Prezzemolo Cortellesi

In questi giorni Paola Cortellesi è in tour in radio e televisioni per promuovere il suo quarto film in meno di quattro mesi (da Maschi contro femmine a fine ottobre 2010 al C’è chi dice no di questi giorni, passando per Femmine contro maschi e Nessuno mi può giudicare, usciti nelle ultime settimane); appena qualche giorno fa era sui giornali a commentare la chiusura della prima edizione da co-conduttrice di Zelig.

Una maratona di sovraesposizione cui in realtà l’attrice non è nuova: negli scorsi anni spesso si dedicava a comparsate televisive mentre era nei teatri, registrava spot per l’acqua minerale e partecipava a fiction di successo. I suoi fans negli anni hanno imparato a etichettarla come artista polivalente, gli spettatori più critici hanno iniziato a obiettare che il troppo stroppia, specie quando i personaggi sono gli stessi ormai da anni.

Qualche mese fa Paolo Cortellesi era stata al centro di un’ampia polemica sui suoi significativi compensi per la co-conduzione dell’ultima serie di Zelig; la sua reazione da maestrina-prima-della-classe era stata del tipo “se me li danno vuol dire che li valgo”. Gli ascolti positivi della trasmissione di Canale 5 le hanno dato probabilmente ragione, sebbene guardando gli spezzoni su YouTube non appaiono passaggi indimenticabili.

Complimenti alla (ex) comica, che è sulle scene nazionali da meno di 15 anni ma ha già segnato una traccia importante. Così giovane e promettente, potrà farci ancora emozionare per molti anni; speriamo però che impari a centellinare le sue apparizioni, se non altro perché tenta che ti ritenta (e in campi così diversi), il rischio-fiasco è sempre dietro l’angolo. L’insuccesso di Non perdiamoci di vista non le ha insegnato nulla?

Sanremo 2011 e il trionfo di Luca e Paolo

Se l’anno scorso il Festival di Sanremo era stata una sorta di sintesi politica della situazione culturale italiana, quest’anno basta scorrere i video su YouTube e Rai.tv per cogliere la sensazione di uno spettacolo piacevole. Il merito per molti va alla direzione artistica di Morandi e Mazza, ma è evidente che lo show ha funzionato nel complesso. I commenti sugli artisti di sempre quali Pravo o Albano, sono i soliti di ogni anno; è vero che ci sono state un po’ di chicche in più come la presenza dei La Crus (o di ciò che ne rimane) o dello stesso trionfante Vecchioni, ma in uno spettacolo da 4-5 ore di televisione per 5 giorni consecutivi non basterebbe portare anche i musicisti più bravi.

La differenza l’ha fatta così lo spettacolo portato sul palco dai cinque presentatori, che con ruoli diversi e complementari sono riusciti a destreggiarsi tra ospiti imbarazzanti quali De Niro, arroganti come Williams, ingombranti come Benigni. Morandi ha fatto il lavoro sporco, Canalis e Rodriguez sono uscite dallo stereotipo di vallette. E poi ci sono stati Bizzarri e Kessisoglu. I due artisti genovesi, oltre ad aver condotto parti importanti dello show, hanno anche cantato, recitato sketch comici, letto brani di Gramsci e reso omaggio alle esibizioni di vecchie coppie d’oro dello spettacolo italiano. Sul Web l’audience delle loro performance supera quella di molti cantanti.

Luca e Paolo sono stati negli anni tra i pochi attori di successo nelle short-com italiane, hanno scritto e/o interpretato film interessanti e spesso (ma non pedissequamente) divertenti, hanno condotto programmi di culto come Ciro o Le Iene, hanno girato l’Italia coi loro spettacoli. Solo ora però sembrano ottenere il meritato successo di massa. Molti di noi hanno vissuto il Festival senza televisore o radio, ma partecipando via Web a comunità come Remo contro Sanremo o commentando su Twitter tutti i passaggi dello spettacolo. Così abbiamo saputo del disastro continuo dei fonici, ma anche delle perle, musicali e non: Luca e Paolo hanno avuto molti feedback positivi.

