Chiama il 187

C’è una campagna pubblicitaria che in Rete sta riuscendo ad attirare ironie a senso unico: è quella che vede protagonisti Michelle Hunziker e John Travolta che, flirt dopo flirt, provano a convincerci della convenienza delle offerte ADSL di Telecom Italia. La protagonista, vestita da Alice (essere mitologico vestito di rosso che per anni ha infestato anche Francia e Germania), era già stata protagonista di una serie di spot con Max Tortora sulla stessa falsariga, poi bloccati dal Gran Giurì della Pubblicità perché ingannevoli.

Sarà per questo o perché Travolta faccia (ovviamente) fatica a parlare italiano, ma i dialoghi della nuova serie sono stati veramente limitati al minimo, rendendo ancora più improbabili le scenette. Prima la storia tra i due protagonisti italiani sembrava progredire, ora di spot in spot Michelle e John si avvitano su sé stessi in colloqui poco chiari, che culminano con un “Chiama il 187” a ciel sereno. Il che, con tutta evidenza, non è la più convincente delle call to action, specie per quello che potrebbe essere il target delle ADSL.

Cosa succede chiamando il 187? Dopo l’incipit della musichetta dello spot (un passaggio infelice della canzone Rain di Mika), rispondono annoiati operatori del call center che, dopo mesi di tentativi outbound, ora dovrebbero essere pronti ad una marea (?) di richieste proattive di sottoscrizione degli abbonamenti di Alice. Le altre TelCo stanno seguendo a ruota ed ormai la maggior parte degli spot termina con l’invito a chiamare un numero che però, contrariamente a quello Telecom Italia, ha spesso pura vocazione commerciale.

Sono anni che le pubblicità di Alice ADSL tornano su .commEurope. Segno probabilmente dei GRP costantemente alle stelle che, inevitabilmente, portano le campagne persino nell’immaginario di chi la TV non la guarda. Da questo punto di vista, ovviamente, Euro RSCG ha raggiunto un obiettivo importante. Ora però resta da vedere dove arriveranno i dialoghi, soprattutto nelle versioni short che, pur con tutta l’arte possibile di Alessandro D’Alatri, al momento suonano più come esperimenti dadaisti che come spot pubblicitari.

Raimondo Vianello, né totem né eroe

Quando pochi mesi fa è scomparso Mike Bongiorno, tra valanghe di tweet e video televisivi, saltava con forza alla luce come nella costruzione postuma del mito si fosse preferito esaltare gli anni della giovinezza, anche con qualche eccesso: non solo Rischiatutto o Lascia e Raddoppia, ma addirittura la figura di Bongiorno-partigiano. Merito soprattutto delle numerose interviste agiografiche maturate negli ultimi anni della propria vita, da Fabio Fazio in giù. Questo aveva creato una situazione surreale, con l’ex vicepresidente di Mediaset ritratto di continuo come eroe della Rai dei tempi d’oro, come incarnazione dell’Americano liberatore dell’Italia dai Nazisti.

Solo in Rete qualcuno ricordava anche il Bongiorno “cattivo”, quello che insultava le vallette che si permettevano di ironizzare sullo sponsor di turno o utilizzava le trasmissioni Fininvest come mezzo di propaganda politica. Voci minoritarie, comunque, visto che lo stillicidio a distanza Piersilvio Berlusconi vs. Mike Bongiorno vs. Silvio Berlusconi in qualche modo aveva posto il conduttore dalla parte dei “buoni”. Quella parte che ora a Raimondo Vianello sembra definitivamente preclusa. I giudizi verso quest’ultimo sono unanimi e prescindono dalla parte politica; anzi, sembrano unanimi proprio perché in qualche modo non c’è rischio di travisare la sua posizione politica.

In Italia, d’altronde, vita ed opere di qualsiasi personaggio noto vengono ormai letti solamente in tale chiave. Raimondo Vianello assurge così ad “eroe della Seconda Repubblica” grazie alla sua presunta coerenza politica di uomo di centrodestra in uno scenario profondamente mutato di decennio di decennio. Si vedono in televisione alcuni siparietti con Ugo Tognazzi, ma ci si affretta a ricordare come i cattocomunisti al potere ai tempi (?) non li vedessero in maniera così positiva; scorrono in TV, su Internet, persino nella camera ardente, le immagini di Casa Vianello, l’opera dell’anzianità che viene sistematicamente letta come sigillo della vendita al diavolo della propria anima.

La sua “colpa” è quella di essersi calato sempre più nei panni dell’impiegato modello: non gli viene criticata tanto la giovinezza nella Repubblica Sociale Italiana quanto la vecchiaia vissuta tra la casa di Milano 2, l’Ospedale San Raffaele, la chiesa di Milano 2, gli studi di Cologno Monzese. Quell’ultima parte della sua vita diventa per alcuni ingombrante testimonianza di fiducia incondizionata verso il proprio datore di lavoro, per altri semplice segno di affetto per chi ha rilanciato la coppia un tempo famosa (e molti altri, Mike Bongiorno compreso) negli anni in cui la Rai l’aveva messa nel dimenticatoio. Ed oggi i più giovani conoscono Vianello soprattutto come ex conduttore di Pressing.

