Che fare dei commenti?

Qualche anno fa su queste pagine si commentava la scelta di Wittgenstein di non permettere i commenti come modo di risparmiare tempo rispetto a contributi non sempre rilevanti. Poi Luca Sofri ha cambiato policy e nelle scorse settimane ha “festeggiato” un anno di commenti sul blog, pur con molta perplessità (e tanti commenti, per l’occasione).

Rimane la sensazione di un lavoro immane di moderazione di fronte a un chiacchiericcio di livello inferiore rispetto alla qualità dei post e a rischi non calcolabili a priori come quelli derivanti da commenti ingiuriosi verso terzi o con contenuto illegale. Se il tenutario del blog è un privato, per di più personaggio noto e impegnato, il mix funziona sempre meno.

Ci sono poi i commenti, sempre più frequenti, postati sui social network: magari il tenutario preferisce interagire con i propri amici via Facebook o FriendFeed piuttosto che con sconosciuti di passaggio sul blog. Anche qui su .commEurope ci sono post che periodicamente riprendono vita con commenti di cui non si vede davvero il valore aggiunto.

Quando recentemente il mondo dei community manager si è agitato per la scelta del Boston Globe di dare in outsourcing la moderazione dei commenti, l’attenzione è andata soprattutto alle regole date al fornitore più che al fatto che il lavoro stesso fosse diventato abnorme per i professionisti del giornale. E una testata non può non moderarli.

Più cresce la penetrazione del Web nel mass market, più i commentatori si sentono in dovere di frequentare i blog più noti e ancor più le pagine dei media; proprio questa crescita esponenziale impedisce la formazione di qualsivoglia senso di community, rendendo implicitamente ancora più povero e poco coeso il chiacchiericcio medio.

Più del classico lavoro di moderazione, i community manager dovranno inventare modi per canalizzare e far crescere un senso di appartenenza che vada oltre il “diamo contro a tutti i costi” tipico delle righe che possiamo leggere sotto qualsiasi articolo con commenti aperti. Altrimenti, non servirà più questa figura professionale, basterà un robot.

2Spaghi, per sapere sempre dove cenare

Capita raramente di dedicare post a singoli siti: qualche mese fa era stato il turno di MD80.it, portale specializzato nell’informazione sull’aeronautica civile per gli appassionati del genere; un po’ di tempo prima, si era parlato di BlogHotel.it, blog dedicato alla raccolta delle recensioni alberghiere internazionali da parte di clienti italiani.

Il sito di oggi è un po’ nella scia di quest’ultimo, sebbene il focus sia leggermente diverso: si tratta infatti di 2Spaghi, sito specializzato nel raccogliere il feedback degli utenti sui ristoranti italiani. Un progetto di nuova concezione, che negli ultimi mesi ha visto commenti positivi da parte di addetti ai lavori e semplici appassionati.

Quando ancora il termine era di moda, la piattaforma veniva etichettata come “Web2.0” allo stato puro. Gli elementi non mancavano: i rating, i tag, le funzionalità “social”, il wiki, i commenti degli utenti (votabili), l’integrazione con Facebook. Oggi la moda è passata, ma per fortuna siti come DueSpaghi continuano a crescere e raccogliere contributi.

Contributi che, bisogna ammetterlo, sono sufficientemente ruspanti da essere reali; scritti di pugno da clienti di estrazione e competenze diversi, ma tendenzialmente affidabili. Qualche volta spunta qualche piccola discussione tra i commenti dei singoli locali, ma nella maggior parte dei casi si forma un “flusso” di pareri che agevola la scelta del ristorante.

Ci sono sicuramente spazi di miglioramento nella piattaforma (es. la ricerca, un po’ troppo farraginosa), ma al momento 2Spaghi è la piattaforma italiana più affidabile quando si è alla ricerca di un posto interessante per andare a cena. Il che, per molti di noi costantemente in giro per l’Italia, equivale a dire: quando si è alla ricerca di un’ancora di salvezza.

