Branded entertainment e native advertising

A proposito di “televendite glamour” qualche mese fa, si scriveva

gli show prodotti non lasciano spazio a misunderstanding sulla vera natura della comunicazione televisiva, al contrario del tanto branded entertainment che si legge sui palinsesti. Ma su questo si tornerà un’altra volta, perché merita

e questo momento è arrivato, visto che nel frattempo sugli schermi italiani son passati programmi terribili, descritti dalla critica come segue

Scanditela in coro, questa amabile verità: aprite bene i polmoni, avvicinate il miglior megafono, e certificate che “Hotel cercasi” (ogni giovedì alle 22.30) è solo e soltanto una telepromozione degli hotel Best Western. Aggiungendo, già che ci siete, che tutto il resto è noia califfiana, suppellettile, orpello (in)giustificativo della più somma marchettitudine.

Non che sia stato l’unico caso imbarazzante passato in Italia; reti come La5, DeejayTV e la stessa RealTime, che pure in passato ha prodotto contenuti interessanti, ormai riconducono tutte le nuove produzioni a iniziative promozionali. E se alcune un po’ si salvano grazie alla forza dei protagonisti (cfr. il Jack on Tour sostenuto da un manipolo di rocker opportunamente alcolizzati), altri come Bye Bye Cinderella fanno passare la voglia di masticare una Daygum per tutta la vita.

Ma la sensazione di fastidio per i contenuti editoriali prodotti a quattro mani tra editori e investitori esplode nella parola scritta, ove i casi di native advertising lasciano qualche dubbio a chi purtroppo pur riconoscendo la drammatica crisi dell’economia, difficilmente vede gli advertorials come via di uscita:

If brands are so confident about the quality of their “content,” why don’t they proudly slap their name on it instead of camouflaging it to look like third-party mediated editorial?

C’è chi ostenta la qualità dei propri prodotti ibridi e chi se ne vergogna, così l’articolo di Michael Sebastian su AdAge sul tema fa sorridere accostando i baldanzosi siti di moda che svendono le proprie editor e Conde Nast che rifiuta sdegnatamente il modello produttivo e poi si lancia in “casuali” iniziative di presentazione dei propri contenuti nello stile degli investitori pubblicitari. In questo forse le TV commerciali sono più chiare, visto che è più evidente che la sopravvivenza deriva dalla pubblicità.

Se il filo conduttore di branded entertainment e native advertising è il tentativo di manipolare l’utente finale, non è difficile immaginare che il crescente profilo smaliziato di spettatori e lettori garantirà una condanna sicura a chi cercherà di prenderlo in giro. Come diceva Luca Sofri parlando del passaggio da pubbliredazionali a native advertising, è un peccato che Internet non abbia creato innovazione nei formati pubblicitari, pur se come la TV commerciale campa solo di investimenti pubblicitari.

Un’estate poco europea

Ora che anche il secondo turno delle amministrative è andato, che la suora ha vinto The Voice e recitato il Padre Nostro in diretta, che tutti gli occhi sono puntati sulle partite di calcio del Mondiali piuttosto che sulle infinite repliche che iniziano a inanellarsi nei palinsesti TV, rimane giusto la voglia di consultare i siti di viaggio per cercare qualche idea di vacanza intelligente; possibilmente in Italia, ché i soldi son pochi e non perché è colpa dell’Euro come pensano gli stolti.

L’Europa d’altra parte, lo si è ampiamente visto nei toni della comunicazione politica alle europee, è un buon capro espiatorio piuttosto che la patria comune cui ambire; i vari popoli europei si guardano in cagnesco e non è certo il calcio il motivo scatenante. Anzi, ogni partita è l’occasione per tirare in mezzo meta-discussioni pseudo-politiche e così già infuriano i commenti in Rete contro la Germania, nonostante non sia affatto scontato il match diretto ai Mondiali.

Mentre la Rai rischia grosso coi tagli lineari imposti dal Governo, il resto dei media nazionali si aggrappa all’evento per ottenere abbonamenti (Sky) o vendere qualche copia in più (quotidiani) prima dell’ennesimo blackout estivo. D’altra parte abbiamo perso il conto del numero di estati problematiche consecutive; probabilmente 6, forse 7. Alcune proprio da dimenticare, altre sfumate: ma il nero è un colore fin troppo presente nei nostri ricordi recenti, altro che verde speranza.

Prima che arrivi il bianco della neve, tutta l’Europa dovrà essersi riorganizzata intorno al nuovo equilibrio politico del post-elezioni, che ha un sapore simile alle “grandi coalizioni” che dalla Germania in poi hanno piano piano preso il potere in diversi Stati. Un cerchiobottismo politico che rende felici quelli che gridano la morte delle ideologie ma che annacqua in maniera imbarazzante il dibattito politico: un ulteriore motivo per cui tutti noi ci staccheremo ancor più dal palazzo.