Brianza triste, Italia triste

Pare ci sia stata una vera e propria rivolta da parte dei brianzoli nei confronti di Paolo Virzì, colpevole di aver ritratto nel nuovo film Il capitale umano una terra inumana, popolata da poveri arricchiti e ricchi impoveriti dalla crisi pesante che abbiamo vissuto negli scorsi anni, sia sul fronte produttivo che su quello finanziario.

Il film è bello come la quasi totalità di quelli del regista toscano, che riesce sempre a raccontare storie umane in profondità pur nell’alveo ristretto di una storia al cinema; le novità profonde sono il tono giallo/noir e le tre viste diverse sullo stesso plot narrativo, che si sviluppa lungo diversi mesi, tra speranze e rammarichi.

La Padania presentata nel film è fredda dello stesso freddo che stiamo vivendo tutti noi, non solo meteorologico: è uno specchio in miniatura del nostro Paese, con qualche tono più esasperato dal fatto di essere stata una delle locomotive d’Italia e di ritrovarsi oggi stretta dalla morsa di crediti inesigibili e magazzini pieni.

Nel film di Virzì manca quasi del tutto la vena positiva, che pur contraddistingueva gioielli come Ovosodo e faceva capolino nel pur drammatico La prima cosa bella; d’altra parte la scelta è comprensibile, perché non è solo la Brianza a essere triste in questo periodo, lo è tutta l’Italia e lo è purtroppo da troppi anni.

Emoji e sticker

La transazione indimenticabile dell’anno appena terminato è stata sicuramente l’acquisizione di Whatsapp da parte di Facebook. Un evento che ha fatto scalare l’ordine degli eventi di un bel 10x: prima ci meravigliavano le M&A da un paio di miliardi, ora siamo su un altro ordine di grandezza. E i player che possono metterle in atto sono pochi: Google, Facebook, Apple. Ma c’è un aspetto che, al di là dei numeroni, ha fatto parlare di più gli analisti: la sostanziale sovrapposizione tra Whatsapp e Facebook Messenger.

In Europa tendiamo a osannare il primo e sottovalutare il secondo; negli USA il contrario. Ma è l’Oriente il vero terreno in cui questo tipo di sistemi trova da sempre terreno fertile e, bisogna ammetterlo, forte concorrenza. Mentre nei telegiornali europei scorrevano le notizie sull’affare dell’anno, negli spot si alternavano marchi esotici come Line o Wechat, sempre rappresentati da testimonial famosi. Il mercato nei mesi si è auto-segmentato e l’effetto-rete ha favorito la piattaforma più adatta a ogni target.

Chi ha qualche anno in più in Rete si domanda oggi se MSN Messenger, ICQ, AIM e gli altri instant messenger della prima ora avrebbero potuto avere lo stesso successo se fossero stati più coccolati dalle rispettive proprietà, arrivando al Mobile prima di questi newcomers, che ne ereditano in parte la storia e in parte il pubblico, ma che sanno parlare in maniera segmentata ai manager come ai teenager, erodendo in maniera vistosa il volume di SMS scambiati a livello mondiale e mettendo in difficoltà i bilanci delle Telco.

Le principali protagoniste dei nuovi instant messenger, le emoji, sono diventate in pochi mesi un linguaggio universale, superando di slancio la diffusione storica delle emoticons, anche grazie al riconoscimento nell’ambito dello standard Unicode e all’inclusione di default nelle tastiere di iOs, Android e non solo. Il peso culturale di Whatsapp e delle sue applicazioni concorrenti è diventato travolgente ed è spesso rappresentato proprio dalle emoji, che spuntano sorridenti (e non) in film, videoclip, serie televisive.

Anche gli eredi dei kaoani, gli sticker che affollano la maggior parte delle conversazioni (ma non quelle di Whatsapp), stanno ottenendo successo in ambito marketing: sulle principali piattaforme è possibile di trovarne di sponsorizzati e su quelle orientali è possibile acquistarli come digital contents. Sono nuovi mercati cui è bene abituarsi girandoli a supporto delle nostre campagne, invece di venirne travolti: meglio risultare simpatici con qualche iconcina animata in più piuttosto che subire quelle negative.