L’ipocrisia del pixel

Aprile 2009: una giovane campana, Noemi Letizia, racconta con entusiasmo ai giornalisti di aver festeggiato il suo diciottesimo compleanno in compagnia del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Incredulità generalizzata, mentre un turbinio di foto sexy della giovane ragazza scattate prima del compleanno (quindi da minorenne) invadono tutti i mezzi di comunicazione. La vicenda ha un forte impatto sulla vita privata delle persone coinvolte, compreso Berlusconi che viene lasciato dalla moglie Veronica Lario, al grido di «La strada del mio matrimonio è segnata, non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni».

Agosto 2010: nella campagna tarantina scompare la quindicenne Sarah Scazzi. Chi l’ha visto e altre trasmissioni televisive diffondono le immagini della ragazzina invitando chiunque sia a conoscenza di dettagli sulla vicenda di chiamare gli inquirenti. A inizio ottobre lo zio dichiara di averla assassinata, in collaborazione con la figlia: il frastuono sulla vicenda raggiunge livelli record, sopratutto in televisione. Le foto e i video di Sarah, anche quelli meno significativi presi dai profili sui social network della giovane tarantina, vengono riprodotti a ritmo continuo, con la giustificazione che si tratti di “ricordi” o di “tributi” alla vittima.

Ottobre 2010: Karima El Mahroug, diciassettenne marocchina, stupisce tutta l’Italia raccontando dell’amicizia intima con il Premier e il fatto che questi l’abbia salvata dalle grinfie della Questura quando ha avuto problemi con la Giustizia. La storia è sufficientemente torbida da far impazzire di gioia i siti Internet di informazione prima ancora della TV: corrono a prelevare le foto dal profilo Facebook “Ruby Rubacuori” e le pubblicano ovunque, pur con qualche pixel smosso a confondere gli occhi. Si apre un ampio dibattito sulla Rete e tutti aspettano con ansia la maggior età della ragazza (mancano poche ore) per poter parlarne liberamente.

La differenza tra quest’ultimo caso e i precedenti sta appunto in quei pochi pixel sul viso della diciassettenne. Solo Dagospia ha pubblicato sue foto molto discinte senza pixel sugli occhi, mentre tutte le altre testate hanno pubblicato foto simili e provocatorie, ma con quel velo di ipocrisia a coprire il voyeurismo congenito di chi ama consumare questi scandali. Abbiamo negli scorsi anni assistito a casi in cui i protagonisti minorenni delle vicende di cronaca sono apparsi senza pixel all’inizio e poi li hanno “guadagnati” quando inseriti nel registro degli indagati. Abbiamo visto togliere ogni privacy a Sarah Scazzi, solo perché morta.

In questi giorni alcuni quotidiani hanno pubblicato senza nessuna alterazione la foto del profilo di Karima, che ora dichiara di voler scrivere un libro sulle sue vicende; forse toglieranno definitivamente ogni pudore quando la signorina a breve sarà maggiorenne. D’altra parte cambierebbe poco: vedere lei (o la Letizia un anno fa) con seni e sedere di fuori solleticano le fantasie morbose al di là del volto. In fin dei conti, dice qualcuno, se una delle tante candidate minorenni a Miss Italia domani venisse coinvolta in una vicenda di cronaca, si ritroverebbe le foto del concorso sui giornali, col volto “pixelato”. Perché l’importante è l’ipocrisia.

Che aria tira nei programmi di loyalty

Anche quest’anno il tradizionale Convegno sul Micromarketing dell’Università di Parma ha regalato spunti interessanti. Dietro la cattedra, i migliori ricercatori italiani su loyalty e dintorni e qualche esempio di azienda virtuosa; tra i banchi, diverse centinaia di addetti marketing, consulenti vari e professionisti della grande distribuzione. Il miglior meeting sul tema disponibile in Italia, peraltro gratuito.

Nei convegni markettari anche l'acqua è sposorizzata :-)

Ascoltando interventi pubblici e spunti dei partecipanti, è evidente come nell’ultimo anno il panorama italiano sia profondamente mutato rispetto a quello presentato un anno fa. Il movimento è stato spinto soprattutto dai cambiamenti in ambito Grande Distribuzione Organizzata, ma anche dall’aumento esponenziale nel nostro Paese dell’attenzione dei markettari verso i social network.