I limiti “umani” dei social network

Quando Buongiorno qualche settimana fa ha presentato il suo mobile social network Blinko, l’attenzione di astanti ed analisti si è focalizzata sul limite di 20 connessioni imposto di default ad ogni iscritto. Un po’ come al mercato delle mucche sono iniziate le discussioni del calibro: sono troppo pochi vs. sono pure troppi, è un numero arbitrario vs. ha un fondamento scientifico.

Il tema del numero di contatti sui social network appassiona da tempo i blogger, ma è ormai evidente a tutti che lo stesso mitologico numero di Dunbar è troppo esteso per essere sinonimo di un numero realistico di relazioni attive. Anche gli esperimenti effettuati da Facebook dimostrano che, in realtà, sui 120 contatti medi di ogni iscritto, i “seguiti” sono circa una decina.

“Seguire” qualcuno su un social network, d’altronde, richiede tempo ed energia. Permette spesso di ottenere informazioni quotidianamente utili o professionalmente interessanti, ma per la maggior parte ci regala aggiornamenti di vita quotidiana che, a meno che non si stia parlando di partner-amici-conoscenti-parenti, possono per la maggior parte sembrarci del tutto superflui.

Abbiamo aumentato i nostri flussi comunicativi in uscita e abbiamo cercato di ampliare le possibilità di ricezione di quelli altrui, ma il nostro tempo e la nostra capacità intellettiva sono rimasti gli stessi di sempre. Abbiamo più strumenti di interazione (e in questo il mobile ci sorprenderà sempre più), ma non sempre riusciamo a piegarli alle nostre esigenze ed ai nostri ritmi.

I social network sono bacini enormi e stiamo costruendo comunità virtuali, sempre più interagenti l’una con l’altra, che ruotano intorno a noi stessi ed alle nostre vite. Siamo affascinati e divertiti da ogni membro che vi aderisce, specie quando arriva dal nostro passato e inizia ad interagire con noi nel presente. Ma abbiamo un limite: non possiamo garantirgli che gli daremo attenzione in futuro.

MD80.it, un sito interessante

Quante volte capita di iniziare a curiosare su un blog sconosciuto e rimanere a spulciare gli ultimi post pubblicati, per poi finire ore a leggere gli archivi? Una, due, forse tre volte l’anno: il blog scivola rapidamente nell’aggregatore dei feed e da quel momento si tengono d’occhio gli aggiornamenti con una certa “golosità”.

Stavolta è il turno di MD80.it, un prodotto editoriale amatoriale che raccoglie informazioni, notizie e approfondimenti sul mercato dell’aviazione internazionale, con particolare attenzione per quella civile. Una piattaforma aggiornata quasi quotidianamente, da professionisti del settore e appassionati.

Accanto al blog, infatti, MD80.it offre un forum in cui piloti, frequent flyers, assistenti di volo e semplici curiosi si confrontano con passione su vita, morte e miracoli sull’industria aereonautica. Sono inoltre offerte pagine informative per chi si accosta per le prime volte a questo mondo affascinante.

MD80.it, insomma, è una fonte informativa importante in tempi in cui, specie in Italia, la diffidenza verso aerei e operatori cresce sempre più. La storia infinita del rilancio Alitalia ha attirato tutta la nostra attenzione, ma nel frattempo un’intera industria vive tempi difficili, anche a causa del caro petrolio.

Tra qualche settimana inizierà un 2009 complesso e siti di questo tipo potranno aiutarci ad interpretare meglio l’ambiente che ci circonda. L’importante è che chi li gestisce non perda l’entusiasmo nel mantenerli aggiornati: saranno mesi deprimenti, perciò è meglio continuare a convididere la conoscenza.

Marketing Agorà: provare per credere

Questo sarà un post un po’ atipico per la storia di .commEurope: decisamente più corto del solito (e qui partono i cori da stadio), ma non per questo meno importante, anzi. La peculiarità sta nella motivazione di fondo per cui non sempre bisogna blaterare a più non posso, specie se qualcuno ha già scritto ciò che si pensa, in maniera chiara ed esplicita. E dell’argomento in questione, cioè di Marketing Agorà, è decisamente meglio far parlare colui che ne è promotore ed ideatore primario, cioè Pierluca Santoro.

