Expo 2015, che paura

Alberto Fattori ci sta raccontando, con dovizia di particolari, l’avventura dell’Esposizione Universale di Shangai 2010. Ha iniziato a farlo ormai molti anni fa ed ora è arrivato all’apoteosi dell’entusiasmo: l’evento ha avuto ufficialmente inizio ad inizio maggio sia nel mondo fisico, sia in quello virtuale. Si può infatti visitare 150 padiglioni via Internet, tramite un sito che recupera in digitale i fasti architettonici dell’Expo di Shangai. Fasti giustificati dal numero impressionante di visitatori attesi e dal record di stand presenti: 240, cioè due volte quelli presenti all’Esposizione Universale svoltasi cinque anni fa in Giappone.

I Cinesi sono perfezionisti, sopratutto quando si tratta di grandi eventi internazionali. Le Olimpiadi di Pechino 2008 passeranno alla storia ccome quelle più “fredde” di sempre, ma questo è stato dovuto anche alla volontà degli organizzatori di far girare il tutto con la massima puntualità. Con l’Expo 2010 sembrerebbe si sia cercato di calcare un po’ la mano sugli aspetti emozionali dei tanti padiglioni, ma non è difficile immaginare un’attenzione altrettanto esasperata per cura dei dettagli ed ospitalità nei confronti di turisti e partecipanti internazionali. Una macchina ben oliata, che vuole stupire a tutti i costi.

In questo tripudio di efficienza, un pensiero marginale prende corpo e si traduce in una vera e propria paura tra tutti gli Italiani che gravitano intorno a Milano: cosa succederà all’Expo 2015? Considerando le lungaggini burocratiche, le lotte di potere, i cantieri non ancora avviati, gli interessi economici in gioco, lo scarso appeal del tema portante, un brivido scende lungo la schiena di chi si prepara a cinque anni di forsennati lavori per recuperare il tempo perso rispetto all’assegnazione dell’evento a Milano, oltre due anni fa. Ci piace correre, sperando che questo voglia comunque dire preparare il tutto per bene.

Forse solo buttarla in caciara potrà salvare l’esposizione di Milano. Come al solito, passeremo per il popolo del volemose bene, che magari non prepara gli eventi nel dettaglio come fanno i Cinesi, ma ci mette tanto cuore. Il che è un bel problema, visto che le colate immense di cemento resteranno nel corso dei decenni e dovranno essere ben progettate per non divenire inutili come è successo alle infrastrutture di Torino 2006 o cadenti come quelle di Italia ’90. Forse solo l’esperienza dell’Esposizione Internazionale di Genova, col Porto Antico rinnovato ed il nuovo Acquario, lasciano qualche speranza.

Tuttavia, dalle Colombiadi del 1992 saranno passati oltre 20 anni ed il mondo sarà cambiato: ai tempi, andare ad un’esposizione internazionale voleva dire confrontarsi con mondi e popoli lontanissimi; ora bastano un paio di ore in Rete per saperne di più e meglio. Nessuno ha mai capito quanti visitatori ci furono: al di là degli 1,7 milioni ufficiali, emersero biglietti venduti per meno della metà, con tanto di dimissioni del Sindaco ed un buco di decine di miliardi di Lire. Ora sono in ballo miliardi di Euro e si parla di decine di decine di milioni di visitatori attesi, su una durata di appena sei mesi, a cavallo dell’estate.

Avevamo bisogno di questo evento, è vero. Come è avvenuto per Torino, anche Milano ha cercato in un evento di portata internazionale la motivazione per chiedere a voce alta nuovi fondi contro il declino industriale della città. Non è un caso che ora si parli di Roma e Venezia come candidate alle Olimpiadi del 2020, ancora una volta con l’obiettivo di rilanciare l’economia locale e nazionale. Non possiamo però illuderci che bastino questi picchi per rilanciare territori e immagine del Paese: anche perché, una volta che le opportunità ci vengono regalate, poi siamo bravissimi a giocarcele come dilettanti.

Il Festival di Sanremo e i segnali del Paese reale

Febbraio 2009: all’ultimo giro di votazioni del Festival di Sanremo un brivido scorre per l’Italia. La triade finale è formata da Sal Da Vinci, da Marco Carta e da Povia: se vince il primo è un brutto segno (il trionfo dei neomelodici?), se vince il secondo è un bruttissimo segno (la musica italiana è in mano ai talent show?), se vince il terzo è un pessimo segno (l’Italia è così omofoba da appoggiare chi odia i gay?).

