Il Gruppo Coin e le sue mille identità

Grandi aspettative, per chi si occupa di marketing in ambito Retail, relativamente all’apertura dei nuovi punti vendita Upim, prevista per metà settembre. Sono passati pochi mesi dalla chiusura del deal che ha portato il Gruppo Coin a 900 punti vendita e si mormora che forse sia stato trovato un giusto equilibrio per la catena: un ritorno al passato di negozio multiforme, lontano dai tentativi di emporio-fashion-dei-poveri della precedente proprietà. C’è persino un concorso fotografico via Web che cercherà di far raccontare ai clienti stessi la “nuova” Upim.

Proprio il Web, d’altronde, è stata la vetrina Coin più chiacchierata nelle ultime settimane. Merito di un post di Max Trisolino che ha scoperto per caso la presenza di Coin su Foursquare e le relative offerte per i mayor, che si immagina siano i visitatori più assidui dei punti vendita della catena veneta. La presenza attiva in Rete era già stata notata da molti ed è sicuramente motivo di plauso per la catena, sebbene si spera venga superata presto lo scollamento con lo staff dei punti vendita, problema peraltro già notato più volte su .commEurope su altri contesti GDO.

Il Web infatti va avanti e macina tutto, ma commessi e cassiere (e punti vendita) della maggior parte delle catene Retail sembrano rimasti all’età della pietra. Certo non è facile, continuare a lavorare nelle catene italiane in eterna crisi di identità, soprattutto in quelle che si occupano di abbigliamento e dintorni, mentre i vari H&M e Zara crescono vertiginosamente in termini di presenza sul territorio, competitività e fascino esercitato sul pubblico. A volte sorge il dubbio che sarebbe il caso di cambiare del tutto nome e immagine ad alcune catene italiane.

Deve essere quello che ha pensato proprio il Gruppo Coin quando ha lanciato la campagna che segna un nuovo step verso il marchio OVS Industry da parte dei vecchi Oviesse. Una campagna con nomi importanti (Vaporidis, Elkann, Caracciolo Falck), curata da una star del Web, Scott Schuman di The Sartorialist, che però fa fatica a convincere i prospect di un significativo cambio di marcia, in termini di qualità e stile, di una catena che per rinnovarsi ha scelto di inserire nel proprio nome una sigla ostica unita all’inquietante termine “Industry”.

Non è la prima volta che Coin cerca di riposizionare la catena: se ne era parlato già qualche anno fa su [mini]marketing e ancora prima c’era stato il tentativo di Enzo Baldoni e delle Balene di buttarla sull’ironia. Sono sfide interessanti da osservare, ma probabilmente richiederanno intere generazioni per avere successo. Confidiamo nei risultati, perché il Gruppo Coin è un orgoglio per l’Italia, soprattutto in un momento in cui la concorrenza non arriva da Marte ma dai Paesi europei, con collezioni forse simili, ma “vissute” come migliori un po’ da tutti.

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