In questo doppio successo presso la “massa” televisiva e presso gli Internettari senza televisore, Bizzarri e Kessisoglu hanno attirato anche numerose critiche, dovute al continuo tentativo di equilibrare la critica sociale e politica durante i propri interventi, spesso sul filo del qualunquismo ma sempre riscattati da piani di lettura magari sofisticati, ma premianti. Il tutto poi ha assunto una luce diversa con lo sfogo finale, almeno all’apparenza molto istintivo, contro il “bipartizan a tutti i costi”. Paolo e (soprattutto) Luca si sono esposti e sono riusciti ad attrarre l’interesse di un pubblico eterogeneo in un momento di enorme spaccatura sociale. Massimo rispetto per due bravi artisti.

Le molte vite di Daniel McVicar

Quando negli anni Novanta Beautiful era riuscita a diventare un fenomeno di costume da prima serata, persino noi (ai tempi) ragazzini maschi conoscevamo volti e principali caratteristiche dei personaggi principali: Ridge, Brooke e tutti gli altri erano stati accolti nella nostra cultura popolare come veri e propri eroi di un nuovo tipo di narrazione, lontanissima dalle serie TV all’italiana, ma anche dalle telenovelas brasilane.

Tra i personaggi che avevano incuriosito di più i non-appassionati, sicuramente spiccava tale Clarke Garrison, un tipo un po’ losco ma che faceva sorridere le sciure grazie ai siparietti con una buffa signora coi capelli rossi. Il personaggio, allora e per molti lustri successivi, era interpretato da Daniel McVicar, uomo di bell’aspetto apparso nella serie a meno di 30 anni e oggi cinquantenne, invecchiato come il resto del cast.

Fin qui la storia potrebbe essere quella di tutti i personaggi (e dei relativi attori) della fortunata serie statunitense. La vita di Daniel McVicar cambia infatti pochissimi anni fa: nel 2006 apre un Vlog e inizia a dimostrare una certa predisposizione a coniugare entertainment, produzione televisiva e conoscenza del mondo digitale. Questa esperienza sfocia in un’attività imprenditoriale, Magmawave, con sede a Los Angeles.

Per ovvi motivi, i nuovi fan “digitali” di Daniel sono molto diversi da quelli della sua esperienza storica nella soap opera. L’attore però è intraprendente e poiché ormai la sua partecipazione a Beautiful sta esaurendosi, nel 2007 capisce che è il momento di capitalizzare quell’esperienza sul target di riferimento prima che venga dimenticato, partecipando a Notti sul ghiaccio 2, in Italia. Scriveva allora Lord Lucas:

«DANIEL MCVICAR (48 anni), attore, è il Clarke di “Beautiful”. “Mi sono fatto un provino da solo a Los Angeles e l’ho spedito via Internet. Non so pattinare, ma ho colto la sfida perché è uno show elegante”. La sua partner è Virginia De Agostini. Nome in codice: Trichecone.»

Quell’esperienza cambia profondamente la vita dell’attore. Si innamora della sua istruttrice di pattinaggio e si trasferisce in Italia, portando qui anche la sua attività professionale. Magmawave inizia così a lavorare a Torino, sempre con un baricentro forte nel suo fondatore e la tendenza virtuosa a mescolare tipi di media diversi per pubblici diversi. Daniel McVicar insomma si smarca definitivamente da Clarke Garrison.

Di lui non si hanno grandi notizie negli ultimi anni: diventa un imprenditore della comunicazione come altri, con qualche puntata nel mondo di TV e cinema. Ricompare sui giornali a inizio 2011, quando annuncia con grande dolore la scomparsa del giovane figlio per un incidente in auto a Los Angeles. Poi, pochi giorni dopo, una notizia di segno completamente opposto: farà parte del cast dell’imminente Isola dei famosi.

Non è difficile immaginare che, se Daniel riuscirà a superare il dramma familiare e mostrare il suo carattere duro ma affascinante, potrà ricostruirsi un nuovo ruolo nell’immaginario delle spettatrici del reality show. Questo ovviamente avrà ripercussioni positive sulla sua carriera, magari con l’avvio dell’ennesima vita, con un nuovo risvolto del suo mestiere di comunicatore a tutto tondo. In bocca al lupo, Mr. McVicar.

La settimana di Ruby e Signorini

A ottobre dello scorso anno la parabola di Ruby Rubacuori sembrava avviata a sgonfiarsi in uno sfarfallio di pixel, con la ragazzina destinata al dimenticatoio come una Letizia Noemi qualsiasi. La Procura di Milano, invece, non aveva dimenticato le possibili implicazioni legali dello scandalo politico-sessuale del Premier alle prese con una minorenne; ex nihilo, il caso è così riesploso negli scorsi giorni, con un poderoso faldone a base di intercettazioni e altre prove.

