Expo 2015, che paura

Alberto Fattori ci sta raccontando, con dovizia di particolari, l’avventura dell’Esposizione Universale di Shangai 2010. Ha iniziato a farlo ormai molti anni fa ed ora è arrivato all’apoteosi dell’entusiasmo: l’evento ha avuto ufficialmente inizio ad inizio maggio sia nel mondo fisico, sia in quello virtuale. Si può infatti visitare 150 padiglioni via Internet, tramite un sito che recupera in digitale i fasti architettonici dell’Expo di Shangai. Fasti giustificati dal numero impressionante di visitatori attesi e dal record di stand presenti: 240, cioè due volte quelli presenti all’Esposizione Universale svoltasi cinque anni fa in Giappone.

I Cinesi sono perfezionisti, sopratutto quando si tratta di grandi eventi internazionali. Le Olimpiadi di Pechino 2008 passeranno alla storia ccome quelle più “fredde” di sempre, ma questo è stato dovuto anche alla volontà degli organizzatori di far girare il tutto con la massima puntualità. Con l’Expo 2010 sembrerebbe si sia cercato di calcare un po’ la mano sugli aspetti emozionali dei tanti padiglioni, ma non è difficile immaginare un’attenzione altrettanto esasperata per cura dei dettagli ed ospitalità nei confronti di turisti e partecipanti internazionali. Una macchina ben oliata, che vuole stupire a tutti i costi.

In questo tripudio di efficienza, un pensiero marginale prende corpo e si traduce in una vera e propria paura tra tutti gli Italiani che gravitano intorno a Milano: cosa succederà all’Expo 2015? Considerando le lungaggini burocratiche, le lotte di potere, i cantieri non ancora avviati, gli interessi economici in gioco, lo scarso appeal del tema portante, un brivido scende lungo la schiena di chi si prepara a cinque anni di forsennati lavori per recuperare il tempo perso rispetto all’assegnazione dell’evento a Milano, oltre due anni fa. Ci piace correre, sperando che questo voglia comunque dire preparare il tutto per bene.

Forse solo buttarla in caciara potrà salvare l’esposizione di Milano. Come al solito, passeremo per il popolo del volemose bene, che magari non prepara gli eventi nel dettaglio come fanno i Cinesi, ma ci mette tanto cuore. Il che è un bel problema, visto che le colate immense di cemento resteranno nel corso dei decenni e dovranno essere ben progettate per non divenire inutili come è successo alle infrastrutture di Torino 2006 o cadenti come quelle di Italia ’90. Forse solo l’esperienza dell’Esposizione Internazionale di Genova, col Porto Antico rinnovato ed il nuovo Acquario, lasciano qualche speranza.

Tuttavia, dalle Colombiadi del 1992 saranno passati oltre 20 anni ed il mondo sarà cambiato: ai tempi, andare ad un’esposizione internazionale voleva dire confrontarsi con mondi e popoli lontanissimi; ora bastano un paio di ore in Rete per saperne di più e meglio. Nessuno ha mai capito quanti visitatori ci furono: al di là degli 1,7 milioni ufficiali, emersero biglietti venduti per meno della metà, con tanto di dimissioni del Sindaco ed un buco di decine di miliardi di Lire. Ora sono in ballo miliardi di Euro e si parla di decine di decine di milioni di visitatori attesi, su una durata di appena sei mesi, a cavallo dell’estate.

Avevamo bisogno di questo evento, è vero. Come è avvenuto per Torino, anche Milano ha cercato in un evento di portata internazionale la motivazione per chiedere a voce alta nuovi fondi contro il declino industriale della città. Non è un caso che ora si parli di Roma e Venezia come candidate alle Olimpiadi del 2020, ancora una volta con l’obiettivo di rilanciare l’economia locale e nazionale. Non possiamo però illuderci che bastino questi picchi per rilanciare territori e immagine del Paese: anche perché, una volta che le opportunità ci vengono regalate, poi siamo bravissimi a giocarcele come dilettanti.

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