Si è iniziato a discutere anche del futuro, in qualche modo simboleggiato dalla tecnologia mobile, che tutto sembra ammantare: il cellulare come strumento di raccordo tra consumatori e aziende, ma soprattutto tra clienti della grande distribuzione e catene, che piano piano stanno capendo opportunità e minacce del mezzo, anche se le sperimentazioni non sono sempre così convincenti.

Bisogna anche dire che i grandi numeri stanno ancora sulle iniziative tradizionali, raccolte punti in primis; la cosa notevole è che le ricerche presentate dimostrano un interesse modesto da parte dei sottoscrittori che, nemmeno a dirlo, sembrano attratti soprattutto dalle promozioni di prezzo più che dagli altri fattori. In un certo senso, non c’è loyalty che tenga davvero in tempi di crisi.

Nei prossimi giorni gli atti del Convegno verranno pubblicati sul portale che raccoglie le iniziative dell’Osservatorio della Facoltà di Economia dell’Università di Parma e dei suoi partner. La registrazione è gratuita, la visione dei documenti è consigliata anche a chi non c’era. Per tutti i lettori di .commEurope: ci vediamo a Parma il prossimo anno, non si può mancare.

Dalla mafia al mandolino

Verso fine settembre, un fantomatico Osservatorio Antiplagio scova tra le novità dell’App Store per iPhone e iPod un’applicazione chiamata What Country e comunica alle principali agenzie (l’Ansa ci casca subito) di aver chiesto al Ministero del Turismo italiano di intervenire per proteggere l’immagine dell’Italia, presentata come terra di “Pizza, Mafia, Pasta, Scooters”.

I media italiani si lanciano in filippiche contro Apple, accusata di maltrattare il Paese nonostante il grande affetto che di solito i suoi prodotti ricevono da queste parti. Michela Vittoria Brambilla dichiara che coinvolgerà l’Avvocatura dello Stato contro un simile scempio, preannunciando una battaglia a tutto campo per raggiungere un obiettivo così importante.

Il confronto tra la presentazione di 'What Country' prima e dopo l'intevento del Ministero del Turismo

Passano un paio di settimane e la notizia torna a galla, visto che l’applicazione è stata parzialmente cambiata. Il Ministro del Turismo inizia a girare tutte le principali trasmissioni televisive per decantare il suo successo, i telegiornali declamano la sconfitta di Apple e il trionfo del mandolino, che ora appare negli screenshot di presentazione insieme a un’Ape Piaggio.

Negli stessi giorni in cui l’Italia appare nel mondo come la Patria della cronaca nera a causa delle storie impressionanti che si succedono (ma non è una novità), ci illudiamo che le cose possano migliorare eliminano un piccolo software da un catalogo che ne contiene milioni. Farebbe quasi tenerezza, se l’attenzione riservata a questo caso non ci ricoprisse di ridicolo.

Gli eavy users dei social network si interrogano sul perché Apple non presenti una (giustificatissima) querela, visto che è stata tirata in ballo a più non posso. Gli unici a gongolare stanno in Bielorussia e sono quelli di Apalon, che producono l’app e come al solito (vedi il clamore sull’applicazione anti-Nazi) riescono a farsi pubblicità gratis, puntando sulla stupidità altrui.

Parma, colonia Mediaset

È una città deliziosa. Parma rappresenta a tutti gli effetti una punta di diamante in termini di vivibilità e qualità della vita. Più animata della seriosa Reggio Emilia e più accogliente della fredda Piacenza, è una città piacevole da visitare, da vivere, da gustare. Un vero e proprio regno dell’enogastronomia e della cultura, che attrae quotidianamente turisti da tutto il Mondo e costituisce un esempio per molte città italiane.

Parma è da sempre città favorevole alla comunicazione: il quotidiano locale ha quasi 300 anni, la radio locale è stata la prima in Italia, nata a metà degli anni Settanta, quasi in contemporanea con la prima televisione locale. Così, pochi si sono stupiti della crescente attenzione che Mediaset ha dedicato a Parma, definita dai giornalisti “città-tubo catodico” per i set che si sono succeduti negli ultimi mesi per le strade.

