Requiem per Blockbuster e i suoi fratelli

L’etichetta di “zombie” venne affibbiata a Blockbuster a inizio 2006 da Edward Jay Epstein; sebbene i debiti fossero ancora sotto controllo, la puzza di cadavere iniziava ad aleggiare, soprattutto negli Stati Uniti. Netflix erodeva già fette consistenti del mercato del noleggio DVD e WalMart era ormai il primo player nella vendita di film, ma il peso della catena si sentiva ancora sulle decisioni più importanti nell’industria cinematografica. Non a caso l’aver dismesso il formato HD DVD da parte di Blockbuster era stato uno degli eventi che aveva dato via libera al Blu-Ray.

In Europa le cose andavano un po’ meglio, ma i tempi in cui i videonoleggi erano le attività presentate come “più promettenti” sui cataloghi di franchising, seppur distanti pochissimi anni, erano anche “culturalmente” lontani. Blockbuster si dedicava nel frattempo alla compravendita di videogiochi usati come sorta di business anticiclico, ma senza abbattere in maniera sensibile il pricing del core business. Al contrario, Blockbuster negli ultimi anni ha sì lanciato qualche promozione sui film in stock, ma si è ben guardata dal togliere balzelli come la multa per le consegne in ritardo.

Quando nella primavera dello scorso anno Alberico Tremigliozzi ha parlato di Chapter 11 sul suo blog, ha avviato una discussione tra Clienti e Dipendenti dei punti vendita Blockbuster, quasi tutti concordi nel definire fuori mercato il modello economico dell’azienda e ancor più della filiale italiana. Nel frattempo negli ultimi mesi sono spariti decine di punti vendita da città grandi e piccole, a causa di un mercato quasi del tutto asfittico come quello italiano, in cui la già flebile richiesta di cinema “premium” è servita (per chi può permetterselo) da TV satellitari e digitali.

La vetrina delle offerte di un videonoleggio a Reggio Emilia

Oggi che il fallimento di Blockbuster è più di un’opzione, più che la prevedibile morte della catena piangiamo anche l’imminente dipartita delle videoteche indipendenti che, come dimostrano vetrine così, ormai sopravvivono solo con offerte super-stracciate per i cinefili. Persino i film hard o le cibarie, come si nota, sono in saldo: i videonoleggi sono ormai di attività economiche rare, addio alle piccole miniere utili a chi volesse rivedere film magari vecchi, o magari comprare e conservare un disco cui si era particolarmente affezionati, magari non esattamente una pellicola di cassetta.

I Blu-Ray non avranno lo stesso successo del DVD proprio perché stanno lentamente sparendo i punti vendita propensi a vendere contenuti su disco, musicali o cinematografici. Muore Blockbuster come qualche anno fa morivano i negozi di dischi, spariscono i reparti dalla GDO e rimangono disoccupati migliaia di dipendenti e piccoli imprenditori. È un trionfo dopo l’altro della “bassa definizione”, è uno iato che si ampia tra chi può permettersi di andare quando vuole al cinema e chi si accontenta di quello che passa la TV di sera in sera, senza più opzioni alternative sotto casa.

Una settimana senza Web

Stufi di andare all’Estero e venire martoriati da tariffe senza senso? Può essere una scusa per staccare da Internet per un po’. La sensazione, soprattutto per gli heavy users della Rete, è quantomeno straniante: niente social network, niente video, niente giornali e così via. Il che, confrontato con la routine “quotidiana” di molti di noi, fa riflettere sul costante grado di interconnessione, solo per un attimo interrotta.

Andando in giro per una settimana con iPad e smartphone (ma senza BlackBerry, perché le notifiche delle e-mail, specie di lavoro, sarebbero un richiamo continuo alla vita di tutti i giorni), c’è tempo per rilassarsi, godere accompagnatori e luoghi da visitare, rimanere sereni senza pensare alla politica italiana, alle quotazioni dei titoli o ai check-in di chi ci tiene a farci sapere di essere alla fermata del tram.

Al massimo, il relax della vacanza (specie di quella all’Estero) regala un po’ di tempo spurio per leggere qualche articolo di approfondimento sulla tavoletta “wireless ma non troppo”, delegando a qualche hot spot gratuito Wi-fi un check saltuario della posta elettronica personale. La quale, privata delle notifiche dei social network, torna ad essere leggera e utile come pochi altri strumenti sulla Rete.

Rimane il problema della posta elettronica di lavoro, ma anche in quel caso un rapido check giornaliero, almeno nei periodi di “magra” come può essere agosto, è sufficiente; per il resto, ci si rende conto che le comunicazioni veramente urgenti arrivano via SMS. Se si riescono a evitare anche le telefonate, il mobile rimane un bel mattoncino per navigare le mappe ed evitare di perdersi in giro per il mondo.

L’esperienza merita di essere ripetuta più spesso. La cosa più divertente è poi tornare in Rete a curiosare sui social network e trovarli invasi di discussioni sulla presunta morte del Web. Dopo una settimana di astinenza, ci si rende conto di quanto il Web sia fondamentale e in tal senso si è felici di dar torto alle cassandre: a meno di non essere sempre in vacanza, è indispensabile. O quantomeno utile.

Tra le due litiganti, l’incumbent gode

Si discute, sui forum dei calciofili, degli spot bizzarri che in questi giorni circolano sulle reti Mediaset: il messaggio è tipo “Da quest’anno 12 squadre giocano su Mediaset Premium”, ma poi i protagonisti della campagna (tra cui Gerry Scotti) elencano 10 squadre e mostrano i relativi loghi. Sul sito fino a qualche giorno fa regnava ulteriore confusione: squadre con vasto seguito come la Sampdoria una volta erano dentro e un’altra fuori; solo da pochi giorni a livello puramente testuale vengono elencate 12 squadre, ma rimangono 10 simboletti sui banner.

Peccato per questa confusione, anche perché sin dall’esordio la comunicazione di Mediaset Premium è stata contraddistinta da spot di buona fattura e bello stile. La sensazione è che stavolta si corra per cercare di recuperare sottoscrittori in extremis prima della partenza (manca ormai meno di un mese) del Campionato di Serie A, anche se la colpa di tutto questo disordine è della procedura di assegnazione dei diritti da parte della Lega Calcio, che ha fatto l’altalena tra Mediaset e Dahlia fino ad esaurimento delle disponibilità delle due piattaforme.

Proprio la piattaforma nata dalle ceneri di La7 Cartapiù è la vittima di questo teatrino infinito, visto che ora deve costruire la propria offerta su 8 squadre abbastanza marginali; l’unico vero asso nella manica sembra la copertura completa del calendario di Serie B, anzi di serie bwin (notevole esempio di sponsorizzazione, molto più efficace del pleonastico “Serie A Tim”). Peraltro, la copertura sul territorio è ancora quella che è e forse solo il passaggio definitivo al digitale terrestre su tutto il territorio nazionale potrà consentire una vera competizione.

Chi vince davvero a mani basse? Naturalmente, Sky. Che può permettersi di comunicare con efficacia la copertura di interi campionati internazionali e spostare perciò il focus della propria comunicazione sulla qualità del proprio servizio, interamente in alta definizione, giustificando un costo notevolmente superiore dei propri abbonamenti. Sky è ancora l’incumbent in ambito pay TV e il prossimo debutto sul digitale terrestre (seppure con forti limitazioni) sarà uno sgambetto notevole a Mediaset e Fininvest. I maliziosi prevedono decreti governativi ad hoc.