Regalare il Kindle (visto quanto costano gli e-book)

Su queste pagine i giudizi nei confronti di Amazon Kindle non sono mai stati del tutto positivi. Il più famoso tra i lettori di e-book sin dal debutto sul mercato non ha brillato per innovazione tecnologica o ergonomia, ma va riconosciuto come sia riuscito a diventare l’oggetto più amato dai clienti del superstore di Seattle.

La sua vita su Amazon scorre ormai tranquilla: periodicamente vengono rilasciate nuove versioni che migliorano parzialmente l’esperienza utente, ma è ovviamente la crescente disponibilità di libri digitali che cerca di fare la differenza rispetto agli altri terminali; il modello è sempre più simile all’ecosistema iTunes/iPod di Apple.

Il prezzo finale dei libri non è particolarmente competitivo: spesso le versioni elettroniche dei libri costano quanto (o addirittura di più) di quelle cartacee. In loro favore c’è ovviamente la comodità di un testo virtuale, ricercabile e oggi addirittura prestabile a terzi; sui lettori forti, però, il cartaceo esercita ancora fascino.

Negli scorsi giorni il cofondatore di Wired Kevin Kelly ha ipotizzato che il pricing decrescente del Kindle possa presto arrivare a zero, o quantomeno essere affogato in bundle relativamente economici, sostenuti appunto dal costo più o meno integrale dei libri elettronici; il successo potrebbe trasformare il Kindle in uno standard.

Per quanto i (semi-)monopoli non siano mai augurabili, ci sarebbe bisogno di un po’ di standardizzazione nel settore; dall’altra parte, i negozi di libri digitali (anche in Italia) sono ormai diversi, quindi qualcun altro potrebbe prendere spunto dall’idea prima di Amazon stessa. Magari un editore di periodici, magari in Europa…

Sanremo 2011 e il trionfo di Luca e Paolo

Se l’anno scorso il Festival di Sanremo era stata una sorta di sintesi politica della situazione culturale italiana, quest’anno basta scorrere i video su YouTube e Rai.tv per cogliere la sensazione di uno spettacolo piacevole. Il merito per molti va alla direzione artistica di Morandi e Mazza, ma è evidente che lo show ha funzionato nel complesso. I commenti sugli artisti di sempre quali Pravo o Albano, sono i soliti di ogni anno; è vero che ci sono state un po’ di chicche in più come la presenza dei La Crus (o di ciò che ne rimane) o dello stesso trionfante Vecchioni, ma in uno spettacolo da 4-5 ore di televisione per 5 giorni consecutivi non basterebbe portare anche i musicisti più bravi.

La differenza l’ha fatta così lo spettacolo portato sul palco dai cinque presentatori, che con ruoli diversi e complementari sono riusciti a destreggiarsi tra ospiti imbarazzanti quali De Niro, arroganti come Williams, ingombranti come Benigni. Morandi ha fatto il lavoro sporco, Canalis e Rodriguez sono uscite dallo stereotipo di vallette. E poi ci sono stati Bizzarri e Kessisoglu. I due artisti genovesi, oltre ad aver condotto parti importanti dello show, hanno anche cantato, recitato sketch comici, letto brani di Gramsci e reso omaggio alle esibizioni di vecchie coppie d’oro dello spettacolo italiano. Sul Web l’audience delle loro performance supera quella di molti cantanti.

Luca e Paolo sono stati negli anni tra i pochi attori di successo nelle short-com italiane, hanno scritto e/o interpretato film interessanti e spesso (ma non pedissequamente) divertenti, hanno condotto programmi di culto come Ciro o Le Iene, hanno girato l’Italia coi loro spettacoli. Solo ora però sembrano ottenere il meritato successo di massa. Molti di noi hanno vissuto il Festival senza televisore o radio, ma partecipando via Web a comunità come Remo contro Sanremo o commentando su Twitter tutti i passaggi dello spettacolo. Così abbiamo saputo del disastro continuo dei fonici, ma anche delle perle, musicali e non: Luca e Paolo hanno avuto molti feedback positivi.

In questo doppio successo presso la “massa” televisiva e presso gli Internettari senza televisore, Bizzarri e Kessisoglu hanno attirato anche numerose critiche, dovute al continuo tentativo di equilibrare la critica sociale e politica durante i propri interventi, spesso sul filo del qualunquismo ma sempre riscattati da piani di lettura magari sofisticati, ma premianti. Il tutto poi ha assunto una luce diversa con lo sfogo finale, almeno all’apparenza molto istintivo, contro il “bipartizan a tutti i costi”. Paolo e (soprattutto) Luca si sono esposti e sono riusciti ad attrarre l’interesse di un pubblico eterogeneo in un momento di enorme spaccatura sociale. Massimo rispetto per due bravi artisti.

