Gli uffici stampa dei Ministeri

Tutto il bailamme intorno all'infelice comunicato stampa del Ministero della Pubblica Istruzione che si congratulava con sé stesso per il contributo determinante nella costruzione del tunnel tra il Cern e il Gran Sasso, è solo la punta dell'iceberg di un fenomeno che gli esperti di comunicazione pubblica e di comunicazione politica hanno notato da tempo e che con il Governo in carica ha spesso visto esiti esilaranti.

Negli ultimi anni, un numero spropositato di comunicati stampa ha iniziato a circolare rapidamente anche verso il grande pubblico grazie alla possibilità di pubblicazione istantanea sul Web; pochi quelli tradizionali, molti quelli in qualche modo incentrati sulla figura pubblica del Ministro (o del Presidente di una delle Camere o del Governatore di una regione o whatever) e dei suoi pareri/delle sue azioni.

Questo focus "personale" dello strumento ha fatto sì che i comunicati stampa siano stati agitati come clave rispetto a detrattori e nemici politici; abbiamo assistito a chicche come "Il Ministro non ha cenato" o ancora prima, sempre da parte del Ministero dell'Economia e delle Finanze, a precisazioni imbarazzanti che in qualche modo si ipotizza volessero marcare la distanza tra Tremonti e l'attualità "politica".

Il comunicato stampa, di per sé, sarebbe un mezzo di comunicazione nobile e prezioso, da usare con moderazione e professionalità. Nel mondo privato sempre più è diventato sinonimo di spam, specie quando i comunicati stampa, a dispetto del nome, hanno iniziato a girare anche verso blogger e affini. In quello istituzionale, è evidente come abbiano perso gran parte della propria credibilità/attendibilità.

Quelli più "eccessivi" vengono, infatti, vengono prima buttati come macigni nello stagno, poi ritirati alla meno peggio tramite cancellazione dal sito istituzionale, facendo finta che nulla sia successo. Un atteggiamento infantile, che non dovrebbe certo essere adottato da un Ministro o dal relativo staff di PR/relazioni con la stampa; l'effetto d'altronde è quello di una nuova ridicolizzazione, oltre a quella iniziale.

Non c'è parte politica che tenga, visto che la voglia di protagonismo dei responsabili delle grandi istituzioni pubbliche trascende le etichette politiche. Certo, l'uso poco professionale mostrato dal Governo di centrodestra fa attendere curiosità il possibile (remoto?) arrivo di un Governo di alterna sponda per vedere se i risultati saranno migliori. Qualche dubbio in merito c'è, ma non è chiaro di chi sia la colpa.

Pisapia, l’Obama de noantri

La notizia principale sui giornali milanesi di ieri era l’accordo notturno sulla manovra finanziaria proposta dalla nuova Amministrazione guidata da Giuliano Pisapia, eletto Sindaco di Milano poche settimane fa grazie a una strategia vincente di differenziazione dalla Giunta precedente e in generale dai trend politici nazionali.

La notizia principale sui giornali mondiali di oggi è l’accordo notturno sulla manovra finanziaria proposta dall’Amministrazione Obama per evitare il tracollo del debito pubblico statunitense, con evidenti impatti sull’economia mondiale. Accordo basato su molti compromessi, che minano la fiducia degli elettori verso il Presidente.

Anche lui, come il Giuliano dei Navigli, era stato eletto nel segno dell’innovazione, dell’ottimismo di tutti noi nei confronti di un personaggio che sembrava incarnare una sinistra moderna, capace di coniugare egualitarismo e comunicazione tramite i canali più elitari, carisma e capacità di parlare ai cittadini bistrattati, dimenticati.

Oggi l’immagine di Obama è profondamente compromessa per colpa dell’incapacità di gestire correttamente l’agenda fiscale di una federazione di Stati troppo indipendenti per poter fare fronte comune nei momenti di crisi e colpisce che nelle stesse ore in Italia sia “l’Obama italiano”, Pisapia appunto, a ricevere critiche simili.

Come il Presidente degli Stati Uniti, nel suo piccolo il Sindaco di Milano ha cercato di tappare le buche del deficit portate dalle Amministrazioni precedenti, in entrambi i casi di centrodestra: a differenza del pauroso Barack Obama, però Giuliano Pisapia le tasse le ha alzate, alienandosi la simpatia di molti suoi elettori.

