Dieci fantasmi della Rete

Piccola lista di piattaforme morte (ufficialmente o meno) che magari vi faranno sospirare e dire “Ah, io c’ero” o “Che fine ingloriosa”…

  1. Geocities

    Gli indirizzi chilometrici degli orripilanti spazi Web ospitati gratuitamente da Geocities derivavano dall’idea che il Web fosse una città in cui passeggiare allegramente di boulevard in boulevard. Venne comprata da Yahoo! e poi massacrata fino alla scomparsa. Memorabile il tributo di XKCD.

  2. Ezboard

    Nel periodo in cui Rete sociale significava forum, ezboard.com rappresentava la piattaforma remota più interessante, pur non brillando per flessibilità. Furono tra i primi a tentare la strada dell’iscrizione a pagamento, fino a una drammatica e semi-totale perdita dei dati. I resti oggi si chiamano Yuku.

  3. Freeweb Aspide

    Nei primi anni di presenza della Rete in Italia, Freeweb era un servizio dell’ISP fiorentino Aspide e rappresentava una risposta più che valida a Geocities o Tripod. Il servizio confluì in Dada quasi in contemporanea al suo omonimo Freemail (nomen omen). Esiste una pagina fan su Facebook.

  4. Jaiku

    Twitter era una nanerottola una manciata di anni fa, non così dissimile da Jaiku. Quest’ultima sembrò potesse diventare l’alternativa (nord)europea al più noto servizio di microblogging. Quando venne comprata da Google, sembrava potesse decollare, invece morì. Rimane una laconica paginetta di fans.

  5. Second Life

    Non lasciamoci illudere dal fatto che la piattaforma 3D più chiacchierata degli anni 2000 sia ancora formalmente aperta. Se nel 2007 tutti avevamo tanti punti interrogativi sulla testa, oggi possiamo considerarla un’esperienza finita. Da notare che al picco arrivò ad avere meno di 100.000 utenti contemporanei.

  6. MSN Spaces

    Degno erede di Geocities in termini di look’n’feel terribili, era la piattaforma che ospitava i blog dei ragazzini di tutto il mondo. Sopravvisse a qualche rebranding/tentativo di rilancio di Microsoft, superando abbondantemente i 100 milioni di spazi. Fu proposto agli utenti di switchare su WordPress.com.

  7. Orkut

    Anche i sassi sanno che Orkut ancora esiste (formalmente), che è un marchio di Google e che è uno dei principali social network in Brasile. Quello che però tutti ci siamo dimenticati è che nel 2004 Orkut esisteva già, molti anni prima dell’affermazione mondiale di Facebook. Un’altra chance persa per Google.

  8. LinkExchange

    Quando i sistemi di Web advertising non erano molto evoluti e i budget del tutto risibili, era frequente ricorrere ai sistemi di scambio banner per dare un po’ di visibilità al proprio sito. Venne comprata da Microsoft all’apice della notorietà, poi inglobata nella defunta meteora Office Live Small Business.

  9. ICQ

    Per anni fu “IL” sistema di instant messaging, semi-monopolista al di fuori degli Stati Uniti, dove competeva col client di America Online, AIM. Proprio AOL comprò la piattaforma dall’israeliana Mirabilis, negli anni in cui lo standard mondiale stava diventando MSN Messenger. Gli account sono ancora attivi.

  10. FriendFeed

    Senza voler alzare flame war, visto che in Italia e in Turchia la comunità è ancora abbastanza attiva, FriendFeed è purtroppo una piattaforma morta. Lo sviluppo si è fermato all’agosto 2009, quando la società venne inglobata da Facebook, che ne adottò le principali tecnologie. Un vero peccato.

La comunicazione di Eataly in tempi di crisi

La telenovela più lunga degli ultimi anni in ambito Retail è quella di Eataly Roma al Terminal Ostiense: uno spazio enorme per accogliere il consueto “mercato” di cibi di alta qualità, accompagnato stavolta da una quindicina tra ristoranti, birrificio, gelateria, friggitoria etcetera. Un notevole sforzo economico per la compagnia di maggior successo degli ultimi anni, una bella occasione di lavoro per molti romani.

