Più che il tumore potè la malainformazione

Probabilmente la notizia era troppo ghiotta per passare inosservata; un titolo a effetto veniva gratis e molte testate, sia online che cartacee, ne hanno approfittato. Sebbene i risultati pubblicati su Science fossero come sempre molto più complessi, i giornalisti li hanno sintetizzati con titoli come “Tumori, la ricerca shock: ne causa più la sfortuna che lo stile di vita” e similari.

Impossibile non cliccare: da un lato siamo tutti piuttosto spaventati dal cancro, che nelle sue mille declinazioni continua a essere la malattia più misteriosa e spesso incurabile; dall’altro quelli che tra noi adottano comportamenti da sempre ritenuti dai medici “a rischio”, aspettavano la notizia da rinfacciare agli amici alla prossima lamentela o suggerimento “antipatico”.

Qualche giornale più serio ha provato a chiedere conto ad altri ricercatori o sfoderare ricerche che arrivavano a conclusioni opposte, qualcuno ha detto che per “caso” si può intendere anche “fenomeno con valenza scientifica ma che non riusciamo ancora a spiegare razionalmente”. Ma il fatalismo ci piace tanto e i giornalisti sanno come solleticarlo per farci cose da irresponsabili.

Erano anni che medici e ricercatori scientifici si dedicavano a stilare classifiche delle cose da evitare o delle buone azioni quotidiane; ora in un sol colpo molti hanno rimosso la cautela: “se deve succedere…” “tanto…” “dicono che è un caso…” e così via. Non è solo un effetto immediato: tra mesi, forse anni, qualcuno citerà la ricerca a giustificare i propri comportamenti infelici.

Morti a Parigi, libertà di espressione e complottisti

Gli ultimi giorni sono stati pieni di tweet col tag #jesuischarlie e di vignette piene di matite spezzate; noi europei in prmis siamo rimasti molto colpiti dai 3 giorni di violenza cupa in Francia. Molti si sono spinti a definire la tragedia “l’11 settembre dell’Europa”: forse gli stessi che nel 2005 avevano etichettato come tale la strage nella metropolitana di Londra e l’anno prima la morte di 200 persone a Madrid. Sfortunatamente si ha la sensazione che la prima decade insanguinata del millennio non abbia insegnato nulla e che questa seconda decade non vada certo meglio.

La strumentalizzazione politica della strage nella redazione di Charlie Hebdo ha raggiunto livelli paradossali: a ergersi come paladini della libertà di stampa tanti personaggi, soprattutto di destra, che non aspettavano altro per sputare addosso ai credenti di religione musulmana, reclamando a gran voce la revisione di Schengen. Peccato che poi gli assassini fossero francesi e che i politici stessi negli scorsi anni avevano ampiamente demolito chi in Europa provasse a fare la stessa satira corrosiva: Carlo Freccero ha ricordato la fine infelice di Daniele Luttazzi.

Charlie Hebdo sparava inchiostro contro tutti e contro tutte le religioni; finita la fase di paladini-per-la-libertà-di-stampa ora ad esempio alcuni Cristiani stanno iniziando ad accorgersi di cosa fosse davvero il giornale. Il caso più curioso è quello di Daniela Santanchè, che si è proposta di editarlo in Italia, magari censurandolo giusto un po’; ma alla fine a pubblicarne il primo numero post-strage è stato Il Fatto Quotidiano, che della Santanchè potrebbe essere considerata la nemesi. Sulla storia del furto delle vignette da parte del Corriere della Sera meglio sorvolare.

Dopo l’attentato il Financial Times ha parlato apertamente di “Muslim baiting” sostenendo che il settimanale francese avesse fondato le proprie vendite negli ultimi anni sulla sistematica ridicolizzazione dell’Islam; ora è il momento di chi inizia a scrivere “un po’ se la sono cercata”, mentre da giorni a livello mondiale montano centinaia di articoli complottisti sulla strage, sui suoi mandanti e sui suoi esecutori. Retorica a parte, purtroppo non è vero che una penna è più forte di un kalashnikov; anche se fosse, peraltro, siamo più bravi a puntarcela contro da soli.