In questo momento a Milano ci sono più persone arrabbiate per l’aumento improvviso del 50% dei biglietti del tram che cittadini memori delle promesse di lungo termine di Pisapia. La riconferma di Obama tra poco più di un anno è quantomeno compromessa; Pisapia ha più tempo per cambiare immagine, chissà se ce la farà.

Aspettando i ballottaggi delle Elezioni amministrative

Per chi si occupa di comunicazione politica le Elezioni amministrative hanno due vantaggi: ci sono tipicamente centinaia di sindaci in ballo, quindi si può sempre dire di aver vinto "qualcosa" anche se poi le somme a livello nazionale difficilmente vanno contro il trend politico di moda al momento pro/contro Governo; nelle città più grandi ci sono i ballottaggi, quindi anche chi è temporaneamente dietro può tentare il colpo di coda.

La campagna elettorale è stata decisamente tranquilla, molto di più rispetto a Elezioni politiche ed Elezioni europee, in cui ogni volta sembravano in gioco le sorti dell'Umanità più che il destino di qualche centinaio di parlamentari. Stavolta i "big" nazionali si sono schierati ma non hanno gridato eccessivamente, lasciando ai candidati sindaci delle città più grandi il palcoscenico su cui sfogare la propria voglia di comunicare.

Su tutte ha scaldato gli animi la campagna elettorale a Milano, iniziata in realtà ormai parecchi mesi fa con le Primarie del Partito Democratico, che avevano visto uscire un candidato un po' diverso dal solito come Giuliano Pisapia in una città governata da quasi 20 anni dal Centrodestra dopo 40 anni di sindaci Socialisti; dall'altra parte la "solita" Letizia Moratti, con uno stile di comunicazione imbarazzante e una faccia troppo vista.

I due ora si lanceranno in una guerra senza esclusione di colpi per un paio di settimane, così come i colleghi delle città ancora in bilico; solo alla fine dei ballottaggi si potrà capire davvero chi avrà vinto non solo a livello numerico (tutti i sindaci pesano allo stesso modo o basta prendere Milano o Torino o Napoli e perdere il resto per essere felici?), ma soprattutto da quello della comunicazione politica e delle strategie future.

Non manca infatti tantissimo alle prossime Elezioni politiche, sempre ammesso che la XVI Legislatura giunga al suo termine naturale. Probabilmente molti faranno tesoro di quanto appreso in questa tornata, come un utilizzo un po' più maturo dei social network al posto dei siti imbalsamati (e abbandonati dopo le elezioni) o il fatto che non sempre candidare i ragazzini garantisce il successo (cfr. Centrosinistra a Catanzaro).

Tutto il film, però, sarà fortemente condizionato, come peraltro tutta la politica nazionale dell'ultimo ventennio, dalla scelta dei candidati Premier. Se correrà ancora una volta Silvio Berlusconi (sempre che ce la faccia fisicamente), forse i canoni saranno quelli delle Elezioni precedenti; se così non fosse e nel remotissimo caso in cui il Centrosinistra trovasse un candidato decente, finalmente ne vedremmo davvero delle belle.

La settimana di Ruby e Signorini

A ottobre dello scorso anno la parabola di Ruby Rubacuori sembrava avviata a sgonfiarsi in uno sfarfallio di pixel, con la ragazzina destinata al dimenticatoio come una Letizia Noemi qualsiasi. La Procura di Milano, invece, non aveva dimenticato le possibili implicazioni legali dello scandalo politico-sessuale del Premier alle prese con una minorenne; ex nihilo, il caso è così riesploso negli scorsi giorni, con un poderoso faldone a base di intercettazioni e altre prove.

Il faldone, teoricamente riservato agli attori istituzionali coinvolti nelle fasi di autorizzazione a procedere rispetto a Silvio Berlusconi, ha avuto ampia diffusione online, con tutto il suo carico di numeri di telefono, rubriche, dialoghi privati, intercettazioni di varia natura. Coloro che negli scorsi mesi avevano sostenuto con forza i tentativi di legiferare in materia non aspettavano altro per dimostrare la “necessità” di un intervento rigido e profondo nel limitarle.

