Vip italiani alle prese con Twitter

Non c’è a memoria d’uomo un fenomeno tecnologico che abbia avuto così tanto successo “pubblico” tra i personaggi noti di tutto il mondo come Twitter. Non certo MySpace prima o Facebook poi, spesso appaltati a terzi; probabilmente nemmeno la posta elettronica, che è rimasto uno strumento a utilizzo privato e non certo strombazzato.

Il vip che usa Twitter invece tiene a far sapere a destra e a manca che “c’è”, che è parte della moda del momento e che in qualche modo ha trovato un modo di parlare con i fans. Dialoghi peraltro piuttosto monchi; la maggior parte si riduce a richieste tipo “Mi retwitti?” da parte dei secondi e a un clic sull’apposito bottone da parte dei primi.

Probabilmente ci saranno utenti di Twitter che trovano piacevole leggere i dettagli privati della vita quotidiana dei personaggi più noti, senza aspettare che escano, magari in luce impropria, sulle riviste scandalistiche; ma la sensazione è che la maggior parte sia lì per poter dire agli amici “il mio mito è a distanza di @chiocciola”.

La stragrande maggioranza delle interazioni è rumore che inquina i contenuti, magari (sulla carta?) di valore, che il vip vorrebbe trasmettere ai suoi seguaci. Probabilmente la facilità di poter twittare dal telefono fa sì che i personaggi noti vivano Twitter come una sorta di SMS broadcast, un canale gratuito per gridare al mondo il proprio verbo.

I twittatori più scafati se ne approfittano. Qualcuno si sta costruendo una piccola notorietà tra i peers come “brutalizzatore” dei vip e non è difficile credere che molti ne seguiranno l’esempio. Come sempre, non c’è niente di meglio di fare i parassiti delle persone più note per sperare un giorno di poter riflettere di luce propria.

Di usi “interessanti” se ne vedono pochi, quasi nessuno. È un mondo in via di costruzione e probabilmente quando la moda sarà passata molti personaggi famosi cambieranno aria. La grande curiosità è di vedere cosa rimarrà di questo enorme innamoramento collettivo, quali saranno le modalità di comunicazione che adotteranno i superstiti.

Il Sanremo del terribile sospetto

Nel 2010 il Festival di Sanremo era sembrato uno specchio della realtà italiana, con gli orchestrali che strappavano gli spartiti e gli operai Fiat di Termini Imerese che reclamavano attenzione; nel 2011 il team di Morandi era ben assortito e in qualche modo la qualità della canzone di Vecchioni aveva rotto il piccolo incantesimo che nel biennio aveva portato i cantanti sardi di Maria De Filippi a vincere, relegando Emma Marrone al secondo posto.

Quest’anno sarebbe stato facile procedere sullo stesso solco, ma la voglia di cambiamento di Mazzi e Morandi ha creato più danni alla manifestazione che vantaggi agli spettatori. La terribile modella versione jena ridens ha fatto rimpiangere persino Rodriguez e Canalis dell’anno scorso, non a caso richiamate last minute e diventate protagoniste delle cronache; interventi comici imbarazzanti hanno fatto ripensare a Luca e Paolo, anch’essi ri-tirati fuori ad hoc.

L’aspettativa irrealistica nei confronti del Festival di Sanremo 2012 probabilmente non era tanto un alto profilo in termini di spettacolo, quanto che l’evento diventasse il sigillo culturale a un’Italia improvvisamente cambiata, che comunicasse a noi stessi e al mondo esterno quanto la “cura Monti” stesse cambiando in profondità il nostro modo di affrontare il mondo. Ma ora che è finito, il terribile sospetto è che noi Italiani si sia sempre gli stessi, fino in fondo.

Per usare le espressioni di Luca, si è visto piuttosto solo come sia stato sancito il «dominio televisivo, guardando schifati programmi tv considerati spazzatura e farne la critica/cronaca su Twitter», visto che il dibattito pubblico non è stato certo diverso nei bar o sui social network: tutto incentrato sulle polemichette di Celentano, sulle provocazioni di Belen, sulle papere di Morandi. Il programma televisivo sarebbe potuto andare in onda 5 anni fa, senza differenze.

Nel segno della continuità, Gianmarco Mazzi che ha visto vincere 3 volte (più un secondo posto) gli Amici di Maria De Filippi, andrà a collaborare proprio con quella trasmissione. Gli altri protagonisti del Festival si spenderanno la notorietà raggiunta, primo tra tutti Papaleo che dopo essere stato per qualche mese l’idolo dei radical chic ha voluto con questo Festival rimarcare le sue origini più “pop”. Rimarrà qualche canzone nelle radio, pur se mediocre.

Probabilmente il prossimo Festival di Sanremo, nel 2013, sarà a ridosso della chiusura della Legislatura e delle nuove Elezioni politiche. Non è difficile immaginare che i germi culturali così forti negli ultimi lustri, apparentemente sopiti nell’edizione di Sanremo dello scorso anno e pian piano tornati a galla in questo, nel frattempo avranno riconquistato tutta la loro forza. Altro che quel cattivone di Monti, meglio andare appresso ai pifferai magici della TV.

