Commercianti low cost made in Italy

In questo strampalato mese di agosto nelle metropolitane milanesi sono apparse le affissioni del circuito di parrucchieri L’Italiano. Bruttine ma efficaci: alla promessa di spendere 10 Euro per un taglio di capelli molti uomini saranno andati a curiosare sul sito. L’avrebbero forse fatto anche se la pubblicità fosse stata fatta da stranieri: tuttavia, in quel caso forse il prezzo sarebbe stato meno sorprendente.

Qui la promessa dell’italianità dei coiffeur è una sorta di garanzia sulla qualità del servizio e dei prodotti usati. Il nemico dichiarato è infatti la marea di parrucchieri cinesi che negli ultimi anni ha attratto molti utenti “mass market”, suscitando la classica reazione dei corrispondenti italiani con accuse di prodotti pericolosi per la salute (tinture in primis) e scarsa professionalità degli addetti.

Nel momento in cui gli immigrati iniziano ad andare via dall’Italia per la crisi fin troppo esasperata, questo non è l’unico settore in cui nelle città si gioca questa eterna sfida tra autoctoni e stranieri, con i secondi che si accontentano solitamente di meno soldi, ma magari emettono ricevuta e sono persino (…) dotati di Pos, come dovrebbero fare (senza storcere il naso) i loro concorrenti autoctoni.

Mentre alcuni Italiani in ambito B2B cercano nuove forme per “vendere ai cinesi“, sul B2C non è difficile immaginare che iniziative di matrice “nazionalistica” come quelle dei parrucchieri italiani inizieranno a fiorire: sono gare sul low cost, ma si giocano soprattutto sul fronte della differenziazione reale, non solo percepita. C’è poco da fare gli schizzinosi, è la legge della domanda e dell’offerta.

Una carriera in tempi di crisi

A guardare le curve dei mercati azionari, c’è il sospetto che questa estate qualcuno voglia replicare, fortunatamente per ora con meno violenza, i tragici crolli dell’estate 2011. Quel periodo era stato definito come il secondo affondo della recessione “douple dip”, ora tutti su Twitter citano Justin Wolfers che parla direttamente di un “triple dip” in corso. Il copione è il solito: dati macroeconomici sconsolanti, accompagnati da venti di guerra e Paesi alle prese con fallimenti.

Ma stavolta il “triple dip” è specifico per l’Italia, visto che il mondo tutto sommato negli ultimi mesi ha ricominciato a crescere. I dati pubblicati da Confcommercio sono davvero sconsolanti: il nostro Paese sarebbe cresciuto di appena il 2,1% dal 1996 a oggi e sostanzialmente grazie alla piccola crescita pre-crisi; poi dal 2008 a oggi, un bell’11% in meno, con tutti gli indicatori macroeconomici sotto i piedi, nonostante l’ottimismo ostentato da alcuni politici.

Si cerca di dare come al solito la responsabilità all’Europa, ma in fin dei conti se i peers marciano a passo convinto non è certo perché abbiano “maltrattato” l’Italia; al massimo, sono riusciti a sfruttare meglio le opportunità offerte dal contesto, invece di piangersela come siamo abituati a fare noialtri. In fin dei conti anche questi post sui vari blog sono uno sfogo, ma d’altra parte pochi hanno davvero le leve per cambiare le cose, se gli interlocutori sono troppo pessimisti.

Fa impressione pensare a quanti professionisti abbiano visto la propria crescita bloccata in questi lustri, mentre nello stesso elapsed complessivo all’estero si è marciato su una crescita a due cifre, pur con tutta la crisi internazionale in mezzo. Fa male pensare a quanta creatività sia stata cestinata da parte di buyer poco avvezzi al cambiamento. Fa schifo capire di essere probabilmente nel Paese sbagliato, quando tutto il resto dell’Europa funziona bene, meglio.