Il faldone, teoricamente riservato agli attori istituzionali coinvolti nelle fasi di autorizzazione a procedere rispetto a Silvio Berlusconi, ha avuto ampia diffusione online, con tutto il suo carico di numeri di telefono, rubriche, dialoghi privati, intercettazioni di varia natura. Coloro che negli scorsi mesi avevano sostenuto con forza i tentativi di legiferare in materia non aspettavano altro per dimostrare la “necessità” di un intervento rigido e profondo nel limitarle.

L’evento mediatico della settimana, ovviamente, è stato correlato alla vicenda: l’intervista di Alfredo Signorini a Ruby Rubacuori, dicono molti, entrerà nei manuali di comunicazione come esempio da manuale di lavaggio in profondità di un’identità profondamente macchiata. Entri entri “perversa” esci “maltrattata”, “sporca” esci “santa”, entri “furba” esci “sfruttata”; si dice che il lavaggio servirebbe a riqualificare il personaggio e indirettamente l’immagine del Premier.

La verità è che chi ha guardato l’intervista in diretta, era sufficientemente radical chic da avere già le idee piuttosto chiare su fatti e persone. Chi l’ha visto (e commentato) online, non aveva bisogno di quest’opera di convincimento, quindi al massimo ha ironizzato in merito. Così nei palinsesti di Mediaset hanno iniziato a riprendere e ri-contestualizzare l’intervista più volte, compreso oggi pomeriggio durante il contenitore su Canale 5, con tanto di dibattito.

Oggi probabilmente il tentativo di influenzare tramite l’intervista ha funzionato molto di più, anche grazie all’enorme frastuono accumulato in seguito alla puntata di Anno Zero e alle altre trasmissioni che nel frattempo hanno reso nota la vicenda anche a chi non era riuscito a coglierne le implicazioni e i contorni. Che sono quelli di un uso delittuoso e inopportuno delle intercettazioni da parte della magistratura politicizzata di sinistra contro il Presidente. O forse no?

Ciò che rimarrà impresso del 2010

Puntuale come il Capodanno, anche quest’anno .commEurope ammorba i lettori con le considerazioni di fine anno. Auguri ai lettori per un sereno 2011, sperando che si consolidino i barlumi di ottimismo visti nel 2010.

Trend principale dell’anno: Mobile Internet

Non è per scrivere “si era detto qui“, ma in effetti il 2010 è stato davvero l’anno del Mobile Internet per le masse. Unico punto degno di nota: rispetto alla classica navigazione via browser tipica dei PC, Internet sugli smartphone ha assunto soprattutto il volto delle apps. Non solo iPhone: Android sta facendo passi da gigante da tanti punti di vista, mentre languono sempre più RIM, Microsoft e persino Nokia.

Oggetto dell’anno: Apple iPad

Fortemente collegato al punto precedente, il tablet di Apple ha costituito il ponte storicamente mancante tra PC e cellulari: ciò che non erano riusciti a fare i pesantissimi notebook negli scorsi decenni, ha potuto un oggetto costoso, ma semplicissimo da utilizzare. Sul mass market hanno tenuto duro i netbook: magari non ne sono stati venduti più tanti come gli anni scorsi, ma ormai è chiaro che notebook = PC fisso.

Delusione dell’anno: gli e-book reader

Pare che nell’ultimo Natale siano stati regalati soprattutto lettori Blu-Ray ed e-book reader. Tuttavia, se la prima tecnologia ha ormai superato l’estenuante guerra dei formati, la seconda è preda di un delirio mai visto: non è questione di hardware (l’iPad di cui sopra e l’Amazon Kindle potranno far bene in futuro), ma proprio di software e formati. Una situazione imbarazzante, che non aiuta l’editoria in forte crisi.

Piattaforma dell’anno: 2Spaghi

Se ne parlava qualche mese fa quando ancora la piattaforma era un divertissement per geek in trasferta. Negli ultimi mesi 2Spaghi ha avuto una bella crescita e ha iniziato a investire correttamente sul mobile. Come notava Alberto D’Ottavi negli scorsi giorni, finalmente anche in Italia c’è una case history Internattara interessante da narrare agli scettici. Partita nel 2006 e con grandi aspettative per il 2011 e non solo.