Eataly non fa certo beneficenza, visti i margini importanti applicati su prodotti di tipo e qualità eterogenei, ma tendenzialmente più elevati rispetto agli standard della grande distribuzione. Eataly sicuramente fa cultura: ogni punto vendita ospita periodicamente eventi che vanno al di là del semplice corso di cucina for dummies. Eataly fa anche comunicazione a modo suo, nello stile “originale” di Oscar Farinetti.

Si consideri ad esempio il testo del manifesto intitolato «Almeno mangiamo e beviamo bene» presente attualmente nei suoi punti vendita

«In questo periodo di crisi conviene tenere alto il morale e reagire. Ormai il cibo rappresenta meno del 25% della spesa. Conviene risparmiare sul rimanente 75%. Inoltre il cibo ha subito meno rincari di altri prodotti in questi ultimi anni. Quello di alta qualità costa poco di più. Se decidi poi di mangiare e bere meno (che ti fa solo bene) spendi addirittura meno. Quindi vieni da Eataly, mangi e fai la spesa. Impari pure qualcosa e stai in buona compagnia.»

oppure un altro testo tratto da un altro manifesto visto più volte nei pressi degli ingressi Eataly

«Esiste un modo di magiare e bere di meno. I cibi di alta qualità di assaporano di più, si masticano più lentamente per trattenere i sapori. La sensazione di sazietà arriva prima e alla fine si mangia di meno. Lo stesso vale per il vino, la birra e le bibite di qualità. Conviene nutrirsi di alimenti buoni e conoscere ciò che mangi. Conviene venire da Eataly. Alla fine si risparmia, si gode e si è più in forma. Stupido non farlo… vero?»

il cui stile di comunicazione è inequivocabilmente quello del fondatore o quantomeno del suo staff, che sembra averlo introiettato fino in fondo fino a proporlo in ogni iniziativa di Farinetti come ad esempio il manifesto 7 mosse x l’Italia: sferzante, diretto, ottimistico. Forse la differenza tra manifesti come quelli citati sopra e altri sparsi negli anni nei punti vendita è proprio sui contenuti, particolarmente provocatori.

È decisamente forte, in tempi di crisi profonda, sostenere che da Eataly «si risparmia», che il cibo «di alta qualità costa poco di più». Eataly è sicuramente il tempio della spesa dei gourmet, ma difficilmente può essere spinto come supermercato di prossimità in cui fare la spesa quotidiana. Sicuramente l’alta qualità merita un’adeguata retribuzione; però è un po’ un peccato che rimanga terreno di una nicchia di fortunati.

La resurrezione delle Gif animate

Tutti i nostri primi sitarelli personali, a metà anni Novanta, contenevano qualche Gif animata. Andavano forti i calamai con le letterine, per linkare gli indirizzi di posta elettronica, o le frecce tutte colorate per andare avanti e indietro tra siti fatti di qualche paginetta statica Html con texture appariscenti come sfondo.

Sempre più raramente, capita ancora di trovare in Rete qualcuno di questi cimeli; certo la scomparsa progressiva Aspide/Freeweb in Italia o di Geocities/Tripod a livello internazionale ha fatto sì che piano piano i capolavori a base di Microsoft Gif Animator e Netscape Composer finissero nella memoria dell’Internet Archive.

E poi è arrivato Tumblr. All’inizio si vedeva qualche Gif animata presa qui e lì dalla Rete, magari ripresa da Reddit o 9Gag; poi sempre più scene tratte da telefilm, spesso sottotitolate, riportate non come video, ma come Gif animata. Ampie comunità di fans di serie come Geek o Dr. Who hanno amplificato il fenomeno.

Ora è il turno delle agenzie pubblicitarie, che stanno iniziando a usarle nella comunicazione di aziende come Burberry, Nissan o Red Bull, non solo sui social network; ma è anche l’ora delle applicazioni Mobile, specie per iOs, che in qualche modo potrebbero potenzialmente amplificare il successo di Instagram e similari.

In fin dei conti è una delle resurrezioni più inattese della storia dell’informatica, o forse le Gif animate non sono mai davvero morte. Sono cresciute nel tempo, da scarabocchi di pochi pixel a 256 colori a veri e propri filmatini visualizzabili su molti device. Hanno accompagnato, stanno accompagnando, l’evoluzione del Web.