La strada di Diaspora? Lunga lunga

La paura che la fine di FriendFeed sia vicina è ormai stabile quanto l’etichetta “Beta” sui siti che ancora si fanno chiamare Web2.0 nonostante l’odio generalizzato verso questa espressione. Un qualcosa di irrazionale, che però continua a mietere proseliti. Anche quelli che fino a qualche settimana fa si mostravano “razionali” nei confronti della crisi della piattaforma, dopo l’ultimo week-end nefasto hanno iniziato a guardarsi in giro.

Così, nelle stesse ore in cui per la prima volta Facebook citava FriendFeed sulle sue pagine come “laboratorio” in cui sperimentare il nuovo sign-on tramite il social network blu, molti di noi sono caduti nella “trappola” di Diaspora. Che la label Beta ancora se la sogna, visto che fa chiamare Alpha una versione che un tempo per decenza non si sarebbe fatta vedere a nessuno. Tantomeno al grande pubblico, per quanto “su invito”.

Vista la viralità degli inviti (ne vengono assegnati 5 a ogni nuovo sottoscrittore), peraltro, è bastato un week-end perché centinaia (migliaia?) di utenti stanchi di FriendFeed andassero a cercar (per poche ore) pace altrove. Il risultato è che oggi i nostri profili stanno lì, tendenzialmente vuoti, incapaci di accogliere input da social network esterni (come avviene per le altre piattaforme) e timidamente linkati ai profili su Facebook e Twitter.

Diaspora ha tanta strada da fare, ma come si ricorderà aveva ottenuto discreta visibilità sui media già ai tempi dell’annuncio, grazie al mini-investimento di Mark Zuckerberg che, più che essere masochista e contribuire al vero nemico di Facebook, ha saggiamente investito su un laboratorio che, necessariamente, dovrà portare innovazione per distinguersi sul mercato. Innovazione che, onestamente, al momento manca.

L’unico punto distintivo, infatti, è la (remota?) possibilità di installare Diaspora su propri server; per il resto, a parte qualche bizzarra uscita di marketing, siamo al solito scrivi-il-tuo-nome, metti-in-lista-i-tuoi-amici, carica-la-fotina-del-profilo. Aspettiamo di vedere i risultati dell’evoluzione, anche se si sperava in qualcosa di più sconvolgente. O almeno in un clone di FriendFeed, che nella sua semplicità ci piace ancora tanto.

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