L’idea di fondo è ambiziosa e sicuramente stimolante: in un momento difficile in cui il termine “marketing” diviene da un lato ubiquo, dall’altro sinonimo di turpi attività, Pierluca e i suoi sodali hanno obiettivi ambiziosi. Attraverso l’aggregazione di professional del campo, infatti, si vuole creare una comunità di pratica che voglia condividere esperienze positive ed idee per migliorare il lavoro quotidiano e soprattutto la percezione comune del lavoro stesso.

Buon lavoro a tutto il gruppo!

Second Life, first step

Nonostante negli anni sia diventato un portentoso strumento per solleticare la fantasia e l’interesse di giornalisti ed utenti, di Second Life su queste pagine si è parlato sempre poco: qualche accenno al suo uso in ambito universitario e poco più. Non è per altezzosità o supponenza, quanto piuttosto per timore reverenziale. Quando un fenomeno monta così rapidamente ed in maniera così ampia, è opportuno evitare di dare un giudizio tranchant o soggettivo. Forse è il caso di mantenere la calma, applicare un approccio scientifico e provare a costruire ipotesi di studio. L’alternativa è tornare a dibattiti simili a quelli della fine anni Ottanta, del tipo “Videotel sì / Videotel no”, o a quelli della seconda metà dei Novanta, quando c’erano i talebani delle chat ed i predicatori del verbo che vedeva le chat unicamente come luogo di lussurie inenarrabili.

Non è un caso che, in un’accesa discussione con Paolo Attivissimo, anche Fabio Metitieri proponga di tornare indietro con la mente: la storia di questi giorni, effettivamente, ha tanti punti in comune con quella di una dozzina di anni fa. Allora pochi siti, bruttarelli ma utili, iniziavano a solleticare la curiosità del grande pubblico e gli investimenti delle aziende, soprattutto in chiave promozionale; allo stesso modo, oggi, i giornali seguono con attenzione cosa si muove nel secondo mondo. La differenza, se vogliamo, è proprio negli spettatori del fenomeno: allora non esistevano molte fonti giornalistiche on line, non esistevano i blog e le opinioni individuali era necessario cercarle nelle comunità virtuali, tra un commento e l’altro al topic del giorno.

L’esplosione di meta-dialoghi a proposito di quanto accade on line, negli ultimi anni, è decisamente cresciuta: qualche commentatore si è addirittura specializzato nel discettare di argomenti specifici. Il caso tipico, proprio riguardo a Second Life, è Wagner James Au, che si è ritagliato il ruolo di Cassandra ufficiale della piattaforma tridimensionale: le sue opinioni sono spesso condivisibili, ma quelle degli epigoni che le utilizzano per “distruggere il mito” sono parte stesso dell’hype montante, che infatti sta assumendo carattere negativo dopo mesi di puro ottimismo. Molto più saggi gli interventi come quello di Massimo Moruzzi: l’ottica è quella aziendale, l’analisi è pessimistica ma sensata. Colpisce soprattutto il paragone immobiliare, perché fotografa bene la mentalità di molte organizzazioni nostrane.

Esprimere un giudizio secco su Second Life, dunque, ha la stessa possibilità di essere legittimo quanto potevano essere le discussioni sterili di cui si diceva all’inizio. Il Videotel è stato ucciso dall’evoluzione tecnologica e dalle truffe (ma non ditelo ai francesi, che al Minitel sono decisamente affezionati ancora oggi), le chat sono andate svuotandosi a favore delle discussioni tramite instant messenger. La tecnologia cambia e Second Life è solo il primo passo dell’ultima evoluzione tecnologica del Web, quella tridimensionale: si tratta di una tecnologia proprietaria e di un ambiente chiuso, ma un’evoluzione intelligente probabilmente trasformerà il tutto in qualcosa di molto diverso da quanto vediamo oggi.

