Saluti da Boston

Dopo Nizza, Praga e Berlino, stavolta i saluti ai lettori arrivano dopo aver visto in cosa Boston differisce non solo dalle nostre città europee, ma anche dalle sue sorelle d’Oltreoceano. La capitale del Massachusetts, infatti, è una piccola isola felice, in equilibrio tra una tradizione che sa valorizzare e uno sguardo deciso verso il futuro.

La tradizione è quella derivante dall’essere stato un centro rilevante per la storia americana, con una buona capacità di valorizzare i lasciti in chiave turistica senza appesantire la vita quotidiana del centro; lo sguardo verso il futuro non può che derivare dal cuore universitario, che può onorarsi di nomi di peso come Harvard e MIT.

L’essere tendenzialmente una città borghese, benestante, fa sì che il marketing locale sia molto focalizzato su chi può permettersi un tenore di vita alto: il caso più evidente è quello del cibo, che trova nella presenza convinta di Whole Foods Market la migliore espressione, fatta di gusto internazionale e alta qualità dell’offerta.

In città si rincorrono i messaggi pubblicitari dedicati ai manager delle principali Financial Institutions e società di consulenza che hanno sede in loco; i musei pubblici trasudano bellezza e opulenza, nonostante per ovvi motivi siano meno famosi di quelli di New York; per le strade le auto sono spesso eleganti e non solo carrarmati ingombranti.

Boston è insomma una città-modello per quelle che, da questa parte dell’Atlantico, si disperano di non saper più attrarre cittadini e investimenti, essendosi ormai convertite in ammucchiate di uffici e dormitori. Non mancano i problemi, ma la sensazione di saperli risolvere è più forte della nostra abitudine europea di piangerci addosso.

Troppi marchi di pasta?

Guai a toccare agli Italiani la pasta. Dopo le ondate di malumore collettivo lo scorso anno per l’affaire-Barilla, ora tutti hanno richiamato alla mente lo slogan “Silenzio, parla Agnesi” per scagliarsi contro Colussi, colpevole di voler chiudere uno stabilimento che zoppica da decenni.

Peccato che pochi di loro abbiano comprato la pasta col veliero in questi anni in cui trionfavano nuovi marchi di qualità come Garofalo, che ora a sua volta è sulla bocca degli specialist perché promessa in sposa agli spagnoli a causa di forti debiti bancari nonostante il successo.

Per salvare Agnesi oggi si parla di diversificare nei sughi, ma l’idea è già stata proposta anche pochi mesi fa per il rilancio di Antonio Amato e un anno fa per La Molisana. De Cecco già da tempo ha cercato di diversificare anche producendo dolciumi, ma non sono chiari i reali ritorni economici.

Il rilancio dello stabilimento Agnesi è piuttosto difficile, anche considerando l’altra fabbrica a Fossano. Gli operai di Oneglia stanno organizzando una manifestazione contro la dismissione del pastificio o la possibile cessione alla campana Rummo, che qualche giornale ha addirittura definito “gigante”.

La verità è che tutti questi produttori italiani sono nanerottoli e solo la Barilla riesce a competere a livello mondiale. Per gli altri non rimane molto spazio, nel momento in cui chi se lo può permettere compra pasta artigianale e chi non può compra le private label. Proprio quelle prodotte da Agnesi e Rummo.