Azienda dell’anno: BP

L’azienda di cui si è parlato (male) di più nel corso del 2010 è stata, ovviamente, BP. Il disastro ambientale che ha provocato sulle coste del continente americano rimarrà nei libri universitari di diverse facoltà: non solo ingegneria ambientale o biologia o chimica, ma anche comunicazione, marketing, giornalismo. Una storia che ci ha insegnato molto, ma da cui sembra molti non vogliano imparare abbastanza.

Personaggio dell’anno: Julian Assange

Sebbene molti di noi potrebbero ricevere un maggiore impatto sulla propria vita da parte della vicenda di Paola Caruso più che dal vociferare planetario su Mark Zuckerberg o dalle rivelazioni di Julian Assange, è probabilmente quest’ultimo che rimarrà nelle nostre memorie come outsider dell’anno. Gli impatti della sua attività sul mondo reale sono ancora agli inizi: speriamo siano positivi, non destabilizzanti.

Wikileaks e Assange vs. mondo reale

È di poche ore fa la notizia che Julian Assange ha ottenuto gli arresti domiciliari, sotto la condizione di indossare un braccialetto elettronico e fare un salto quotidiano al commissariato di polizia. Molti attivisti tirano un sospiro di sollievo, altri sghignazzano: da bravo hacker, Assange può commettere tutti i crimini (se così si possono chiamare) che vuole, basta un PC.

Di tutta la storia della fuga internazionale dell’australiano e della guerriglia telematica che l’ha accompagnata, colpiscono soprattutto la continua (volontaria?) incomprensione reciproca tra (presunti) tutori dell’ordine e (presunti) martiri della libertà informativa: a ogni passo in avanti nel disvelamento delle (presunte) verità è stato contrapposto un esercito di stecchini.

Per quanto pungenti, gli stecchini volano via con un soffio. Invece di calare gli assi pesanti delle attività connesse alle delicata attività di spionaggio internazionale, i magistrati hanno continuato ad accusare Assange di crimini marginali, suscitando perplessità e prese di posizione negative anche da chi, in fin dei conti, dalle pubblicazioni di Wikileaks aveva ottenuto solo danni.

Da un lato è bene che il sito continui la sua attività di approfondimento, magari senza gli eccessi di protagonismo del suo fondatore; dall’altro, non è difficile immaginare colpi di coda di quest’ultimo che vadano oltre il gossip internazionale “svelato” negli ultimi rilasci e magari investano grandi organizzazioni, di carattere industriale, finanziario, o assicurativo.

Questo potrebbe creare nuovi baratri nella crisi che continua a perdurare e questo no, non è un bene. Quando la pubblicazione delle informazioni di Wikileaks inizierà a produrre effetti sul mondo reale quali licenziamenti o chiusure di aziende, Assange perderà l’appoggio dell’opinione pubblica, che fino ad ora si è dimostrata piuttosto positiva nei suoi confronti.

Tutti sembrano incrociare le dita per il destino di Wikileaks, che ha portato trasparenza tra i politici. Saltino le poltrone di coloro che hanno fatto una professione della menzogna; rimangano al loro posto, però, i decision maker, pubblici o privati, che magari sono ricorsi a più banali segreti industriali o commerciali: c’è già abbastanza tensione nell’economia mondiale.

Umberto Eco e l’addio alla contemporaneità

Molti di noi sarebbero disposti a raccogliere firme per assegnare un Nobel a Umberto Eco. Certo, magari non per la Letteratura, ché altri autori forse negli anni hanno puntato un po’ meno sul blockbuster-a-tutti-i-costi; se esistesse un Nobel per la Cultura a tutto tondo, però, quello al Professore non lo leverebbe nessuno. Perché sicuramente la sua figura ha segnato in maniera profonda il dibattito culturale europeo degli ultimi decenni.

Non è un caso che, come tanti topolini dietro al pifferaio magico, migliaia di noi abbiano seguito Eco nei suoi progetti universitari: il DAMS, la Scuola Superiore di Studi Umanistici o, forse ancora più emblematicamente, il Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione, che dai suoi studi semiologici ha preso vita, per poi seguire la parabola discendente di un fondatore che sempre più oggi appare alieno dalle cose del mondo.