I più grandicelli, ricordano Sandra Mondaini nei panni di Sbirulino farsi promotrice, tra i primi in Italia, delle campagne contro la lotto del cancro; pochi ricordano la coppia in obbrobri artistici come Crociera Vianello, eppure sembra ai più che solo quest’ultima fase riesca a connotare il “vero” Vianello, il pater familias un po’ burbero ma in fin dei conti dal cuore d’oro. Si cavalca il mito piegandolo al proprio sentimento, utilizzandolo come totem dell’antiberlusconismo o come interprete sincero dei valori familiari dell’italiano medio. Poi si guarda l’ultima esibizione pubblica significativa e si scopre che in fin dei conti è morto un vecchietto come tanti altri. Non un eroe, non un totem.

Bancoposta, il gigante con le ali legate

C’è un’azienda che negli ultimi anni ha visto crescere in maniera significativa la propria base di clientela nei servizi finanziari e non è una Banca: si tratta di Poste Italiane. Proprio quella che è partita dai Buoni Fruttiferi e dai Libretti di risparmio ed oggi mantiene 5 milioni di carte prepagate PostePay e 6 milioni di conti correnti. Bancoposta è uno degli Istituti che torna alla mente per primo nelle indagini di mercato ma non può fregiarsi del titolo di Banca. Il che, visti i numeri in gioco ed i prodotti/servizi distribuiti, è sicuramente una distorsione del mercato.

Le Banche considerano Bancoposta un concorrente a tutti gli effetti, ma c’è qualcosa che non va: la divisione di Poste Italiane soffre per l’impossibilità di aprire filiali, gli altri Istituti lamentano che la crescente offerta del Gruppo Poste Italiane ormai copra anche settori un tempo lontani da lettere e cartoline, come le assicurazioni danni, il risparmio gestito, la distribuzione di finanziamenti a breve e lungo termine. Nel frattempo, i feedback positivi da parte dei clienti Bancoposta vengono ricoperti dai classici insulti al servizio postale, con tutti i suoi vincoli.

I due servizi, d’altra parte, vengono gestiti dallo stesso staff degli uffici postali che, con tutta la simpatia possibile, non riesce a brillare per preparazione in ambito finance ed anzi soffre vistosamente per il dover “vendere” servizi che evidentemente non sente nelle proprie corde. Si tratta di un’occasione persa per tutto il sistema, proprio alle porte della liberalizzazione dei servizi postali prevista dall’Unione Europea nel 2011. Un momento molto importante, che sarebbe bello Poste Italiane potesse prendere come occasione di profondo rinnovamento.

Quella del Gruppo Poste Italiane è una situazione bizzarra: un’azienda da 150.000 dipendenti che vede entrare la concorrenza internazionale nel proprio core business, ma non può allargarsi liberamente in settori in cui dimostra “talento”: le vengono preclusi dal fatto di essere un’azienda ancora controllata al 100% dallo Stato che ne tarpa le ali per non turbare la concorrenza. La quale però è già andata a farsi benedire, messa in discussione da scelte che hanno tanto sapore politico e che mettono in difficoltà dei manager capaci, ma con le mani legate.

2Spaghi, per sapere sempre dove cenare

Capita raramente di dedicare post a singoli siti: qualche mese fa era stato il turno di MD80.it, portale specializzato nell’informazione sull’aeronautica civile per gli appassionati del genere; un po’ di tempo prima, si era parlato di BlogHotel.it, blog dedicato alla raccolta delle recensioni alberghiere internazionali da parte di clienti italiani.

Il sito di oggi è un po’ nella scia di quest’ultimo, sebbene il focus sia leggermente diverso: si tratta infatti di 2Spaghi, sito specializzato nel raccogliere il feedback degli utenti sui ristoranti italiani. Un progetto di nuova concezione, che negli ultimi mesi ha visto commenti positivi da parte di addetti ai lavori e semplici appassionati.

Quando ancora il termine era di moda, la piattaforma veniva etichettata come “Web2.0” allo stato puro. Gli elementi non mancavano: i rating, i tag, le funzionalità “social”, il wiki, i commenti degli utenti (votabili), l’integrazione con Facebook. Oggi la moda è passata, ma per fortuna siti come DueSpaghi continuano a crescere e raccogliere contributi.

Contributi che, bisogna ammetterlo, sono sufficientemente ruspanti da essere reali; scritti di pugno da clienti di estrazione e competenze diversi, ma tendenzialmente affidabili. Qualche volta spunta qualche piccola discussione tra i commenti dei singoli locali, ma nella maggior parte dei casi si forma un “flusso” di pareri che agevola la scelta del ristorante.

Ci sono sicuramente spazi di miglioramento nella piattaforma (es. la ricerca, un po’ troppo farraginosa), ma al momento 2Spaghi è la piattaforma italiana più affidabile quando si è alla ricerca di un posto interessante per andare a cena. Il che, per molti di noi costantemente in giro per l’Italia, equivale a dire: quando si è alla ricerca di un’ancora di salvezza.