Anche i blogger leggono (e molto)

Qualche anno fa, durante uno dei mille incontri che fanno da cornice e sostanza della Fiera del Libro di Torino, un relatore sostenne che i blogger fossero “una cozzaglia di aspiranti gionalisti e mancati scrittori”. Visto l’esiguo numero di bloggari presenti in Italia in quel momento, nessuno volle ribattere: sorgeva il dubbio che in quel momento storico avesse persino ragione. Ora che invece i blog in lingua italiana sono centinaia di migliaia, sarebbe possibile controbattere: accanto alla suddetta cozzaglia c’è anche una grossa parte di autori “normali”, che utilizzano questo mezzo d’espressione, al pari di altri offerti dall’avanzamento tecnologico, con la semplicità un tempo riscontrabile solo nella posta elettronica.

Ciò che accomuna questa maggioranza e la “cozzaglia” è un’evidente affinità con la parola scritta: mantenere vivo un blog implica non solo un discreto numero di ore necessarie per garantire l’aggiornamento costante, ma anche una capacità di scrittura che renda l’aggiornamento stesso un piacere, non una via crucis. Tale capacità, va da sé, era quella che le professoresse di Lettere del Liceo ti invitavano a sviluppare leggendo, leggendo, leggendo. L’approccio era sensato: chi ha mantenuto quella passione nonostante il limitato tempo derivante dai troppi impegni lavorativi (sigh), sicuramente oggi ha una marcia in più anche nello scrivere con passione sul proprio blog sui quattrosaltinpadella o sull’anticoegittodeifaraoni.

Per la proprietà transitiva, se mantenere vivo un blog implica amare scrivere e ciò implica amare leggere, i blogger ameranno alla follia aNobii, il social network di origine giapponese che, grazie alla sponsorship illuminata di Giuseppe Granieri, ha permesso di dimostrare che i bibliofili italiani che vagano in Rete sono tanti e fieri di esserlo. La comunità internazionale cresce di giorno in giorno e quella europea sembra essere in forte ascesa: i filtri geografici applicabili in diverse zone del sito permettono d’altronde di calibrare i risultati delle proprie ricerche anche al fine di confrontarsi con altre culture ed altri interessi, magari distanti dai propri.

Il logo del Gruppo 'Comunicazione' su aNobii

Pur con tutti i problemi tecnici e concettuali ancora presenti, aNobii cresce ad una velocità incredibile: in una sola settimana sono stati aggiunti circa 100.000 libri, anche grazie agli sforzi della comunità di iscritti, che segnala gli eventuali libri non ancora censiti. Cresce allo stesso modo la coesione sociale, attraverso la nascita di Gruppi di interesse, che accomunano appassionati ed esperti di discipline specifiche, movimenti letterari, stili di scrittura. Giusto per non farsi mancare niente, è stato creato un Gruppo chiamato “Comunicazione”, con la finalità di condividere letture interessanti attinenti le discipline e le esperienze che attengono a questo campo. Tutti gli amici ed i lettori di .commEurope sono caldamente invitati a partecipare: l’ingresso è gratuito e non c’è nemmeno la consumazione obbligatoria…

Tumblelog e Twitter per tornare all’essenza dei blog

Chi c’era lo sa. Chi ha visto nascere la pallina dei blog, quella che di valanga in valanga diventata l’attuale blogosfera, sa che al giro del millennio, i blog erano qualcosa di ben diverso da quello che sono oggi. Altro che kilometrici post (vedi sotto) sui massimi sistemi: si trattava di un sensazionale metodo per appuntare in Rete le proprie segnalazioni, fossero esse un link o il pensierino (magari sciocco) del momento. Dinamici, veloci, sintetici. Poche parole, tanti link, qualche immagine significativa e magari nemmeno un titolo. Non serve andare lontano: basta ad esempio prendere uno dei primi mesi di vita del ManteBlog per notare le tante differenze nello stile e nella sostanza rispetto al blog odierno.

Oggi questo tipo di descrizione è valida sì e no per i Tumblelog, che sono esattamente ciò che erano i blog 6-7 anni fa. Ovviamente ora anche le tracce su Tumblr e dintorni hanno feed RSS e altre amenità: ma ciò che li differenzia fortemente dai fratelli maggiori è la rapidità di aggiornamento e la proporzionalmente frequente voglia di consultarli. Ciò che succede anche con Twitter, che ultimamente ha rapito i Maestrini e molti altri navigatori di lungo corso: capita di leggere le loro note e sembra di tornare ai tempi del Tribook. Un salto nel tempo, verso l’essenza del blog.