Amaro a dirsi, quell’Eco che era riuscito a scardinare e ridefinire i connotati della televisione nel nostro Paese, che col Gruppo 63 ha guidato in prima persona l’avanguardia culturale italiana, negli anni ha iniziato a involvere in una caricatura del docente universitario lontano dalla quotidianità, dell’intellettuale chiuso nella torre eburnea, dello scrittore che cadenza le sue uscite in libreria per massimizzare il ciclo di vita dei propri testi.

Quanto ci manca, l’Umberto Eco sempre un passo avanti, sempre illuminato e intellettualmente illuminato. Ci manca perché oggi è irriconoscibile, con le sue teorie a volte addirittura retrograde sulle potenzialità della Rete. Aldo Grasso ha ironizzato sull’Eco-prezzemolo degli scorsi giorni, intento a promuovere Il cimitero di Praga nei programmi televisivi radical-chic come un anziano autore qualsiasi. Quanto ci manca.

In morte di Pietro Taricone

Le ore di apprensione per la sorte di Pietro Taricone ed il cordoglio che è seguito all’annuncio della sua morte probabilmente ci ronzeranno in testa per lungo tempo. Per il dramma umano, certo, ma anche per l’incredibile girandola di opinioni, ricordi, giudizi e commenti che ha contraddistinto la scomparsa di un personaggio che, (tendenzialmente) nel bene e (qualche volta) nel male, ha segnato il decennio appena concluso.

Che Mediaset non volesse lasciarsi sfuggire l’occasione per lucrare sul dolore si era già intuito quando le notizie provenienti da Terni erano ancora piuttosto frammentate e confuse: l’unica certezza era che a lottare con la morte c’era un uomo giovane e famoso. Le reti televisive si sono scatenate poche ore dopo, dando alla vicenda un taglio “personalizzato” che ricordava un po’ quello del lutto per Raimondo Vianello.

IIn questo caso, tuttavia, il fascino del personaggio e la storia peculiare erano manna dal cielo per programmi scandalistici e pseudo-giornalistici. Le trasmissioni dedicate all’evento su Canale 5 hanno fatto il boom di ascolti, riprendendo ad oltranza immagini vecchie di 10 anni e istituzionalizzando il ruolo di Pietro Taricone come “vincitore morale” della prima e di tutte le edizioni del Grande Fratello, reality show di punta della rete.

Un vero peccato, visto che il giovane attore negli anni si era allontanato in maniera evidente da quella esperienza, sia in termini di scelte di vita (fu molto discussa la sua “fuga in campagna”), sia artistiche: magari con ruoli marginali, ma film e serie televisive interpretate denotavano un percorso creativo in piena crescita. Il personaggio di Ermanno in Tutti pazzi per amore 2 sicuramente è stata una prova da attore brillante e consumato.

Non è stata solo Mediaset, tuttavia, a cercare di sfruttare l’attenzione collettiva per la morte di Pietro Taricone. Si sono sentiti in dovere di ricordare il personaggio autori di destra e di sinistra, con l’ennesimo sbracciarsi di Roberto Saviano a rasentare il ridicolo. La voglia di appropriarsi del personaggio da parte di Casa Pound (come era già avvenuto per Rino Gaetano) ha ulteriormente scatenato dibattiti spesso insensati.

Rimane il dolore per Kasia Smutniak e per la loro figlioletta, sbattuta in prima pagina dai giornali a caccia di dettagli sulla morte di quello che è già stato definito “il James Dean italiano”. Rimane la compassione per i genitori, perché perdere i figli è difficile e lo è ancora di più quando sono così giovani. Rimane la pietà per una vita spezzata per spavalderia, ma anche la tristezza per chi ora non potrà più difendersi dal chiacchiericcio.

Pierluigi Diaco, arrogante di successo

Il successo iniziale di Pierluigi Diaco era legato al suo ruolo istituzionale di “giovane intellettuale”: veniva invitato in contesti in cui si destreggiava come una Susanna tra i vecchioni. Fossero trasmissioni televisive o radiofoniche, eventi politici o convegni imprenditoriali, Diaco portava la voce di una persona giovane ma, signora mia, veramente brillante. Un primo della classe appena uscito dalla scuola (apparve in TV a 17 anni), sempre pronto a parlare di musica, politica, economia e tendenzialmente di tutto lo scibile umano.

