Raimondo Vianello, né totem né eroe

Quando pochi mesi fa è scomparso Mike Bongiorno, tra valanghe di tweet e video televisivi, saltava con forza alla luce come nella costruzione postuma del mito si fosse preferito esaltare gli anni della giovinezza, anche con qualche eccesso: non solo Rischiatutto o Lascia e Raddoppia, ma addirittura la figura di Bongiorno-partigiano. Merito soprattutto delle numerose interviste agiografiche maturate negli ultimi anni della propria vita, da Fabio Fazio in giù. Questo aveva creato una situazione surreale, con l’ex vicepresidente di Mediaset ritratto di continuo come eroe della Rai dei tempi d’oro, come incarnazione dell’Americano liberatore dell’Italia dai Nazisti.

Solo in Rete qualcuno ricordava anche il Bongiorno “cattivo”, quello che insultava le vallette che si permettevano di ironizzare sullo sponsor di turno o utilizzava le trasmissioni Fininvest come mezzo di propaganda politica. Voci minoritarie, comunque, visto che lo stillicidio a distanza Piersilvio Berlusconi vs. Mike Bongiorno vs. Silvio Berlusconi in qualche modo aveva posto il conduttore dalla parte dei “buoni”. Quella parte che ora a Raimondo Vianello sembra definitivamente preclusa. I giudizi verso quest’ultimo sono unanimi e prescindono dalla parte politica; anzi, sembrano unanimi proprio perché in qualche modo non c’è rischio di travisare la sua posizione politica.

In Italia, d’altronde, vita ed opere di qualsiasi personaggio noto vengono ormai letti solamente in tale chiave. Raimondo Vianello assurge così ad “eroe della Seconda Repubblica” grazie alla sua presunta coerenza politica di uomo di centrodestra in uno scenario profondamente mutato di decennio di decennio. Si vedono in televisione alcuni siparietti con Ugo Tognazzi, ma ci si affretta a ricordare come i cattocomunisti al potere ai tempi (?) non li vedessero in maniera così positiva; scorrono in TV, su Internet, persino nella camera ardente, le immagini di Casa Vianello, l’opera dell’anzianità che viene sistematicamente letta come sigillo della vendita al diavolo della propria anima.

La sua “colpa” è quella di essersi calato sempre più nei panni dell’impiegato modello: non gli viene criticata tanto la giovinezza nella Repubblica Sociale Italiana quanto la vecchiaia vissuta tra la casa di Milano 2, l’Ospedale San Raffaele, la chiesa di Milano 2, gli studi di Cologno Monzese. Quell’ultima parte della sua vita diventa per alcuni ingombrante testimonianza di fiducia incondizionata verso il proprio datore di lavoro, per altri semplice segno di affetto per chi ha rilanciato la coppia un tempo famosa (e molti altri, Mike Bongiorno compreso) negli anni in cui la Rai l’aveva messa nel dimenticatoio. Ed oggi i più giovani conoscono Vianello soprattutto come ex conduttore di Pressing.

I più grandicelli, ricordano Sandra Mondaini nei panni di Sbirulino farsi promotrice, tra i primi in Italia, delle campagne contro la lotto del cancro; pochi ricordano la coppia in obbrobri artistici come Crociera Vianello, eppure sembra ai più che solo quest’ultima fase riesca a connotare il “vero” Vianello, il pater familias un po’ burbero ma in fin dei conti dal cuore d’oro. Si cavalca il mito piegandolo al proprio sentimento, utilizzandolo come totem dell’antiberlusconismo o come interprete sincero dei valori familiari dell’italiano medio. Poi si guarda l’ultima esibizione pubblica significativa e si scopre che in fin dei conti è morto un vecchietto come tanti altri. Non un eroe, non un totem.

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