Si trovano in Rete articoli interessanti come quello di Kathy Sierra sulla “ricompensa psicologica” che i lettori assidui dei Twitter altrui ricevono nel vedere i propri amici che scrivono una notiziola in tempo reale, uno spunto di riflessione o un link interessante. Seguire un flusso via tumblog o Twitter regala effettivamente la soddisfazione di vedere un flusso informativo costante e poco impegnativo: è facile scrivere, è facile leggere. Tutt’altra cosa rispetto ai nostri blog prolissi, in cui è ormai un dovere morale scrivere in maniera strutturata e completa. Non è difficile capire perché, a questo punto, ci sia tanta diffidenza tra blogger e giornalisti: ci si ruba il mestiere a vicenda.

Tornando a Twitter, c’è chi lo usa per monitorare la propria attività e c’è chi è sicuro che la pigrizia degli utenti ne causerà un rapido declino. Ipotesi poco probabile, però: il successo degli SMS insegna che la brevità è il miglior stile comunicativo dei nostri giorni e queste nuove applicazioni dall’animo antico rispondono in pieno a questo bisogno. Semmai, il vero pericolo è la noia: chi sta seduto tutto il giorno davanti ad un foglio Excel, ha veramente poco da scrivere sul proprio taccuino virtuale pubblico. Per questo pubblico, probabilmente, avranno più successo sistemi di bloc notes virtuali, versioni moderne del nostro copia/incolla quotidiano: privati, ma condivisibili all’occorrenza.

Second Life, il mondo virtuale che diventa reale

Continuano a fioccare gli annunci di organizzazioni private o pubbliche che rendono noto il loro interesse verso Second Life e perciò decidono di aprire una propria sede in questo “mondo virtuale” di estremo successo. Non si tratta più di piccole aziende smart o di pubbliche amministrazioni di paesi in cui l’uso della Rete è così diffuso da rendere “naturale” la sperimentazione di nuove tecnologie nell’uso quotidiano. Per intendersi: c’è poco da meravigliarsi che i paesi del Nord Europa aprano proprie rappresentanze sulla piattaforma di Linden Lab; stavolta, però, è il turno dell’Italia.

In poche ore, infatti, da un lato il Ministero degli Esteri ha annunciato l’apertura di un Istituto Italiano di Cultura virtuale, dall’altro è stata Gabetti, storica firma del mercato immobiliare, a meritare un articolo su Corriere.it in cui spiegare la strategia per approcciare questa nuova realtà. Se nel primo caso l’intento è puramente promozionale (dare maggiore visibilità ad eventi culturali organizzati dalle branche del Ministero), nel caso di Gabetti i risvolti sono decisamente più ampi.

Morris Gabetti, l'agente immobiliare virtualeBasti pensare al core business della Gabetti: mediare tra venditori di immobili e potenziali acquirenti. Perché non ampliare la propria offerta agli immobili virtuali? Si tratta in fin dei conti di transazioni simili, sebbene le professionalità e la sensibilità dei consulenti devono essere diverse. Basti pensare al potenziale che soggetti del mercato tradizionale (esempio tipico, i produttori di arredamento) possono ottenere su Second Life: vendere una rappresentazione virtuale dei propri prodotti non solo può diventare fonte diretta di guadagno, ma può anche essere un utile esperimento per testare i gusti dei clienti proponendo prototipi che, solo in caso di interesse diffuso possono divenire prodotti “fisici”.

Il problema di fondo di tutto il grande gioco, però, è che Second Life è una realtà saldamente nelle mani di un’azienda privata, la Linden Lab, che di fatto ne controlla presente e futuro. C’è tutta un’economia di produttori di oggeti virtuali che si è sviluppata grazie a Second Life; tuttavia, il monopolio del cuore del sistema da parte di un’unica (piccola) società è una minaccia allo sviluppo stesso di quello che è ormai un “luogo” cruciale della Rete. I concorrenti affilano le armi, ma per ora Second Life è saldamente leader nel suo mercato: rimarrà “IL” mondo virtuale della Rete o sarà solo uno dei tanti?