Alla fine, vince il giovane sardo Marco Carta, sia al televoto (con quasi il 60% dei voti), sia nelle classifiche di vendita dei dischi (con oltre 120.000 copie). Tutti si convincono che ha vinto il male minore, che in fin dei conti ‘sto ragazzotto allievo di Maria De Filippi non è così male, che è la solita canzone d’amore sanremese: viene consacrato un nuovo “Big” della canzone italiana, idolo delle ragazzine.

Febbraio 2010: all’ultimo giro di votazioni del Festival di Sanremo il terrore scorre per l’Italia. La triade finale è formata da Marco Mengoni, da Valerio Scanu e dal trio Pupo-Emanuele Filiberto-Luca Canonici: se vince il primo è un brutto segno (il trionfo di X-Factor?), se vince il secondo è un bruttissimo segno (di nuovo un prodotto creato nel laboratorio di Amici?), se vincono i terzi… No comment.

Alla fine, vince il giovane sardo Valerio Scanu ed è sancita nuovamente la superiorità del programma di Canale5 rispetto a quello di Rai2 (che comunque si consola col primo premio al “giovane” Tony Maiello). Poche decine di minuti prima, Maurizio Costanzo ha lasciato il suo segno indelebile sulla finale del Festival; poche ore dopo, la trasmissione della De Filippi scorrerà sull’ammiraglia Mediaset.

La loro egemonia culturale è sempre più palese. E questo Festival di Sanremo così surreale, con le Tagliatelle di Nonna Pina mischiate con la Banda dei Carabinieri mischiata con Dita Von Teese mischiata con la Fiat di Termini Imerese è un degno specchio del Paese reale, quello da cui gli heavy users di Internet, che stravedono per i (pochi) cantanti “eleganti” saliti sul palco dell’Ariston sono lontani anni luce.

La rivolta degli orchestrali contro il podio di Sanremo 2010

I monarchici populisti vs. gli orchestrali in rivolta, i fan dei talent show vs. gli intellettuali che stravedono per la vincitrice del premio per la critica. Qualcuno ha qualche dubbio su chi vincerà le prossime elezioni? E quelle successive? E quelle di fine legislatura? Se ce l’ha, è perché ha infilato la testa sotto la sabbia e non ha colto quelli che una volta erano “segnali deboli” ed ora sono tronchi di albero.

L’immagine internazionale dell’Italia

L'immagine dell'attuale home page di CNN

Questa foto dell’attuale pagina del sito CNN rimarrà nelle nostre memorie per lungo tempo. Testimonia con forza quella che è l’immagine che in questi giorni, in queste settimane, l’Italia presenta a livello internazionale. Da un lato ciò che è successo a Milano poche ore fa, al centro un richiamo alle ultime notizie da Perugia, a destra un indicatore del peso che queste notizie gridate in home page hanno rispetto al resto dei contenuti.

L’interesse per entrambe le vicende potrebbe essere morboso: un anziano maltrattato e sanguinolento, una ragazzina incarcerata dopo losche storie di sesso e morte. Vicende accomunate non solo dall’essersi svolte a poche centinaia di kilometri ed entrambe nel nostro Paese, ma anche dall’avere direttamente o indirettamente un rapporto con la Legge, con la Giustizia ed i suoi rapporti con la Politica e le attese delle persone.

Attese di giustizia che si scontrano con la voglia di linciaggio. Sete di serenità che si infrange contro vicende occulte, poco chiare e mal comunicate dai media. Non si saprà mai se Amanda Knox ed i suoi amici siano stati davvero i truci esecutori, non si saprà mai perché il deficiente abbia aggredito Silvio Berlusconi. Tutti ci faremo un’idea, contorta per cause di forza maggiore, delle vicende e dei protagonisti. E non solo in Italia.

Qualche giorno fa il Ministro Michela Brambilla ha dichiarato che, in sostanza, le manifestazioni contro il Governo delle scorse settimane abbiano danneggiato l’immagine dell’Italia a livello internazionale. Può essere vero, ma né più né meno di queste altre vicende squallide che contraddistinguono ormai ciò che sembriamo più ciò che siamo. Non è colpa di Opposizione, Governo o Magistratura: è un intero sistema che va a rotoli.