L’evento mediatico della settimana, ovviamente, è stato correlato alla vicenda: l’intervista di Alfredo Signorini a Ruby Rubacuori, dicono molti, entrerà nei manuali di comunicazione come esempio da manuale di lavaggio in profondità di un’identità profondamente macchiata. Entri entri “perversa” esci “maltrattata”, “sporca” esci “santa”, entri “furba” esci “sfruttata”; si dice che il lavaggio servirebbe a riqualificare il personaggio e indirettamente l’immagine del Premier.

La verità è che chi ha guardato l’intervista in diretta, era sufficientemente radical chic da avere già le idee piuttosto chiare su fatti e persone. Chi l’ha visto (e commentato) online, non aveva bisogno di quest’opera di convincimento, quindi al massimo ha ironizzato in merito. Così nei palinsesti di Mediaset hanno iniziato a riprendere e ri-contestualizzare l’intervista più volte, compreso oggi pomeriggio durante il contenitore su Canale 5, con tanto di dibattito.

Oggi probabilmente il tentativo di influenzare tramite l’intervista ha funzionato molto di più, anche grazie all’enorme frastuono accumulato in seguito alla puntata di Anno Zero e alle altre trasmissioni che nel frattempo hanno reso nota la vicenda anche a chi non era riuscito a coglierne le implicazioni e i contorni. Che sono quelli di un uso delittuoso e inopportuno delle intercettazioni da parte della magistratura politicizzata di sinistra contro il Presidente. O forse no?

Parma, colonia Mediaset

È una città deliziosa. Parma rappresenta a tutti gli effetti una punta di diamante in termini di vivibilità e qualità della vita. Più animata della seriosa Reggio Emilia e più accogliente della fredda Piacenza, è una città piacevole da visitare, da vivere, da gustare. Un vero e proprio regno dell’enogastronomia e della cultura, che attrae quotidianamente turisti da tutto il Mondo e costituisce un esempio per molte città italiane.

Parma è da sempre città favorevole alla comunicazione: il quotidiano locale ha quasi 300 anni, la radio locale è stata la prima in Italia, nata a metà degli anni Settanta, quasi in contemporanea con la prima televisione locale. Così, pochi si sono stupiti della crescente attenzione che Mediaset ha dedicato a Parma, definita dai giornalisti “città-tubo catodico” per i set che si sono succeduti negli ultimi mesi per le strade.

Il culmine di questo rapporto tra il Gruppo editoriale e la Città lo si sta vedendo in questi giorni: Mediaset è media partner del Festival Verdi 2010, la più importante manifestazione culturale (e turistica) annuale: Fedele Confalonieri ha avuto grande spazio in fase di presentazione dell’evento e il logo Mediaset rifulge su tutti i cartelloni. Ma è in televisione che questa partnership mostra tutta la sua potenza.

Da parecchie settimane, i mini-spot del Festival Verdi accompagnano l’inizio di diversi programmi sulle reti Mediaset. In questi giorni, i collegamenti da Parma si moltiplicano, anche in trasmissioni nazional-popolari come quelli del pomeriggio. Per la prima volta, il Festival Verdi sembra un evento alla portata di tutti, “Parma e le terre di Verdi” diventano un punto di interesse anche per i non appassionati.

Tutto bello e positivo, perché la “democratizzazione” della musica alta attraverso la TV è importante, specie in previsione dell’imminente bicentenario dalla nascita del grande compositore e in considerazione della pessima presenza su Web del Festival Verdi. Tutto bello e positivo, anche se nei locali della città emiliana i cittadini hanno idee contrastanti sul perché Mediaset sia così attenta a “presidiare” la città.

In quei locali, i più maliziosi notano come Parma sia da anni nelle mani di un Centrodestra bizzarro, succube di Elvio Ubaldi, non esattamente un fedelissimo della coalizione oggi al Governo. Anche in considerazione dell’avanzata massiccia della Lega Nord, risulta importante non perdere un cuneo così importante nella (una volta) rossa Emilia Romagna, anzi potenziarlo e assicurarsi che resista nel tempo.

Sono voci senza fondamento, magari, basate sul solito pregiudizio che Mediaset e Forza Italia (o quello che è diventata) siano gestite in maniera coerente e sinergica. Magari è solo in’infatuazione dei Manager televisivi nei confronti della bella città. L’importante è che Parma ottenga i benefici di questa esposizione ancora a lungo. D’altra parte i Parmigiani sono furbi, non si lasceranno stordire da un po’ di spot.