Il culmine di questo rapporto tra il Gruppo editoriale e la Città lo si sta vedendo in questi giorni: Mediaset è media partner del Festival Verdi 2010, la più importante manifestazione culturale (e turistica) annuale: Fedele Confalonieri ha avuto grande spazio in fase di presentazione dell’evento e il logo Mediaset rifulge su tutti i cartelloni. Ma è in televisione che questa partnership mostra tutta la sua potenza.

Da parecchie settimane, i mini-spot del Festival Verdi accompagnano l’inizio di diversi programmi sulle reti Mediaset. In questi giorni, i collegamenti da Parma si moltiplicano, anche in trasmissioni nazional-popolari come quelli del pomeriggio. Per la prima volta, il Festival Verdi sembra un evento alla portata di tutti, “Parma e le terre di Verdi” diventano un punto di interesse anche per i non appassionati.

Tutto bello e positivo, perché la “democratizzazione” della musica alta attraverso la TV è importante, specie in previsione dell’imminente bicentenario dalla nascita del grande compositore e in considerazione della pessima presenza su Web del Festival Verdi. Tutto bello e positivo, anche se nei locali della città emiliana i cittadini hanno idee contrastanti sul perché Mediaset sia così attenta a “presidiare” la città.

In quei locali, i più maliziosi notano come Parma sia da anni nelle mani di un Centrodestra bizzarro, succube di Elvio Ubaldi, non esattamente un fedelissimo della coalizione oggi al Governo. Anche in considerazione dell’avanzata massiccia della Lega Nord, risulta importante non perdere un cuneo così importante nella (una volta) rossa Emilia Romagna, anzi potenziarlo e assicurarsi che resista nel tempo.

Sono voci senza fondamento, magari, basate sul solito pregiudizio che Mediaset e Forza Italia (o quello che è diventata) siano gestite in maniera coerente e sinergica. Magari è solo in’infatuazione dei Manager televisivi nei confronti della bella città. L’importante è che Parma ottenga i benefici di questa esposizione ancora a lungo. D’altra parte i Parmigiani sono furbi, non si lasceranno stordire da un po’ di spot.

Gastrofanatici? No, però…

Ultimamente su Pollicinor fioccano i post food-related. Di queste tendenze ci si rende conto quando ci si trova nel mezzo: difficile prevederle, visto che un tumblelog segue necessariamente gli umori di chi lo scrive, ma anche il flusso informativo che lo circonda. E stavolta i segnali food-related, pur se inizialmente debolucci, si intravvedono oggi su numerosi blog e tumblelog.

Non si sta parlando dei siti delle cuoche/degli appassionati di cucina che descrivono le proprie ricette o semplicemente fotografano, spesso suscitando l’acquolina, le creazioni più riuscite; né delle piattaforme dedicate, tra cui brilla per completezza e qualità il network Dissapore. Ci si riferisce ai contenuti di chi la buona cucina la vive come fatto quotidiano, prima che come passione.

Molti di noi quotidianamente trangugiano junk food in ufficio, in attesa di una cena succulenta, che possa ripagare dalle fatiche quotidiane. A casa o al ristorante, poco importa: la voglia di mangiare bene si può declinare in maniera diversa a seconda delle opportunità e delle necessità del momento. E in qualche modo ciò che scriviamo in Rete ne risente, spesso positivamente.

I gastrofanatici sono in costante crescita, ma il profilo è diverso: servirebbe un’etichetta diversa per descrivere questo nuovo tipo di amanti della buona tavola. Se i primi sono appassionati di ingredienti sopraffini e smaniano di frequentare i locali suggeriti da Slow Food, i secondi ricorrono a 2spaghi e cercano un equilibrio quotidiano tra gusto, qualità, tempo, denaro, curiosità.

In termini di marketing, si tratta di un target molto interessante. Molti di noi non hanno la possibilità di inseguire pedissequamente i suggerimenti chic dei foodies più agguerriti, ma hanno disponibilità sufficienti (in termini economici e non) per sperimentarli, con modi propri; allo stesso tempo, non disdegnano di seguire i programmi televisivi che parlano di cucina in maniera leggera, spontanea.

Questo gruppetto di persone sta soffrendo, in questi giorni, a schierarsi con Stefano Bonilli o con Benedetta Parodi: sentono in maniera istintiva di dover dare ragione al primo, ma non riescono a disapprovare del tutto l’approccio pragmatico della cuoca televisiva. Di solito non è bello rimanere in mezzo al guado, ma stavolta ciò che conta è la bontà del cibo più che delle idee.