Sugar Daddies e teenager su Tumblr

Una settimana sì e una no girano su giornali e blog i commenti a Sugar Daddies, la piattaforma che “mette in contatto” signori benestanti e studentesse del college alla ricerca di fondi per andare avanti negli studi. Le storie raccontate (valga come esempio l’articolo di Caroline Kitchener su The Atlantic) non sono particolarmente edificanti: al di là del tentativo dei gestori della piattaforma di dare un tocco glamour alla faccenda, si tratta di prostituzione.

L’intento sarebbe nobile: aiutare fanciulle in difficoltà a costruirsi una carriera, magari in un’università prestigiosa, senza costringerle a versare le tasse di iscrizione che, soprattutto negli Stati Uniti, hanno raggiunto cifre folli. Anche l’auto-descrizione dei finanziatori è elegante e molti si descrivono come manager in carriera, poi in realtà i veri ricchi son piuttosto pochi: non si rovinerebbero la reputazione adescando ragazzine su finti siti di dating.

Non è poi così sorprendente che una studentessa universitaria possa prendere in considerazione l’idea; magari la stessa ragazzina pochi anni fa pubblicava sul proprio tumblelog immagini erotiche così, senza particolare impegno. Non è per fare i moralisti: basta scorrere la dashboard di Tumblr avendo sottoscritto profili di ragazzini “normali” per arrossire di fronte a una clamorosa deriva “erotica”, anche se per la maggior parte dei casi “soft”.

Si tratta di qualcosa di più di un trend passeggero; è un vero e proprio cambiamento. Qualche tempo fa da queste parti ci si interrogava se fosse effetto di MTV; ora sembra quasi il contrario, nel senso che è ormai la realtà ad aver superato le rappresentazioni sui media e i media stessi corrono appresso a questi fenomeni cercando di dar loro la patina cool. Ed è così che una settimana sì e una no girano su giornali e blog i commenti a Sugar Daddies.

Food pubblico

Marchi come Olio Dante e Cirio hanno poco bisogno di presentazione. Brand come Orogel e Pomì hanno investito tanto in pubblicità (qualche volta un po’ infelice); altri come Rigoni di Asiago sono cresciuti col passaparola grazie alla qualità dei prodotti. Il filo che li unisce tutti è il loro rapporto, in termini di equity o di credito, con la società pubblica Isa.

Si tratta di una finanziaria totalmente controllata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali italiano, che negli anni ha affiancato le società proprietarie dei marchi nella crescita a livello nazionale e internazionale; un ruolo simile a quello del Fondo strategico della Cassa Depositi e Prestiti, molto interessato all’agro-alimentare.

D’altronde si parla del secondo settore industriale italiano e quindi ci può stare che gli attori pubblici cerchino di sostenerlo; fa però un po’ impressione il peso crescente che queste società parapubbliche stanno assumendo. L’unica consolazione è che non possano per statuto investire in aziende in perdita, quindi teoricamente non sono soldi buttati.

Dopo gli anni in cui i marchi alimentari finivano a nastro nelle mani delle multinazionali (Nestlè e Unilever hanno fatto razzia), il tentativo è di riportare in Italia fondi e manodopera. Il che è un tentativo onorevole, anche se il sospetto di aiuti di stato è comunque piuttosto forte; prima o poi arriverà l’ennesima multa da parte delle istituzioni europee.

Chi non pensa proprio a investire in Italia sono i big del settore: Ferrero ha appena investito in Turchia per assicurarsi nocciole per sempre; Barilla ha appena chiuso il contratto aziendale con dipendenti, ma non annuncia acquisizioni rilevanti da anni dopo le numerose fatte all’estero. Le quotate in Borsa, come La Doria, sono comunque nanerottole.

Sarebbe bello che ci fossero imprenditori capaci di investire nel settore, anche a costo di credere nel consolidamento: storie di successo come Grandi Salumifici Italiani dimostrano che piccole realtà unite riescono a diventare attori rilevanti. Il marketing può aiutare a differenziare le singole identità, non bisogna aver paura di cedere un po’ di potere.