Panorama: perché?

Le copertine dei primi dodici numeri di Panorama disponibili su iPad

Questo post potrebbe esaurirsi col titolo e con l’immagine di cui sopra: si tratta delle copertine degli ultimi dodici numeri di Panorama, come vengono presentate sull’applicazione iPad del magazine. Basta guardarle: tre presentano ministri del Governo in carica sorridenti, a introdurre le agiografie presenti all’interno; tre, consecutive e volutamente brutte (più due richiami sui numeri successivi) sono dedicate ai presunti illeciti del Presidente della Camera Gianfranco Fini, caduto in disgrazia politica rispetto al Governo di cui sopra; le altre… Si commentano da sole.

C’è un pregiudizio diffuso che vuole che i grandi periodici italiani siano popolati da donnine nude e trattino esclusivamente argomenti scabrosi; quanto ciò sia vero è statisticamente visibile nelle copertine di cui sopra, ma tendenzialmente si può dire che la moda del “donna nuda in copertina a tutti i costi” sia un po’ passata. Panorama, come L’Espresso, sono oggi magazine più completi ed eleganti (anche dal punto di vista grafico) di ciò che erano una decina di anni fa. In qualche modo sono riusciti a ricostruirsi un ruolo in un’era difficile per questo tipo di editoria.

Ad esempio, oggi le applicazioni dei due periodici, o quella di Internazionale, sono tra i contenuti più interessanti tra quelli in lingua italiana per iPad. È un piacere consultarli nei tempi morti e proprio l’app di Panorama è quella che forse merita un plauso per uso delle multimedialità e comodità di utilizzo. Ma il dubbio sui contenuti rimane: perché? Perché uno dei più prestigiosi magazine italiani deve sottostare in maniera così supina ad una determinata parte politica, in particolare quando la parte in questione è al Governo, invece di lanciarsi nel giornalismo di inchiesta?

Fa male scorrere le pagine della rivista e leggere gli editoriali supini di Vespa, Ferrara, Buttafuoco, a precedere articoli “a senso unico” frammisti a saltuari dossier interessanti, consoni alla storia del settimanale su cui scrissero i più importanti giornalisti e scrittori italiani. Non è sempre stato così, visto che a metà anni Novanta, pur sotto proprietà Fininvest, Panorama continuava a pubblicare copertine contrarie al Governo Berlusconi, se necessarie. Oggi invece continua a inseguire Il Giornale su terreni imbarazzanti e poco intellettualmente autonomi. Perché?

Volti e loghi delle Elezioni Regionali 2010

Guardate questa tabellina, resa possibile grazie all’interessante Speciale Elezioni 2010 di Repubblica.it

