Il re-engagement è nudo

Sarà per il caldo asfissiante di questi giorni, ma quanti di noi hanno davvero voglia di inoltrarsi negli “appassionanti” giochi che le aziende pubblicano sulle pagine Facebook? Quanti di noi, pur con un clima più favorevole, sentono davvero crescere l’affetto nei confronti delle marche che ci obbligano a mettere “like” e poi a passare tempo su applicazioni sciocche?

Queste domande di buon senso sembrano essere sistematicamente fuori dai percorsi decisionali delle agenzie di comunicazione, che convincono le società clienti a mettere in piedi campagne cognitivamente pesanti per gli utenti, inseguendo il mito (purtroppo) imperituro che sia necessario far crescere l’engagement e che il modo migliore per farlo sia far perdere tempo.

Un articolo di Patrick Spenner qualche settimana fa riprendeva i risultati di varie ricerche, più o meno tutte convergenti sulla diversa percezione tra Marketing Manager (“i nostri Clienti vogliono far parte della comunità del nostro brand!”) e utenti (“dove sono i buoni sconto?”), sulla necessità di puntare sulla semplicità come leva per iniziare un timido dialogo.

Studi di discipline differenti hanno negli anni mostrato come gli esseri umani tendano a pensare il meno possibile, di come persino prodotti e servizi costosissimi vengano poi scelti più sulla base di ragionamenti di pancia che di attente analisi costi/benefici. Chissà se nel tempo aziende e consulenti matureranno nell’approccio, smettendola di far stancare i clienti.

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