Il Partito Democratico e la campagna elettorale permanente

Capita qualche volta di discutere del declino della sinistra italiana anche fuori dai social network, incontrando dal vivo elettori di differenti vocazione politica e provenienza. Capita così di sentire una, due, tre volte un’idea striscriante, ma diffusa: che il Governo Prodi sia caduto non tanto e non solo per la risicatissima maggioranza in Parlamento, ma anche e soprattutto a causa della “nomina” di Walter Veltroni a candidato Premier in vista di elezioni sulla carta distanti 3-4 anni.

Tornando con la mente a quei mesi convulsi, in effetti, sorge il dubbio che l’ipotesi sia parzialmente verosimile: ancora oggi qualcuno si domanda che urgenza ci fosse nel puntare tanto entusiasmo nelle Primarie dell’autunno 2007. Si doveva eleggere il Segretario di un giovane Partito e si era finiti ad avviare una campagna elettorale per un candidato Premier poi pesantemente battuto quando si è trattato di “fare sul serio”. Sono passati due anni e siamo ancora lì, poco è cambiato.

Per fortuna non c’è il Centrosinistra al Governo, stavolta. Sarà scontato che il Segretario che uscirà oggi dalle Primarie del Partito Democratico si sentirà automaticamente investito del ruolo di candidato Premier, ma almeno stavolta non farà cadere il Governo. Non gli mancherà comunque l’allenamento nella comunicazione elettorale: tutto il 2009 è stato speso per presentarsi agli elettori delle Primarie invece di fare un’attività seria in Parlamento e in sede Europea.

Pochi mesi fa si sperava che la comunicazione politica del Partito Democratico cambiasse radicalmente, che dal fragore di “una consultazione dopo l’altra” si passasse a comunicare agli elettori i risultati dell’opposizione parlamentare. Poco è stato fatto, anzi: si sono bruciati dei profili che pochi mesi fa sembravano interessanti (Franceschini e Serracchiani sono i casi più evidenti) sull’altare di lotte intestine degne dell’operetta più che di uno dei maggiori partiti d’Europa.

Siamo tutti abbastanza stanchi di questo clima elettorale permanente e del fatto che, quando non ci sono elezioni in vista, le si crei in casa, con sperpero di denaro e soprattutto di tempo utile. Quando si ricevono messaggi sui social network da chi invoca le “doparie” (!) come strumento di governo del Paese, viene il mal di mare: si è snaturato lo strumento e l’entusiasmo dell’elezione bottom up dei propri candidati a ruoli di Governo, riducendo le Primarie a giochino annuale su qualsiasi cosa.

Il problema è che il Partito Democratico difficilmente potrebbe decidere qualcosa da solo, nonostante i mille organi oggetto di ilarità da parte di chi è stufo di vedere bizantinismi e lotte di potere. Chiunque sarà il Segretario uscente da questa ennesima consultazione, si spera si concentri sul suo ruolo: razionalizzare e rendere coesa la struttura di un Partito che esiste solo sulla carta e che è un’accozzaglia di correnti nella realtà, puntando su una comunicazione trasparente.

Se e solo quando sarà opportuno, il Segretario potrà diventare il leader di una coalizione elettorale e in qualche modo, in questa bizzarra Repubblica non-presidenziale solo sulla Carta, candidarsi a guidare l’Esecutivo. Nel frattempo, smettiamola con questa campagna elettorale permanente, con gli appelli agli elettori del venerdì e gli scimmiottamenti delle elezioni reali. Che si pensi a compiere gesti concreti e apprezzabili: poi, la comunicazione politica efficace verrà da sola.

Lucifero trionfa nella Metropolitana di Milano

Si era già parlato qualche tempo fa su queste pagine dell’interesse “forzato” che la pubblicità riesce a stimolare negli infiniti viaggi in Metropolitana dei pendolari delle grandi città: una specie di appiglio creativo durante viaggi in cui l’unica alternativa è scrutare gli altri viaggiatori, correndo il rischio di passare per maniaci.

C’è un piccolo grande fenomeno che tuttavia nessuno dei pendolari capisce davvero: le migliaia di scritte che, da oltre un decennio, appaiono frequenti nella Metropolitana di Milano. La maggior parte, infatti, prendono di mira Lucifero, commentandone azioni surreali, insultandone le sue abitudini sessuali e i suoi compari infernali.

La mano è sempre la stessa, anche se spesso cambiano gli insulti. Paolo Madeddu qualche anno fa scrisse su Urban un articolo sull’argomento, provando a farci sorridere su questo strano personaggio che, negli ultimi anni, ha sempre più concentrato la sua attenzione ai manifesti pubblicitari, diminuendo i danni altrove.

Lucifero è così il protagonista a posteriori di molti dei manifesti pubblicitari che accompagnano i viaggi quotidiani dei pendolari: i loro personaggi si ritrovano attaccati fumetti con i quali si scambiano battute e commenti su Lucifero. A volte le scritte diventano molto volgari, ma probabilmente fa parte del misterioso “gioco”.

A volte le scritte inneggiano a Baal, che dai più è conosciuto come una divinità fenicia, ma per il nostro è un demone al pari di Lucifero. Qualche volta appaiono altri personaggi e qualche disegnino infantile, ma in generale lo stile di comunicazione rimane basilare, sebbene non siano mancati i casi di citazioni colte all’interno dei fumetti.

