno i singoli item?

Proprio qui si innesta la seconda sfda, quella della gestione corretta dei dati personali che gli utenti, spesso innavertitamente, lasciano a disposizione dei social network. La corsa alle informazioni in real time passa inevitabilmente dalla raccolta e dalla sistematizzazione di tali dati, con conseguenze poco gestibili da parte dei singoli.

A molti piace la ricerca in tempo reale di Twitter, che permette di capire l’awareness di un argomento, oppure quella di FriendFeed, che restituisce rapidamente le discussioni in corso sulla piattaforma indipendentemente dalla fonte in cui sono state inserite. Sono strumenti affascinanti, potenti per i geek e dannosi per gli stolti.

Non affascina, invece, l’idea di un Google con 10 twittate come risultato della ricerca. All’estremo opposto, un motore di ricerca unicamente concentrato su informazioni consolidate risulta anacronistico e, specie nel caso di eventi dirompenti, inutile. Chi riuscirà ad azzeccare il giusto mix, potrà ottenere credito illimitato dalla collettività.