Meglio le Iene che Pomì

Questo è un post di esplicito appoggio alla campagna che le Iene hanno condotto contro l’occultamento, fisico e intellettuale, dei rifiuti tossici nella tanto vituperata terra dei fuochi. La situazione è talmente grave da meritare approfondimenti da parte di tutti gli organi competenti e una presa di coscienza forte da parte di chi quelle terre le abita, in buona o fede o a valle di speculazioni edilizie di possibile impronta criminale, cosciente del pericolo o meno.

Questo non è ovviamente un post contro i Campani, anzi. In Italia tutto viene ridotto a una sorta di derby calcistico per cui anche chi dice il vero, come sembrano fare gli inviati del programma di Italia1, viene additato come “nemico” e portatore di oscuri interessi terzi. Come si è già notato a proposito del caso Barilla, quando c’è il cibo in mezzo poi il sangue arriva alla testa di molti, soprattutto quando è evidente la dimensione “territoriale” dello scontro.

Questo è un post col ciglio alzato nei confronti di Pomì, che ha gestito malissimo la comunicazione a valle del fattaccio. Tentando di tirarsi fuori dalla mischia, ha posizionato il proprio marchio come strettamente legato all’agricoltura del Nord Italia, che pur essendo rigogliosa e si spera in crescita, non brilla certo per sostenibilità ambientale. Ai tempi dell’appartenenza al gruppo Parmalat il marchio non avrebbe mai commesso un errore così grave.

Questo non è un post contro le campagne pubblicitarie degli inviati de Le Iene, che sostengono di essere costretti a sostenere marchi di largo consumo pur di pagarsi gli avvocati alle calcagna per i tanti servizi scottanti. Si vuole solo annotare che però ogni spot in più, ogni campagna in cui uno o più membri del cast appare sorridente, toglie un po’ di credibilità al programma, che in fin dei conti è uno dei pochi esempi di servizio pubblico televisivo.

Se Alitalia promuove BlackBerry

Appena pochi anni fa, l’accoppiata sarebbe stata naturale: BlackBerry era IL brand di smartphone dei Manager, gli stessi che volavano su e giù per l’Italia con la pur bistrattata ma insostituibile Alitalia. L’aereo atterrava e prima dell’apertura delle porte gli inconfondibili trilli delle e-mail accumulate suonavano all’unisono.

Poi da un lato è arrivato l’ennesimo tracollo di Alitalia, quello che ha portato alla privatizzazione sui generis dei capitani coraggiosi. Parallelamente, BlackBerry iniziava la lunga discesa agli inferi dovuta all’esplosione degli iPhone prima e al lento dominio progressivo di Android, soprattutto sul mass market.

Alitalia ha provato più volte il rilancio di marketing, anche con una profonda revisione della brand image, oggi molto più stilosa e non solo su Web. BlackBerry ha provato a rinnovare la sua immagine e la linea di prodotti, ma il tentativo è fallito miseramente. Oggi Alitalia vivacchia, BlackBerry sta scomparendo del tutto.

Quando negli scorsi giorni Alitalia ha contattato i suoi clienti promuovendo BlackBerry, i commenti impietosi dei clienti si sono sprecati, soprattutto in termini di analogie tra i disastri compiuti dal Management delle due compagnie, eternamente prossime al fallimento e mai veramente rilanciate o rilanciabili fino in fondo.

Si tratta di due vicende che, seppur diverse in termini di storia e di rapporti con la politica (e quindi di possibili esiti futuri), sono accomunate dall’essere state un tempo monopoliste e poi aver distrutto la propria credibilità sui mercati di riferimento. Peccato soprattutto per le decine di migliaia di dipendenti coinvolti.