Centrodestra Centrosinistra
Piemonte Roberto Cota, candidato alla carica di Governatore della Regione Piemonte per la coalizione di Centrodestra Mercedes Bresso, candidata alla carica di Governatore della Regione Piemonte per la coalizione di Centrodestra
Liguria Sandro Biasotti, candidato alla carica di Governatore della Regione Liguria per la coalizione di Centrodestra Claudio Burlando, candidato alla carica di Governatore della Regione Liguria per la coalizione di Centrosinistra
Lombardia Roberto Formigoni, candidato alla carica di Governatore della Regione Lombardia per la coalizione di Centrodestra Filippo Penati, candidato alla carica di Governatore della Regione Lombardia per la coalizione di Centrosinistra
Veneto Luca Zaia, candidato alla carica di Governatore della Regione Veneto per la coalizione di Centrodestra Giuseppe Bortolussi, candidato alla carica di Governatore della Regione Veneto per la coalizione di Centrosinistra
Emilia Romagna Anna Maria Bernini, candidata alla carica di Governatore della Regione Emilia Romagna per la coalizione di Centrodestra Vasco Errani, candidato alla carica di Governatore della Regione Emilia Romagna per la coalizione di Centrosinistra
Toscana Monica Faenzi, candidata alla carica di Governatore della Regione Toscana per la coalizione di Centrodestra Enrico Rossi, candidato alla carica di Governatore della Regione Toscana per la coalizione di Centrosinistra
Marche Erminio Marinelli, candidato alla carica di Governatore della Regione Marche per la coalizione di Centrodestra Gianmario Spacca, candidato alla carica di Governatore della Regione Marche per la coalizione di Centrosinistra
Umbria Fiammetta Modena, candidata alla carica di Governatore della Regione Umbria per la coalizione di Centrodestra Catiuscia Marini, candidata alla carica di Governatore della Regione Umbria per la coalizione di Centrosinistra
Lazio Renata Polverini, candidata alla carica di Governatore della Regione Lazio per la coalizione di Centrodestra Emma Bonino, candidata alla carica di Governatore della Regione Lazio per la coalizione di Centrosinistra
Puglia Rocco Palese, candidato alla carica di Governatore della Regione Puglia per la coalizione di Centrodestra Nichi Vendola, candidato alla carica di Governatore della Regione Puglia per la coalizione di Centrosinistra
Campania Stefano Caldoro, candidato alla carica di Governatore della Regione Campania per la coalizione di Centrodestra Vincenzo De Luca, candidato alla carica di Governatore della Regione Campania per la coalizione di Centrosinistra
Basilicata Nicola Pagliuca, candidato alla carica di Governatore della Regione Basilicata per la coalizione di Centrodestra Vito De Filippo, candidato alla carica di Governatore della Regione Basilicata per la coalizione di Centrosinistra
Calabria Giuseppe Scopelliti, candidato alla carica di Governatore della Regione Calabria per la coalizione di Centrodestra Agazio Loiero, candidato alla carica di Governatore della Regione Calabria per la coalizione di Centrosinistra

Solo tre commenti, perché tanto le immagini dicono quasi tutto:

  • sostanzialmente, il Centrosinistra non ha un’identità; viene utilizzato il logo del partito di appartenenza del candidato solo nelle quattro regioni del Sud, mentre in tutto il resto d’Italia una cozzaglia di loghi fatti col Paint combatte quasi sempre contro l’armata azzurrina del brutto (ma uniforme) logo “Il Popolo della Libertà – Berlusconi per…”;
  • le candidate donne sono sempre troppo poche, ma “vince” il Centrodestra con quattro candidate contro tre e no, non sono veline;
  • esclusi casi limite (cfr. il suicidio politico di Marrazzo in Lazio), entrambi gli schieramenti cercano di godere di rendita, ricandidando tendenzialmente il Governatore uscente, anche quando questi ha ricevuto nel corso del mandato precedente forti critiche o addirittura è stato oggetto di indagini giudiziarie.

Il clima politico esacerbato è quello che è, la noia elettorale trionfa come al solito, ma la sensazione è una sola: che tendenzialmente molti candidati alla carica (sulla carta prestigiosa) di Governatore siano stati messi lì come placeholder, marionette che dovranno interpretare le direttive in arrivo da Roma anche sulle materie in cui, teoricamente, dovrebbero essere responsabili a pieno titolo.

Noiosi mesi politichesi in corso, di nuovo

Inquietante notare che la campagna elettorale per le Elezioni Regionali 2010 sia iniziata ancora prima della decisione ufficiale relativamente alle date della tornata elettorale. Decine, centinaia, migliaia di manifesti hanno iniziato a tappezzare le nostre città con un fenomeno abbastanza nuovo: auto-candidati che hanno iniziato a proporsi al pubblico con manifesti 6×3 prima ancora di essere stati nominati tali da qualcuno.

Quando nel 2006 si parlava di noiosi mesi politichesi, si sperava in un crescente uso del Web per tagliare proprio questi stupidi costi, utili solo per giustificare crescenti richieste di rimborsi delle spese elettorali, non di certo per convincere i milioni di elettori indecisi. Due anni dopo si sperava nell’emulazione delle campagne Web statunitensi e si finiva per leggere in Rete solo a proposito dei soliti alterchi televisivi tra politici.

Ancora due anni e stavolta non siamo di fronte alle Elezioni Politiche, ma a quelle Regionali. Nel frattempo i blog sono passati di moda ed ora i politici nazionali hanno imparato ad utilizzare Twitter ed altri strumenti di interazione con gli elettori, almeno a livello teorico. I politici locali invece non ne vogliono sapere: dicono di essere parte della società civile e come tali si sentono in dovere di gridare come alla sagra del pollo.

