Eataly e Autogrill sono così diversi?

Quando si è iniziato a parlare del primo Eataly sulla rete autostradale, molti di noi hanno gridato allo scandalo. La catena di supermercati-con-ristorazione nei primi anni di vita era stata l’essenza stessa del radical chic alimentare e poco sembrava parlarsi con il basso profilo delle aree di sosta autostradali.

Eataly negli anni in realtà ha iniziato a comparire ovunque, in mille formati frammentati e a volte un po’ dubbi, apparendo nelle grandi città come 20 anni prima aveva fatto Autogrill coi ristoranti Ciao. La differenza qualitativa era comunque notevole, nulla da spartire nemmeno coi più popolari Brek e simili.

Intuito il successo, è stata Autogrill ad andare in direzione di Eataly. Il Bistrot Milano Centrale, l’Autogrill Villoresi Est, il Mercato del Duomo a Milano, lo Slow Food a Torino. Un cambio di stile notevole, unito da una maggiore attenzione a qualità dell’offerta ed eleganza, reali o percepite.

Oggi le cose non sembrano poi così distoniche. In fin dei conti sin dagli esordi Eataly e Autogrill condividono cibo overpriced sugli scaffali e capacità di combinare ristorazione e vendita al dettaglio. Prima avevano un’immagine agli antipodi, ora sono molto simili, almeno in alcuni dei loro punti vendita.

Certo il percorso verso la nobiltà per Autogrill è lungo e pericoloso: sul mass market non è così scontato che i prodotti DOP siano più attraenti dei classici panini congelati. Per Eataly la discesa agli inferi è solo all’inizio: la concorrenza la sta già cannibalizzando ancor prima di aver raggiunto l’apice.

Disclaimer e-mail e cookies

Luca Conti se l’era presa con i disclaimer in coda ai messaggi di posta elettronica: negli anni il motto di spirito o la citazione classici dei primi messaggi di posta erano stati sostituiti da ingombranti messaggi in legalese su diritti e doveri dei riceventi o sulle intestazioni giuridiche delle aziende dei mittenti.

Nel tempo si sono aggiunti i risultati degli antivirus ma anche immaginette sciocche coi loghi delle aziende, frutto di incredibili catene di finti allegati. Oggi non è difficile ricevere messaggi in cui l’e-mail è usata come una chat (“No”, “Ok”, “Ricevuto” etc.) con 9/10 del “volume” occupato da disclaimer.

Qualcosa di simile poi ha iniziato ad accadere con i siti Web. Proprio nella Gran Bretagna che ora parla di abolire i disclaimer sulle e-mail per prima abbiamo visto gli orripilanti banner sulla cookie policy. Da inizio giugno vale anche da noi: ogni sito dovrebbe averne uno, linkato alla propria privacy policy.

Qual è la reale efficacia di tutto ciò? A parte aver imbruttito notevolmente le esperienze utente di molti siti, nulla è cambiato: i più scaltri hanno inserito messaggi del tipo “basta che scrolli e hai accettato tutti i cookie possibili e immaginabili”, senza alcuna reale protezione dei lettori, abituali o casuali.

Sembra la solita attività per dare il modo agli editori di pararsi il sedere e continuare a fare esattamente ciò che facevano prima, non prima di aver messo in difficoltà migliaia di piccoli blogger o gestori di sitarelli vari la cui attività più estrema era raccogliere dati di base con Google Analytics.

Qualcuno ha lanciato delle petizioni per mettere fine a questo scempio, ma non è difficile immaginare che non si otterranno risultati: l’indirizzo generale è quello di scrivere lunghe dichiarazioni salva-condotti invece di mirare alla sostanza dei problemi, a livello europeo ma anche dei singoli Paesi.