Il problema è che negli anni Diaco è invecchiato e non è riuscito a ritagliarsi un ruolo distintivo. Ha provato a buttarsi in politica, ottenendo solo irrisione e non consenso; ha cercato di interpretare a modo suo la professione di giornalista, su quotidiani di nicchia come Il Foglio o periodici di massa come Panorama; ha condotto trasmissioni eterogenee in televisione, finendo a litigare con gli ospiti. Nonostante questo altalenare tra auto-esaltazione e rischio-dimenticatoio, è comunque riuscito a guadagnare la stima di molti potenti.

Oggi Diaco conduce Unomattina Estate e per la prima volta ha l’opportunità di comunicare col grande pubblico di Rai Uno: ne approfitta fino in fondo e come ha notato Aldo Grasso è, in un certo senso, la sua consacrazione, il coronamento di un percorso di botte a destra e a sinistra, di ossequi verso i potenti di politica e show business. L’ex giovane sa della visibilità del suo nuovo ruolo e ne approfitta fino in fondo per comunicare ai telespettatori la sua visione del mondo, della vita, della società, della cultura.

I suoi siparietti acidi con Georgia Luzi ormai sono famosi, la sua arroganza fa rabbrividireil suo enciclopedismo stupisce chi non lo conosce e non di certo in positivo. Diaco sa di avere successo  su alcuni target, perché sa come interpretare in chiave populistica le sue occasioni di confronto con ogni microfono sotto tiro. In fin dei conti, Filippo Facci aveva già scritto tutto di lui quasi dieci anni fa, quando si temeva che Diaco ce l’avrebbe fatta davvero. Per ora non è andata così, speriamo continui a rendersi ridicolo ancora a lungo.

Totti bifronte

Dopo i primi tempi con i ragazzi che lanciarono il motto Life is Now e un lungo periodo con Gennaro Gattuso e Francesco Totti, gli spot di Vodafone da oltre due anni e mezzo vedono quest’ultimo e la moglie Illary Blasi come coprotagonisti di una saga infinita: scenette divertenti, in cui prodotti e servizi del gestore telefonico vengono illustrati al grande pubblico. Obiettivo non facile, visto che alle promozioni di bundle telefonate/messaggi si sono affiancate (e sempre più sostituite) quelle relative all’offerta dati, compreso l’Internet Mobile che fino a qualche tempo fa era abitudine di pochi.

I due ci riescono, recitando gli script di 1861 United con fare leggiadro e naturale. Lei fa la figura della bella borgatara, lui quello dello sciocco buono: un mix che molti immaginano essere specchio della realtà quotidiana a casa della showgirl e del calciatore. E se l’immagine della prima è sufficientemente mantenuta fresca dalla sua partecipazione a programmi televisivi di culto come Le Iene, quella del secondo è ormai indissolubilmente legata al suo ruolo di Goodwill Ambassador dell’Unicef ed alla beneficienza, fatta con gli introiti dei suoi libri e persino coi diritti televisivi del matrimonio.

Ma oltre ad essere un uomo di spettacolo (ed un giocatore di poker, come ci ricordano gli spot PartyPoker.it in cui appare frequentemente negli ultimi mesi), Francesco Totti è anche e soprattutto un calciatore. Attaccante bravo ed efficace, fedele alla sua squadra ed ai suoi tifosi come pochissimi hanno saputo fare negli ultimi decenni. Personaggio che però, in campo, diventa anche un Mister Hyde da romanzo: si mette a sputare contro gli avversari, a gridare imprecazioni, a prendere a calci un calciatore della squadra avversaria, salvo poi pentirsi rapidamente sui giornali del giorno dopo.

Il Pupone, come viene affettuosamente chiamato Totti sin dagli esordi nella Roma, passa mesi a costruire un’immagine vincente in campo e affabile in televisione, poi periodicamente ne combina una delle sue e questo pregiudica molti aspetti della sua vita: saltano le convocazioni per le partite importanti, diminuisce la presenza negli spot, vengono ritirati gli inviti alle trasmissioni televisive. Dopo gli episodi degli ultimi giorni, anche questa volta Sisifo ricomincerà la sua salita: forse solo l’abbandono del campo e il passaggio definitivo allo spettacolo gli permetteranno di uscire dal circolo vizioso.