Fantàsia, la fantasia in danza

Se per la maggior parte dei nostri connazionali “Fantàsia” è il nome del regno de La storia infinita di Michael Ende, per un piccolo (ma in forte crescita) nucleo di appassionati di danza contemporanea è piuttosto il titolo di un musical che, ormai da qualche anno, spunta qui e lì nei programmi di teatri e centri congressi italiani, suscitando generalmente buoni riscontri.

Fantàsia è uno spettacolo molto particolare: vuol essere un musical, ma anche uno show competence dell’eccellenza salseira in Italia. Un musical atipico, insomma, in cui più degli attori parla la musica caraibica e soprattutto la danza. Tanta salsa, appunto, ma anche cha cha cha ed altri spunti stilistici che, miscelati in maniera quantomeno originale, riescono ad emozionare.

Obiettivo (centrato) di Fantàsia è riuscire a destare interesse anche in chi non è affatto appassionato di danza e magari guarda con sospetto ai trenini da villaggio turistico su sfondo musicale latino-americano. Finalmente si ha la possibilità di capire, divertendosi e imparando, il perché di tanto successo dei ritmi latini in scuole di danza e palestre di mezza Italia.

Sul palco, i gruppi Tropical Gem e Flamboyan Dancers danzano con entusiasmo ed emozione, riuscendo a trasmettere al pubblico la sana follia di uno spettacolo che, di rappresentazione in rappresentazione, cambia pelle, si allunga, evolve, sotto la guida matura (ma non per questo appassita) di Fernando Sosa, motore ultimo dell’iniziativa e ballerino eccellente.

Tutti al Milano Film Festival!

Furoreggia da qualche ora a Milano la tredicesima edizione del Milano Film Festival, la maratona cinematografica che anche quest’anno terrà svegli i milanesi sino a tarda notte grazie a proiezioni, dibattiti, dj set, concerti. Un evento assolutamente imperdibile per chiunque graviti in Lombardia e dintorni: che si sia raffinati cinefili o adolescenti in calore, si noterà che gli spunti non mancano per nessuno.

L’ampio cartellone, infatti, spazia dal tradizionale concorso di cortometraggi ad una selezione poliedrica di lungometraggi (opere prime), passando per diversi percorsi tematici sponsorizzati e da una retrospettiva su Terry Gilliam che non ha precedenti nella storia: lo stesso regista, presente oggi al Teatro Strehler, si è meravigliato per un tributo talmente ampio e per il notevole affetto del pubblico.

Interessante notare che il pubblico del Milano Film Festival non è variegato solo in termini di interessi culturali, ma anche di età: la coesistenza di film d’essai e di aperitivi all’aperto riesce ad attrarre allo stesso tempo liberi professionisti e studenti universitari come raramente avviene in una città così grande e frammentata come può essere Milano (specie in periodo di ripresa delle attività dopo l’estate).

Per il resto, la bella cornice di Brera (gli eventi si svolgono tra Piccolo, Parco Sempione e Del Verme) ed un abbonamento da 20 Euro (in convenzione con la card de La Feltrinelli) meritano di visitare la rassegna con occhio curioso, anche solo per i corti: alcuni di una bruttezza allucinante, altri romanticamente deliziosi, in particolare le animazioni che si stagliano un palmo sopra gli altri corti in concorso.

Eventi di primavera

Un anno fa, di questi tempi, la blogo-pallina italiana (soprattutto quella più marketing-oriented) si divertiva a confrontarsi nei Marketing blog Playoffs 2007: tante allegre discussioni, un gran patema d’animo da parte dei partecipanti ed un sommo divertimento da parte dei giudici. La simpatica scampagnata finale del Marketing Barbecue, poi, ha chiuso in bellezza un mese di maggio 2007 soleggiato e decisamente segnato da un sacco di eventi a tutti i livelli.

Anche questo piovoso maggio 2008, a dire il vero, non è da meno. È mancato un Barcamp non tecnologico com’era stato il Litcamp l’anno scorso, ma a sbirciare resoconti e foto dei partecipanti al Materacamp, verrebbe da dire che l’amicizia trasversale tra blogger tecnofili e blogger tuttofili ha comunque avuto un’occasione di rafforzamento. Anche il prossimo Microcamp, vista l’ampia partecipazione, sembrerebbe altrettanto foriero di nuovi rapporti umani.