Alcuni Governatori uscenti hanno veramente del coraggio a ripresentarsi, dopo svariati incarichi e magari anche qualche simpatica inchiesta sulle spalle. Altri, decapitati direttamente dai partiti a Roma, piangono miseria e reclamano poltrone ministeriali. Gli outsider sperano di venire eletti cercando di sparigliare, di arrivare al cuore degli elettori presentandosi come vergini della politica, senza macchia e senza macchie.

In ogni caso, la consueta noia è garantita. Nelle ultime settimane, il Premier è sospettosamente calmo e l’opposizione come al solito è non pervenuta. Nessuno ha voglia di colpi di scena ed il dibattito legislativo verte su argomenti di nessun interesse per gli elettori come la riforma della giustizia. Tratteniamo il fiato ed aspettiamo i risultati delle Elezioni: cambierà poco e probabilmente cambierà in peggio.

Il Partito Democratico e la campagna elettorale permanente

Capita qualche volta di discutere del declino della sinistra italiana anche fuori dai social network, incontrando dal vivo elettori di differenti vocazione politica e provenienza. Capita così di sentire una, due, tre volte un’idea striscriante, ma diffusa: che il Governo Prodi sia caduto non tanto e non solo per la risicatissima maggioranza in Parlamento, ma anche e soprattutto a causa della “nomina” di Walter Veltroni a candidato Premier in vista di elezioni sulla carta distanti 3-4 anni.

Tornando con la mente a quei mesi convulsi, in effetti, sorge il dubbio che l’ipotesi sia parzialmente verosimile: ancora oggi qualcuno si domanda che urgenza ci fosse nel puntare tanto entusiasmo nelle Primarie dell’autunno 2007. Si doveva eleggere il Segretario di un giovane Partito e si era finiti ad avviare una campagna elettorale per un candidato Premier poi pesantemente battuto quando si è trattato di “fare sul serio”. Sono passati due anni e siamo ancora lì, poco è cambiato.

Per fortuna non c’è il Centrosinistra al Governo, stavolta. Sarà scontato che il Segretario che uscirà oggi dalle Primarie del Partito Democratico si sentirà automaticamente investito del ruolo di candidato Premier, ma almeno stavolta non farà cadere il Governo. Non gli mancherà comunque l’allenamento nella comunicazione elettorale: tutto il 2009 è stato speso per presentarsi agli elettori delle Primarie invece di fare un’attività seria in Parlamento e in sede Europea.

Pochi mesi fa si sperava che la comunicazione politica del Partito Democratico cambiasse radicalmente, che dal fragore di “una consultazione dopo l’altra” si passasse a comunicare agli elettori i risultati dell’opposizione parlamentare. Poco è stato fatto, anzi: si sono bruciati dei profili che pochi mesi fa sembravano interessanti (Franceschini e Serracchiani sono i casi più evidenti) sull’altare di lotte intestine degne dell’operetta più che di uno dei maggiori partiti d’Europa.

Siamo tutti abbastanza stanchi di questo clima elettorale permanente e del fatto che, quando non ci sono elezioni in vista, le si crei in casa, con sperpero di denaro e soprattutto di tempo utile. Quando si ricevono messaggi sui social network da chi invoca le “doparie” (!) come strumento di governo del Paese, viene il mal di mare: si è snaturato lo strumento e l’entusiasmo dell’elezione bottom up dei propri candidati a ruoli di Governo, riducendo le Primarie a giochino annuale su qualsiasi cosa.

Il problema è che il Partito Democratico difficilmente potrebbe decidere qualcosa da solo, nonostante i mille organi oggetto di ilarità da parte di chi è stufo di vedere bizantinismi e lotte di potere. Chiunque sarà il Segretario uscente da questa ennesima consultazione, si spera si concentri sul suo ruolo: razionalizzare e rendere coesa la struttura di un Partito che esiste solo sulla carta e che è un’accozzaglia di correnti nella realtà, puntando su una comunicazione trasparente.