Altro che Nokia: la sfida è sempre tra Microsoft, Google e Apple

Tutti giù a dare contro Nokia e la sua scelta, da molti ritenuta suicida, di scegliere Windows Phone come sistema operativo per i propri smartphone. La scelta è sicuramente discutibile, anche se probabilmente obbligata: la fine ingloriosa di Symbian e l’incapacità di investire seriamente su MeeGo richiedeva di puntare sull’unica piattaforma vagamente alternativa all’ormai onnipresente Android.

La faccenda poteva essere gestita meglio, almeno a livello di comunicazione: molti altri aspetti del nuovo piano strategico di Nokia sono passati in secondo piano, compresa la dichiarazione di volersi posizionare come fornitore principale del prossimo miliardo di futuri utilizzatori di cellulari. Potrebbe un giorno risultare una scelta valida puntare sui volumi piuttosto che su terminali di fascia alta.

Il lato osuro è che Nokia sia uscita dalla vicenda come l’ennesima pedina in mano a Microsoft in un’arena molto più ampia, quella del personal computing, in cui proprio Google è il competitor più agguerrito. Microsoft continua a tessere la sua tela, che include attori come la moribonda Yahoo! e la promettente Facebook; Google impone direttamente il suo marchio, con qualche partner hardware.

Il terzo incomodo è Apple, che rispetto all’approccio mass market di Microsoft e all’approccio geek-friendly di Google punta speditamente su un pubblico di alta gamma. E macina utili, lei sì senza partner né hardware né software, mostrando agli altri due player che non c’è bisogno di organizzare ogni volta un’armata brancaleone per mostrare al mondo il proprio predominio sul mondo dell’high tech.

Le molte vite di Daniel McVicar

Quando negli anni Novanta Beautiful era riuscita a diventare un fenomeno di costume da prima serata, persino noi (ai tempi) ragazzini maschi conoscevamo volti e principali caratteristiche dei personaggi principali: Ridge, Brooke e tutti gli altri erano stati accolti nella nostra cultura popolare come veri e propri eroi di un nuovo tipo di narrazione, lontanissima dalle serie TV all’italiana, ma anche dalle telenovelas brasilane.

Tra i personaggi che avevano incuriosito di più i non-appassionati, sicuramente spiccava tale Clarke Garrison, un tipo un po’ losco ma che faceva sorridere le sciure grazie ai siparietti con una buffa signora coi capelli rossi. Il personaggio, allora e per molti lustri successivi, era interpretato da Daniel McVicar, uomo di bell’aspetto apparso nella serie a meno di 30 anni e oggi cinquantenne, invecchiato come il resto del cast.

Fin qui la storia potrebbe essere quella di tutti i personaggi (e dei relativi attori) della fortunata serie statunitense. La vita di Daniel McVicar cambia infatti pochissimi anni fa: nel 2006 apre un Vlog e inizia a dimostrare una certa predisposizione a coniugare entertainment, produzione televisiva e conoscenza del mondo digitale. Questa esperienza sfocia in un’attività imprenditoriale, Magmawave, con sede a Los Angeles.

Per ovvi motivi, i nuovi fan “digitali” di Daniel sono molto diversi da quelli della sua esperienza storica nella soap opera. L’attore però è intraprendente e poiché ormai la sua partecipazione a Beautiful sta esaurendosi, nel 2007 capisce che è il momento di capitalizzare quell’esperienza sul target di riferimento prima che venga dimenticato, partecipando a Notti sul ghiaccio 2, in Italia. Scriveva allora Lord Lucas:

«DANIEL MCVICAR (48 anni), attore, è il Clarke di “Beautiful”. “Mi sono fatto un provino da solo a Los Angeles e l’ho spedito via Internet. Non so pattinare, ma ho colto la sfida perché è uno show elegante”. La sua partner è Virginia De Agostini. Nome in codice: Trichecone.»

Quell’esperienza cambia profondamente la vita dell’attore. Si innamora della sua istruttrice di pattinaggio e si trasferisce in Italia, portando qui anche la sua attività professionale. Magmawave inizia così a lavorare a Torino, sempre con un baricentro forte nel suo fondatore e la tendenza virtuosa a mescolare tipi di media diversi per pubblici diversi. Daniel McVicar insomma si smarca definitivamente da Clarke Garrison.

Di lui non si hanno grandi notizie negli ultimi anni: diventa un imprenditore della comunicazione come altri, con qualche puntata nel mondo di TV e cinema. Ricompare sui giornali a inizio 2011, quando annuncia con grande dolore la scomparsa del giovane figlio per un incidente in auto a Los Angeles. Poi, pochi giorni dopo, una notizia di segno completamente opposto: farà parte del cast dell’imminente Isola dei famosi.

Non è difficile immaginare che, se Daniel riuscirà a superare il dramma familiare e mostrare il suo carattere duro ma affascinante, potrà ricostruirsi un nuovo ruolo nell’immaginario delle spettatrici del reality show. Questo ovviamente avrà ripercussioni positive sulla sua carriera, magari con l’avvio dell’ennesima vita, con un nuovo risvolto del suo mestiere di comunicatore a tutto tondo. In bocca al lupo, Mr. McVicar.