Il mese di maggio ci ha regalato anche eventi meno informali, ma dall’alto spessore scientifico e culturale: primo tra tutti il Forum della ricerca e dell’innovazione, che è in corso in questi giorni a Padova. Molti blogger si sono concentrati sugli interessanti incontri a proposito del futuro di Rete e social networking; tuttavia, il programma è ampio ed articolato e fa veramente rimpiangere l’impossibilità di partecipare alla maggior parte dei dibattiti.

L’altro grande evento impossibile da non vivere, quantomeno indirettamente, è stata la tradizionale Fiera del Libro di Torino, che mai come quest’anno è riuscita a far parlare di sé con l’idea di invitare Israele come paese “guida” dell’evento. Il lato positivo della faccenda è stato attirare attenzione sulla Fiera, quello negativo il prevedibile calo di visitatori dovuto al terrore di attentati terroristici. La Fiera del Libro forse meritava una promozione di livello più alto.

L’ultimo pensierino va invece al prossimo evento clou per i markettari residenti in Lombardia e regioni limitrofe: l’incontro di metà giugno a Milano con Philip Kotler. Chi sia Kotler e perché la sua presenza in Italia abbia sollevato una così ampia attesa è difficile da dire a chi non si è mai occupato di marketing: basterà dire che metà di chi l’ha fatto, ha imparato a farlo sui suoi testi sacri. E l’altra metà, lavora abitualmente alle dipendenze di chi l’ha imparato ormai decenni fa.

La mostra complessa sul decennio lungo del secolo breve

Merita una visita annisettanta – Il decennio lungo del secolo breve, la mostra inaugurata a fine ottobre alla Triennale di Milano. Fino a fine marzo, infatti, si ha la possibilità di immergersi nel clima, nei tempi e negli stili di quel decennio così rilevante per la nostra storia recente: presentando questa mostra, il Presidente del Consiglio di Amministrazione della Triennale, Davide Rampello, ha definito gli «Anni Settanta il decennio più importante del secondo dopoguerra» e in effetti tutto l’allestimento restituisce ai visitatori il senso del “peso” che quella decade ha avuto sul nostro immaginario, sui nostri costumi, sulla nostra visione del mondo contemporaneo. Un “decennio” che la mostra fa iniziare nel 1969 e terminare nel 1980, un ponte che va dalle ferite del Vietnam ai primordi dell’edonismo reaganiano.

La peculiarità di questa mostra è soprattutto nella tipologia di opere esposte: non si tratta di un evento-reliquiario come molti possono immaginare sulla carta, visto che gli oggetti d’epoca sono veramente pochi, tendenti al nulla; non si tratta nemmeno di una mostra d’arte contemporanea in senso stretto, sebbene intere aree siano dedicate ad opere d’arte prodotte negli stili più variegati e negli anni più svariati (si parte dagli anni Settanta, ma si arriva anche ad opere prodotte nel XXI secolo, non senza qualche forzatura). Sicuramente la mostra si può definire “evento multimediale”, vista l’ampia disponibilità di materiali audiovisivi; molto meno attendibile l’etichetta di “evento memorabile”, visto che, tutto sommato, la stessa Triennale ha nel tempo prodotto mostre che lasceranno tracce più forti nella nostra mente.

Ciò che i visitatori della mostra non potranno dimenticare, tra l’altro, è il senso di acuto pessimismo che l’intera mostra proietta sul visitatore: dimenticatevi figli dei fiori e zampe d’elefante, visto che il tema dominante della mostra sembra essere il terrorismo ed in particolare il sequestro Moro. Statisticamente, almeno la metà delle installazioni hanno un qualche riferimento alla faccenda: alcune (vedi “3,24 mq”, che è la riproduzione 1:1 della “cella” di Aldo Moro) ne parlano in maniera esclusiva, in altre frammenti di questo dramma collettivo esplodono e deflagrano come incubo dominante di quel decennio e (correttamente?) dell’intera mostra. Molto meno presenti, invece, gli sprizzi di positività dell’epoca: l’immaginario glamour tanto tornato di moda negli ultimi anni emerge praticamente solo nell’installazione dedicata a Fiorucci.