La curiosità su “Lucifero infame” ha dato luce a canzoni, racconti, rassegne fotografiche, persino t-shirt. Nessuno ha una soluzione al mistero: come scrisse qualche anno fa Personalità Confusa, saremmo curiosi di guardare in faccia gli archeologi intenti a comprendere la città basandosi su centinaia di insulti incomprensibili a un demone.

L’ora dell’harakiri virtuale

La notizia del giorno è la chiusura definitiva di Maestrini per Caso, storico blog italiano ormai agonizzante da mesi. La notizia della settimana la scomparsa dal Web di Paul The Wine Guy, fresco trionfatore ai Macchianera Blog Awards 2009. Si potrebbe andare avanti così, citando le scomparse dal Web di Dr. Pruno, SuzukiMaruti, Capitano: heavy users di social network che di punto in bianco abbandonano la scena e scompaiono.

FriendFeed in questo ha innovato il rituale dell’harakiri virtuale. Se i Maestrini lasceranno il loro account saggiamente intatto su Blogger, nulla scomparirà dalla nostra memoria storica; al contrario, coloro che hanno cancellato il proprio profilo da FriendFeed, hanno gettato nella confusione totale decine di utenti, discussioni, gruppi. FriendFeed infatti cancella ogni traccia dell’utente sulla piattaforma, lasciando decine di discussioni zoppe.

L’efffetto è straniante, perché da un lato ci si rende conto di quanto tempo si è dedicato a partecipare a discussioni che oggi non esistono più perché trascinate nel cestino insieme ai loro autori; dall’altro, ci si ritrova a leggere propri interventi decontestualizzati e spesso surreali, in risposta a item non più esistenti. Fioccano le discussioni del tipo “Ma che fine ha fatto Mr. X? Perché è sparita Miss Y?”, trascinando tutta la questione nel melodramma.

Dispiace, d’altra parte, quando un amico “virtuale” sparisce dalla circolazione. Può avere mille motivi per farlo, ma se la sua scomparsa comporta la cancellazione del proprio blog o del prorio profilo dal social network più utilizzato, in qualche modo ci si sente traditi e amareggiati. Sembra di essere nella clinica del Dr. Mierzwiak in Eternal Sunshine of the Spotless Mind: ci viene chiesto di dimenticare qualcuno che non vorremmo mai abbandonare.

Ci sono stati casi di contatti virtuali morti davvero ed in quel caso l’effetto è ancora diverso: gli interventi sulle piattaforme pubbliche rimangono, freezati nel tempo; quelli sui domini proprietari spariscono dopo pochi mesi, sostituiti da laconiche pagine che chiedono il rinnovo di domini ormai senza padrone; i profili sui social network, Facebook in primis, vengono sommersi da ricordi, condoglianze, segni di affetto postumo.

Essere heavy user di Internet oggi non è più un voler scappare dal mondo: al contrario, significa vivere costantemente in contatto con centinaia di altre persone, condividendo piccoli eventi quotidiani e grandi riflessioni sul futuro. Siamo esseri di parole ed emozioni, con una sola preghiera comune: smettetela di fare harakiri quando vi siete stufati di interagire col mondo. Freezate la vostra presenza, ma non cancellate i nostri ricordi comuni.

E ora, che si fa con gli UGC?

Non c’è consulente di comunicazione e dintorni che in questo periodo non si stia arrovellando sui dubbi che le aziende clienti pongono, in maniera crescente, riguardo agli User generated contents ed alla loro valenza in chiave di marketing. I consulenti furbetti tirano fuori idee improbabili tanto per fare budget; quelli un po’ più coscienziosi esplorano strade magari un po’ “alternative”, ma che cerchino di posizionare le aziende in un panorama in cui partono perdenti.

Finita la fase dell’incoscienza, in cui le aziende minimizzavano i contenuti dei blogger, pochi ed elitari, è ora il momento della passione collettiva per il monitoraggio degli spazi pubblici. Fioccano strumenti di analisi semantica, rinverdiscono passioni sopite verso strumenti prematuramente definiti morti come i Forum ed oggi riabilitati grazie alla visibilità che i motori di ricerca continuano a riservare loro.

In quest’orgia di monitoraggio collettivo, c’è chi decide di passare all’azione. C’è chi lo fa con trasparenza, inglobando le risposte alle osservazioni dei clienti nei doveri del customer care e proponendosi con profili pubblici sui social network; c’è chi lo fa in maniera fraudolenta, con quella tecnica terribile chiamata infiltration che, è bene ricordarlo periodicamente, è illegale in tutta Europa, Italia compresa, non solo quando serve a danneggiare i concorrenti.

Nel secondo scenario, il rischio di figuraccia per l’azienda “scoperta” è tale che solo un marketing manager molto aggressivo potrebbe crogiolarsi nei possibili risultati positivi. Nel primo, invece, l’azienda che interviene pur a voce bassa nelle discussioni tra privati rischia di venire percepita come invasiva, anche se si limita a segnalare le caratteristiche dei propri prodotti. E così si torna al dubbio iniziale: cosa fare con questi benedetti/maledetti contenuti nati “dal basso”?

Probabilmente la risposta è prematura e solo le aziende con una forte cultura di marketing possono lanciarsi in sperimentazioni, magari fallimentari, ma utili per costruirsi un ruolo nell’ecosistema complessivo. Per le altre, forse è opportuno aspettare un momento e continuare a monitorare gli spazi pubblici in maniera non ossessiva, raccogliendo domande dalla discussione e dando risposte nei prodotti. La prossima volta, almeno, saranno gli utenti stessi a parlarne bene.