Se e solo quando sarà opportuno, il Segretario potrà diventare il leader di una coalizione elettorale e in qualche modo, in questa bizzarra Repubblica non-presidenziale solo sulla Carta, candidarsi a guidare l’Esecutivo. Nel frattempo, smettiamola con questa campagna elettorale permanente, con gli appelli agli elettori del venerdì e gli scimmiottamenti delle elezioni reali. Che si pensi a compiere gesti concreti e apprezzabili: poi, la comunicazione politica efficace verrà da sola.

La parabola di Debora Serracchiani

Questa è la storia di un’eroina del Web che, in appena 3 mesi, è passata dall’adorazione totale alla diffidenza completa da parte di chi l’aveva appoggiata e non ha poi condiviso le sue scelte politiche. Si tratta di Debora Serracchiani, che a fine marzo è diventata famosa per aver osato sfidare “dal basso” le gerarchie del Partito Democratico, ad aprile è stata candidata a Strasburgo e a giugno, una volta eletta al Parlamento Europeo, si è ufficialmente schierata con gli attuali vertici del Partito, appoggiando la candidatura di Dario Franceschini a segretario del Partito Democratico.

La storia è fatta con le voci di blogger noti che, progressivamente, hanno dedicato alla parlamentare post di tono e carattere diverso. Non vuole essere esaustiva e probabilmente si potrebbe trovare qualche post che la criticava quando era all’apogeo e la esalta ora che il Web l’ha abbandonata. Qualcuno l’ha accusata di tradimento, altri di incoerenza. Qualunque sia la verità politica della sua scelta, ora Debora Serracchiani è un personaggio pubblico dalla visibilità ampia su tutti i media: in qualche modo, la sua strategia di comunicazione politica (volontaria o involontaria che sia) ha funzionato.

Massimo Moruzzi, 24 marzo 2009

«E questa da dove arriva? – si dice abbia sussurrato Franceschini. Da Udine. Non so se Debora Serracchiani possa essere la Obama italiana o solo un altro Nanni Moretti che ci ricorda di dire qualcosa di sinistra – o anche solo di buonsenso, ma comunque: grazie, Debora!»

Luca Sofri, 27 marzo 2009

«Debora Serracchiani è meritatamente sulla cresta dell’onda da qualche giorno, ormai. A quelli che dicono “vabbè, è stato solo il discorso di un giorno: voglio vedere cosa è capace di fare poi”, bisogna rispondere: “è stata capace di fare quel discorso di un giorno”. Ma l’informazione che volevo aggiungere e che mi pare non sia sufficientemente nota è un’altra. Anche se è vero che non si dovrebbe parlare dell’età di una signora, mi pare giusto smontare i paternalismi di chi la tratta come una ragazzina simpatica, e far presente che ha 38 anni: tanto per mettere qualche ansia a chi non se ne sente impensierito.»

Daria Bignardi, 1 aprile 2009

«Debora Serracchiani dimostra 24 anni ma ne ha 38, ed è avvocato del lavoro a Udine. Con un intervento di 12 minuti all’Assemblea dei circoli democratici di Roma, sabato 21 marzo, primo giorno di primavera, le ha suonate a tutti, mettendo in imbarazzo i notabili del partito e infiammando la cosiddetta base. Il suo video ha invaso il web e Debora è diventata l’eroina della settimana: su Facebook in poche ore sono sorti i seguenti gruppi: «Debora Serracchiani al Parlamento Europeo», «Debora Serracchiani presidente del Consiglio», «Debora Serracchiani leader del Pd», «Debora Serracchiani for President», «Quelli che avrebbero detto le stesse cose che ha detto Debora Serracchiani» e «Debora Serracchiani e quelli come lei». Come ha fatto Debora senza acca a scatenare un tale entusiasmo? Ha solo detto quello che tutti i simpatizzanti del Partito democratico pensano.»

Luca Sofri, 5 aprile 2009

«La candidatura di Debora Serracchiani è una buona cosa: non si può apprezzare che una responsabile del PD dica delle cose convincenti e riscuota grandi consensi tra la “base” e gli elettori, e poi non apprezzare altrettanto che le siano date delle responsabilità e degli spazi e che il suo consenso sia sfruttato (e la sua corsa sarà in salita, comunque). L’unica cosa di cui bisogna essere preoccupati è che la sua candidatura diventi la solitaria foglia di fico che copre altre scelte assai deludenti e lontane dalle annunciate intenzioni di rinnovamento e congruità con il ruolo di deputato europeo.»