È l’ora dei Mobile Payments? (Sì, ma svegliamoci)

Si è tenuto oggi a Milano il Convegno conclusivo dell’edizione 2011/2012 dell’Osservatorio NFC & Mobile Payment del Politecnico di Milano. Un evento interessante e ben organizzato, come è nella tradizione della School of Management MIP; ma di questo ci sarà sicuramente modo di parlare in altra occasione. L’attenzione di oggi è invece tutta per il contenuto presentato dagli innumerevoli relatori che si sono alternati durante il corso della giornata sui palchi. Basta dare un’occhiata al’imperscrutabile tag #onmp11 per intuire quanto fossero eterogenei i partecipanti e quindi i temi toccati, ufficialmente e non.

Quello dei Mobile Payments è al momento un tema che in questo momento interessa molti attori/industry (banche, compagnie telefoniche, società di consulenza, service provider, consorzi di varia natura) e tante funzioni aziendali (IT, Marketing, Sales, Organizzazione, Operations). Ma il Cliente finale è pronto? Il titolo del Convegno, “Mobile Payment: se non ora quando?” voleva essere emblematico in tal senso, riassumendo l’aspettativa (quasi angosciante) oggi palpabile nelle sale. Di fatto tutti dicono di essere interessati e pronti a considerare opportunità, eppure per l’ennesimo anno il mercato è semi fermo.

Fa piacere sentire che Intesa Sanpaolo stia conducendo un pilota “serio” o che società come Ubiquity, Reply o Movincom abbiano ormai piattaforme funzionanti sul mercato e disponibili per chi vuole far sul serio; è da biasimare chi risponde che il pagamento hardware tramite NFC sia l’unica via. A furia di aspettare che un numero significativo di utenti e soprattutto di esercenti si dotino di hardware, si sta rischiando di buttare il bambino con l’acqua sporca. Passi per i ricercatori del Politecnico e il loro approccio accademico; ma dai tanti uomini di marketing presenti al convegno di poteva sperare in più lungimiranza.

Un altro anno è passato e non è difficile immaginare che tra un anno saremo tutti di nuovo seduti al Convegno a sentire qualcuno dire che è imminente, questo sarà l’anno giusto e come per miracolo tutti avranno cellulari NFC e POS adeguati. Si può solo sperare che, come hanno fatto Banca Sella, Privalia, McDonald’s e pochi altri player, si finisca col chiacchiericcio e si punti seriamente su sistemi che offrano vantaggi reali per il Cliente e sostengano una visione commerciale di medio-lungo periodo. Perché mai come in questo caso la tecnologia è abilitante, ma il marketing è l’unica leva che la trasforma in valore per tutti.

Buon trentennale Radio Deejay

Oggi Radio Deejay compie trenta anni. Un traguardo rilevante, vissuto negli scorsi anni da pochi altri grandi network nazionali e che solo tra molti anni potrà essere eguagliato dalle emittenti concorrenti. In un mercato come quello radiofonico, in cui gli ascoltatori spesso si innamorano dei singoli programmi più che della rete che li ospita, probabilmente Radio Deejay rappresenta una storia particolare.

Pur accentuando un’esasperata autorefenzialità, la direzione di Linus ha portato la radio a mantenere più che la leadership degli ascolti (dato che nell’ultimo biennio ha perso valore a causa della crisi Audiradio) una vera e propria predominanza culturale sulle generazioni attive, non più solo quelle giovani di un tempo ma anche tra gli adulti, che sono proprio i giovani di un tempo, cresciuti nel culto dell’emittente.

Culto in senso buono, ovviamente. È che fa emozionare leggere le righe di Linus a margine della mega-festa di ieri e ancor più i commenti degli ascoltatori, presenti fisicamente o precipitatisi ad ascoltare il live, per festeggiare insieme il senso di appartenenza “all’intera famiglia” che contraddistingue gli ascoltatori di Radio Deejay rispetto alle pur consistenti community dei programmi delle altre radio.

Il programma quotidiano di Linus e Nicola Savino è un gioiellino, ma non è difficile credere che i suoi affezionati ascoltatori preferiscano mantenere la radio sintetizzata sull’emittente che sentono “vicina” piuttosto che fare zapping come avviene con le TV. E a proposito di televisioni, anche Deejay TV negli ultimi anni è riuscita a crearsi una sua visibilità, seppur limitata rispetto alla posizione 9 nell’LCN.

Auguri dunque a Radio Deejay e ai suoi ascoltatori. Probabilmente tutti noi abbiamo avuto nel nostro percorso uno o più periodi da heavy listeners di questa radio, che 30 anni dopo la sua nascita continua a distinguersi con forza dalle altre. Rimane solo il terrore di cosa possa succedere quando Linus mollerà la baracca, anche solo per limiti di età. Riuscirà la radio a mantenersi viva e unica come è oggi?