Riecco Yahoo!

Se in Europa la stella di Yahoo! non brilla più da almeno un decennio e se addirittura in Cina l’azienda viola sta dismettendo le attività, negli Stati Uniti la storia è molto diversa. Le recenti stime Comscore pongono Yahoo! in cima alle 50 properties più visitate del Web americano. Il distacco con Google è marginale, ma al totalone di Yahoo! presto dovranno essere aggiunti i numeri di Tumblr, che oggi è già presenza solida nella top 30.

Da notare che i numeri sono relativi solo al Web tradizionale, senza una rilevazione specifica dedicata al canale Mobile. Questo potrebbe cambiare le posizioni della classifica, visti i notevoli investimenti di Google e Facebook in questo ambito nel corso dell’ultimo biennio rispetto alla relativa stasi di Yahoo!, che comunque ha giustificato le tante recenti acquisizioni proprio con l’obiettivo di costruire forti competenze/presenze sul Mobile.

Al di là delle cifre, colpisce pensare a come un’azienda data più volte per spacciata riesca a ottenere ancora un seguito così ampio, che è impossibile pensare derivi solo dai tools gratuiti come Yahoo! Mail e di sicuro non viene dalle startup comprate e massacrate nel corso degli anni. Rimane il classico problema delle grandi aziende Web, visto che anche Yahoo! continua a vivere solo di pubblicità, non di abbonamenti premium a Flickr.

Marissa Mayer si sta costruendo la fama di manager brillante e questo le verrà utile anche per il futuro post-Yahoo!, a patto che a un certo punto smetta di spendere soldi in acquisizioni e cambi di logo e inizi a lavorare sul business model. Nel frattempo, fa comunque piacere rivedere un nome delle vecchia guardia di Internet che abbia ancora qualcosa da dire senza ammosciarsi sotto i domini asfissianti di Google o Facebook.

Saluti da Praga

Lo spirito è quello del post di qualche anno fa che portava ai lettori di .commEurope una “cartolina” da Nizza. Visto che in questi mesi si prevedono diversi giri per il mondo, l’idea è di riprendere l’abitudine di appuntare qui sul blog le osservazioni sul marketing “europeo” visto di volta in volta nei quartieri delle città visitate. Si inizia con Praga, una vera e propria bomboniera per turisti, anche squattrinati. Rispetto alle altre capitali europee si fa fatica a scovare i luoghi ingombranti della democrazia; piuttosto tutto è votato ad attirare l’attenzione di chi passa periodi più o meno brevi in città. Praga è amata dai ragazzini in cerca di alcool come dai vecchietti a caccia di foto dei tanti monumenti.

Le strade della città sono un groviglio di marchi internazionali: non sono solo i fast food e i fast fashion ad aver trovato terreno fertile; la cosa interessante è che si scontrano tutte le catene dell’Europa continentale ma anche i grandi nomi Britannici e Statunitensi. Quindi Paul si mischia con Hooters, mentre le catene locali sono piuttosto sparute e poco coese. Probabilmente qualche anno fa i Marketers di tutto il mondo hanno capito che l’Est Europa era un terreno promettente e così si sono tutti riversati in massa; l’effetto è un overflow di offerta che probabilmente tranquillizza i turisti, ma non sempre riesce ad attrarre i locali. Qualcuno nota che gli stipendi cechi non sono ancora ai livelli occidentali.

Merito o colpa anche del mancato ingresso nell’Euro, che doveva avvenire lo scorso anno e invece pare rimandato a lungo termine contrariamente a quanto già avvenuto nell’amica-nemica Slovacchia. Il rapporto di cambio è relativamente favorevole per i turisti (anche se noi Italiani ci distinguiamo per aver perso la capacità di gestire monete diverse dall’Euro) ma un giro al supermercato fa sorgere qualche legittimo dubbio sulla redditività di chi vuole portare il proprio business in quelle zone. Sugli scaffali si trovano le classiche multinazionali formato-famiglia italiane (Barilla, Ferrero, Saclà, CIS), ma è difficile capirne il posizionamento, sempre in bilico tra premium e tentativo di allargamento del target.