Marco Massarotto, 16 maggio 2009

«Debora Serracchiani posta su flickr la sua sidebar di facebook. Thanks for sharing, Debora: ti uso come cavia, a questo punto. Nell’immagine vediamo molti dati significativi, uno in particolare: 2.358 richieste di amicizia inevase. Ora le alternative possono essere:
– Debora Serracchiani trascura facebook e le tantissime richieste si sono accumulate nel tempo.
– Debora Serracchiani NON trascura facebook, ma ha oggettivamente difficoltà a tenere il ritmo con la sua popolarità crescente.»

Alessandro Gilioli, 9 giugno 2009

«Alla dirigenza del Pd evidentemente il caso Serracchiani – 144.558 preferenze – non dice nulla. Pensano di aver fatto bella figura candidandola e mandandola a Strasburgo: ora però ragazzina lasciaci lavorare che dobbiamo scannarci tra Franceschini e Bersani. L’idea di farsi da parte tutti e di lasciare spazio a mille Serracchiani, ai cuori contenti del meno sette per cento non viene neppure in mente.»

Sir Squonk, 28 giugno 2009

«Ho visto e ascoltato gli interventi di Ignazio Marino e di Debora Serracchiani, due persone del PD che mi interessano, delle quali ho una buona opinione, delle quali in tanti dicono un gran bene e per le quali si disegnano magnifiche sorti e progressive. E insomma, non saprei come metterla diversamente: che delusione. Perché qui, noi semplici elettori ci saremmo anche un po’ stancati delle belle enunciazioni di metodo fini a se stesse. Perché è intristente e umiliante ascoltare nove minuti e quaranta secondi di dissertazione il cui punto più alto viene toccato pronunciando l’immortale massima “Io vorrei che da queste riunioni qui venissero fuori anche le proposte”. Non so, forse l’evento di ieri non aveva questo come obiettivo – quello di fare proposte, dico – o forse le proposte le hanno fatte altri e non i due che ho seguito con attenzione. So solo che se io non avessi saputo chi fosse Debora Serracchiani, al termine del suo intervento non lo avrei saputo comunque. E so anche che invece pensavo di sapere chi fosse Debora Serracchiani, e adesso non lo so più.»

Nicola Mattina, 28 giugno 2009

«Non mi ha convinto neanche un po’ il discorso di Debora Serracchiani a Torino. Il motivo è molto semplice: è praticamente lo stesso del famoso discorso che ha segnato l’inizio della sua fortuna politica. Mi sarei aspettato che, invece di continuare a dire “dobbiamo dare delle risposte”, avesse detto “queste sono le mie risposte”. Così è il pistolotto di una maestrina, non il discorso di una leader: un’occasione persa!»

Massimo Mantellini, 30 giugno 2009

«La Serracchiani sta con Franceschini. Che sta con Rutelli, che sta con Fioroni che sta con la Binetti (e insomma…)»

Alessandro Gilioli, 1 luglio 2009

«Serracchiani molla e accetta di fare la linea giovani del marchio Franceschini. Senza offesa, il contenuto delle sue risposte a Curzio Maltese è di profilo bassino. Occorre evidentemente arrendersi al fatto che il Pd non ha una generazione di trenta-quarantenni con le palle: alla fine preferiscono tutti accomodarsi all’ombra dei leader.»

Luca Sofri, 1 luglio 2009

«Che Debora Serracchiani abbia deciso di stare assieme a Franceschini a questo giro è un dato, e io ne sono il primo critico. È una scelta fallimentare politicamente e disgraziata per lei stessa. Ma che questa scelta si spieghi con gli argomenti sintetizzati oggi dalla sua intervista su Repubblica è una cosa che escludo del tutto, avendo ascoltato assai i suoi motivi negli ultimi tempi, e che dovrebbe escludere qualunque lettore intelligente. Quindi se dobbiamo criticarla sulla scelta, non facciamolo per quelle parole, non all’altezza delle sue intenzioni e della sua lucidità. E chi oggi la attacca allegro su quelle parole o ha seconde intenzioni o pensa di essere l’unico furbo. Dai, non facciamo la solita cosa di passare dall’adorazione alle monetine.»