Se c’è una cosa che infastidisce chi non è interessato allo sport, quanto e addirittura più dello sport stesso, è l’ossessione collettiva che gli eventi sportivi più noti fanno partire un anno sì e uno no: le Olimpiadi estive o invernali, ma soprattutto, gli Europei o i Mondiali di calcio, sono l’esempio perfetto.
Nel nostro continente i markettari attendono con ansia questi anni, solitamente pari, per ridisegnare un numero imbarazzante di campagne promozionali che ricordino, in modo diretto (diritti permettendo) o indiretto (un pallone o una bandiera nazionale non si negano a nessuno) l’Evento.
L’effetto sui non-sportofili, si diceva, è potente quanto e forse più di quello sugli appassionati: magari l’appello al tifo funziona con la Mapei di turno, ma diventa deleterio quando si cerca di puntare sui target che, ai festeggiamenti a notte fonda, preferirebbero passatempi magari meno popolari, ma molto più rilassanti in tempi di calura eccessiva.
In Italia come in Francia o in Germania, in queste settimane di Mondiali 2010, si creerà la consueta dicotomia quadriennale tra chi gode col frastuono delle trombette da stadio e chi aspetterà strenuamente che dal Sudafrica smettano le telecronache, che sui giornali si parli d’altro, che non spuntino più palloni su tutti i manifesti.
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