Carne rossa e catene bio

Quanto può far male a un’industria un avviso dell’Organizzazione Mondiale della Sanità? Nel caso della carne cancerogena: un decremento a due cifre per wurstel e carne in scatola, quasi del 7% per la carne rossa fresca. Un giro di affari di milioni di Euro sfumato in pochi giorni.

Ma è davvero una novità? Sul serio sino ad ora tutti avevano ignorato le decine di studi sull’argomento? C’era bisogno di questo nuovo studio per mettere in relazione su vasta scala carni processate e tumore al colon? Ora siamo tutti certi e non ne mangeremo più, mano sul cuore?

Certo che no. Alla fine passata la buriana gli onnivori torneranno a ingozzarsi di salumi e i vegani saranno ulteriormente convinti delle proprie posizioni. Si stanno costruendo veri e propri muri tra fazioni, con atteggiamenti irragionevoli su entrambi i fronti, altro che scienza.

La grande distribuzione più smart sta provando a lanciare nuove catene come Bio C’ Bon e Piacere Terra, che fanno sicuramente gola ai puristi ma cercano di costruire ponti anche verso chi sino ad ora era vissuto nella campana del “va-tutto-bene-basta-mangiare-un-po’-di-tutto”.

Il punto socialmente delicato è che queste catene sono sempre “premium”, anche se non come la madre NaturaSì, nota da sempre per i suoi prezzi poco popolari; esattamente come carissima è la carne rossa di alta qualità, forse più sicura dal punto di vista alimentare.

Nel mezzo un sacco di poveri cristi che mangiano wurstel perché costano poco, molto meno delle verdure bio; là non c’è studio scientifico che tenga, perché l’unico driver di scelta è il prezzo. Altro che Eataly, sono i discount quelli che non vedono un momento di crisi.

Siamo un po’ sotto schock

Siamo un po’ imbarazzanti quando facciamo la classifica dei peggiori eventi; quando di fronte all’orrore consumatosi nelle scorse ore a Parigi tutto sommato ridimensioniamo quanto successo a gennaio da Charlie Hebdo in poi e col bilancino posizioniamo i nuovi attentati dopo quelli del 2004 a Madrid, perché in fin dei conti il numero di morti è l’unico KPI cui guardiamo con sospetta attenzione.

Siamo un po’ terrorizzati quando sappiamo benissimo che prima o poi avverrà anche in Italia; non ci sono grandi razionali perché la furia cieca degli assassini continui a sfogarsi nel resto d’Europa e non da noi. C’è solo da sperare di non trovarci nel posto sbagliato al momento sbagliato: di sicuro chi abita a Milano, Roma, Venezia o Firenze probabilmente ha qualche preoccupazione in più.

Siamo un po’ manipolati quando non ci rendiamo conto che siamo i migliori alleati dei terroristi: ci teniamo ad aggiungere il peso da novanta a ogni avvenimento, aggiungiamo terrore a terrore sguazzando nei dettagli delle stragi, nella descrizione di profili e atti di chi ha speso la propria vita inseguendo un ideale di odio. Alcuni giornali in particolare sembra ci provino davvero gusto.

Siamo un po’ sognatori quando pensiamo che da un giorno all’altro tutto ciò finirà. Così, come è iniziato. Che a un certo punto non ci siano più attentati, massacri, stragi e decapitazioni. Che si possa tornare a uno stato di serenità che poi, nella realtà, non abbiamo mai vissuto davvero; in 60 anni siamo passati dalla grande guerra al terrorismo nero alla mafia al terrorismo islamico.