Nel complesso, dunque, annisettanta è una mostra che deve essere vissuta, spremuta e interiorizzata con attenzione: è facile rimanere turbati dalle copertine di Cannibale, ma si può anche sorridere scorrendo quelle dei tanti periodici nati in quel periodo; si può rimanere rattristiti dal velo di pesantezza calato sui Carosello selezionati da Gianni Canova per dimostrare la scoperta del “cibo industriale” degli italiani nei Settanta, ma poi ci si potrà divertire a scorrere gli albi delle figurine Panini. Si tratta di un decennio complicato e la mostra, ampliandone i confini, lo rende ancora più complesso: sia onore ai creatori di annisettanta per il coraggio dimostrato nel metterci di fronte alle assurdità del nostro passato recente. In attesa che, non è difficile intuirlo, dopo gli anni Sessanta e gli anni Settanta, la Triennale possa dedicare un evento ai tanto bistrattati anni Ottanta.

Perugina: 100 anni di dolcezza (e pubblicità)

C’è chi li ha visti davanti alla Stazione Cadorna a Milano nel week-end e chi in questi giorni li sta vedendo parcheggiati nelle città lombarde ed emiliano-romagnole: i due camion che la Perugina ha realizzato per festeggiare il proprio centesimo compleanno hanno iniziato la lunga marcia che, fino alle soglie del Natale 2007, permetterà alla maggior parte degli italiani di assaggiare le specialità della casa umbra e di conoscerne meglio la storia e i prodotti. Cento piazze di medio-grande dimensione da attraversare con calma, con la convinzione di costituire una piccola, dolce attrazione in ognuna delle tappe.

Molto interessante ed istruttivo,  l’allestimento dei camion promozionali: il contenuto della mostra dimostra quanto pubblicità e packaging rimangano i capisaldi più forti della nostra memoria collettiva. Tolta qualche immagine storica, infatti, il resto del materiale esposto è costituito dalle principali campagne pubblicitarie dell’azienda dolciaria (tra l’altro per la maggior parte indimenticabili) e da qualche confezione degli anni d’oro. Un po’ meno interessante lo spazio destinato alla presentazione dei prodotti attuali: non si capisce se è uno shop o un puro spazio dimostrativo, ma sicuramente è l’angolo più abbandonato dello spazio promozionale.

In nove città (Milano, Torino, Bologna, Perugia, Pescara, Roma, Napoli, Bari e Palermo), inoltre, è stata prevista un’iniziativa in più: ai camion viene aggiunto un tendone in cui pasticcieri esperti illustrano l’arte e la professionalità necessarie per trasformare i coriacei grani in fluida lava nera. Il professionista chiamato a raccontare la sua esperienza a Milano si è dimostrato quantomeno scintillante fino alla fine, pur dopo due giornate consecutive passate a presentare la sua attività e raccontare curiosità sul mondo del cioccolato, continuando nel frattempo a mescerlo e prepararlo: chissà come saranno gli altri, ma in ogni caso l’esperienza della Scuola del Cioccolato Perugina vale una visita alla mostra itinenerante.

Bisogna ammettere che la Nestlé ha fatto le cose in grande. Si tratta, d’altronde, di un saggio percorso promozionale iniziato con la visita del Presidente della Repubblica agli stabilimenti di Perugia: avendo sempre lasciato abbastanza libere di crescere autonomamente la Perugina e la sua azienda sorella, quella Buitoni che nel frattempo compie 180 anni, Nestlé è sempre riuscita a farle percepire come marchi italiani, profondamente legati ai propri territori di origine. Oggi i Baci Perugina o i prodotti Buitoni vengono esportati in tutto il mondo come simboli dell’alta tradizione alimentare europea: chissà che prima o poi Perugia non venga annessa di diritto al territorio di Vevey…

Spotanatomy è il migliore Junior Marketing Blog del 2007

Il tabellone finale dei Marketing Blog Playoffs 2007Quando ad inizio aprile i Marketing blog Playoffs 2007 erano stati lanciati, l’idea sembrava innovativa, ma soprattutto divertente: un passatempo per i lettori, una sfida per i giurati, un tentativo di farsi notare da parte di quasi una quarantina di blogger. Col tempo, però, in oltre un mese e mezzo di selezioni progressive, il gioco è diventato serio ed impegnativo: mano a mano che le votazioni progredivano, i blogger si impegnavano nel mantenere i propri blog aggiornati ed interessanti; i giurati, invece, sudavano e basta. Scelte difficili, una dopo l’altra: in fin dei conti, i blog di qualità erano tanti e meritevoli di attenzione anche da parte dei non “addetti ai lavori”. Oggi, finalmente, la classifica finale:

  1. Spotanatomy,
  2. doubleBBlog,
  3. MarketingArena.

Un bel podio, senza dubbio, che riassume un po’ tutte le tipologie di blog partecipanti: Spotanatomy è un blog collettivo edito da professionisti, doubleBBlog è un blog individuale di un pubblicitario, MarketingArena è opera di un gruppo di brillanti studenti. Combinando queste caratteristiche, si può ricostruire l’insieme della realtà degli Junior Marketing Blog partecipanti alla competizione: “junior” solo nell’anzianità in Rete, ma per la maggior parte decisamente maturi nella qualità degli interventi. Blog che vengono tenuti aggiornati con particolare attenzione qualitativa e con un saggio dosaggio delle quantità: il record assoluto, comunque, è nelle mani di Spotanatomy, il cui ritmo di aggiornamento è decisamente elevato, anche rispetto a blog non specialistici come quelli che hanno partecipato ai Marketing blog Playoffs 2007. Merito della vittoria, forse, va anche a questa caratteristica.

Speriamo che nel futuro questa piccola grande comunità di interessi possa consolidarsi e dare il via ad altre iniziative affascinanti come questa: il ringraziamento per averla ideata e l’invito a tirare fuori altre meraviglie dal suo cappello vanno a Gianluca, che di questa comunità mostra di essere sempre il fulcro e l’ispiratore. Non poteva che essere sua anche l’idea del bell’incontro di domani, il MKTG Barbecuecamp, che si terrà nella campagna lombarda: un incontro di markettari e consulenti un po’ folli, ma innamorati del mondo della comunicazione. Niente PC, niente wi-fi e niente protagonismi tipici dei BarCamp italici: finalmente, un incontro tra amici appassionati e non sovraeccitati.

Quella volta che Miss Padania vendette l’anima

Leggere gli impietosi commenti sulla finale di Miss Padania, tenutasi dal vivo sabato sera e trasmessa in un’interminabile differita domenica notte su Rete 4, fa sorgere qualche dubbio sull’effettivo successo della manifestazione. Di per sé è già difficile provare simpatia per gli ideali razzisti dei leghisti più esagitati: fino a qualche anno fa, però, il concorso Miss Padania destava una certa simpatia derivante dal suo essere la punta kitsch del movimento, una sorta di parata di bizzarre donne nordiche non esattamente corrispondenti agli ideali di bellezza comunemente condivisi. Era un modo come un altro per far parlare del movimento del Nord attaverso codici per quei tempi innovativi.

Allora come oggi, Bossi ed i suoi soci hanno considerato quest’occasione per esternare le proprie posizioni sulla politica nazionale. La differenza principale, però, è che un tempo la manifestazione aveva una dimensione locale e gli sponsor erano i macellai della zona; oggi, si tratta di un improbabile show trasmesso su una rete televisiva nazionale, scandito nei suoi tempi per divenire un prodotto televisivo prima che un evento fine a sé stesso. Questa mutazione genetica ha fatto sì che un tempo la platea fosse formata dai notabili leghistoidi della zona, mentre ora in prima fila stanno i vip e dietro di loro, idealmente, oltre 500.000 spettatori televisivi.

Tutti con il fascino per l’orrido, si direbbe, visto il programma della serata:: un concentrato di ospiti surreali come Edoardo Raspelli o Mariangela (la lagnosa cantante tormentone di qualche mese fa) coordinati da presentatori riciclati tipo Marco Balestri e DJ Ringo, invitati a regalare 12 (dodici!) fasce alle aspiranti miss “padane” (per modo di dire, visto che arrivavano anche dalle “nordiche” Marche). Modalità di selezione per la fascia più prestigiosa: dei microesami di portamento, cucina, cultura celtica (…), recitazione, canto, ballo tenuti sul palco dalle dodici finaliste sotto l’occhio attento dei “professori”, dei quali si è portati a credere la fede leghista.

Il noiosissimo spettacolo, con le sue punte trash, ha segnato un po’ la svolta per la comunicazione politica del movimento leghista, che ha strategicamente tenuto la manifestazione durante la campagna elettorale per le amministrative prossime venture. Venduta l’anima più grezza (e più radicata nei ceti medio-bassi), il movimento che sogna la Padania libera, ha dovuto indossare il vestito elegante del PalaSharp per finire su un canale televisivo connivente, ma nazionale. Bisognerebbe capire cosa ne pensi la base: che il movimento avesse perso la sua identità già da tempo era evidente, ma a questo punto non è né carne né pesce. In attesa che anche la prossima Miss Padania finisca a La Pupa e il Secchione come la precedente…