Buon 2016 (sopravvivendo al 2015)

Pressoché tutti i giornali italiani a cavallo del Natale si sono confrontati sull’interpretazione dei dati sull’incremento di mortalità rilevato nei primi due quadrimestri dell’anno rispetto al precedente. Decine di migliaia di morti in più, con ipotesi assortite sulla possibile correlazione con crisi e minori cure.

Un impeto di ottimismo collettivo, giusto per chiudere in bellezza l’ennesimo anno economicamente difficile; anche se venisse confermato il segno + nella crescita dell’economia italiana su base annua, difficile pensare che 1 per mille sia un valore significativo per poter dire di aver “svoltato”.

Buoni festeggiamenti di fine anno a tutti i lettori di .commEurope con la solita lagna: prima o poi magari la crescita tornerà a essere dell’1 per cento e ci sembrerà tantissimo. Nel frattempo continueremo a raccogliere i cocci qua e là, sperando siano sufficienti per tirare avanti… In salute.

Più che il tumore potè la malainformazione

Probabilmente la notizia era troppo ghiotta per passare inosservata; un titolo a effetto veniva gratis e molte testate, sia online che cartacee, ne hanno approfittato. Sebbene i risultati pubblicati su Science fossero come sempre molto più complessi, i giornalisti li hanno sintetizzati con titoli come “Tumori, la ricerca shock: ne causa più la sfortuna che lo stile di vita” e similari.

Impossibile non cliccare: da un lato siamo tutti piuttosto spaventati dal cancro, che nelle sue mille declinazioni continua a essere la malattia più misteriosa e spesso incurabile; dall’altro quelli che tra noi adottano comportamenti da sempre ritenuti dai medici “a rischio”, aspettavano la notizia da rinfacciare agli amici alla prossima lamentela o suggerimento “antipatico”.

Qualche giornale più serio ha provato a chiedere conto ad altri ricercatori o sfoderare ricerche che arrivavano a conclusioni opposte, qualcuno ha detto che per “caso” si può intendere anche “fenomeno con valenza scientifica ma che non riusciamo ancora a spiegare razionalmente”. Ma il fatalismo ci piace tanto e i giornalisti sanno come solleticarlo per farci cose da irresponsabili.

Erano anni che medici e ricercatori scientifici si dedicavano a stilare classifiche delle cose da evitare o delle buone azioni quotidiane; ora in un sol colpo molti hanno rimosso la cautela: “se deve succedere…” “tanto…” “dicono che è un caso…” e così via. Non è solo un effetto immediato: tra mesi, forse anni, qualcuno citerà la ricerca a giustificare i propri comportamenti infelici.

LGBTQIA

L'articolo 'Generation LGBTQIA' del 9 gennaio 2013

The New York Times ha pubblicato un bell’articolo a proposito dell’evoluzione di uno dei più noti acronimi nell’ambito della definizione di identità di genere: dall’ormai classico LGBT (usato da una ventina di anni) si sta evolvendo verso un più ampio LGBTQIA, in modo da includere più preferenze e profili.

Con tutta evidenza, spiega l’articolo, non è un problema di sigle: si tratta di una maggiore attenzione che le organizzazioni statunitensi, università in primis, stanno dedicando a chi ha già definito un’identità diversa da quelle più frequenti o sta riflettendo sulla strada da intraprendere nella propria vita privata.

Sarebbe bello che anche in Europa ci fosse altrettanta sensibilità e rispetto; sicuramente nei Paesi del nord c’è maggiore spazio, ma in Italia assistiamo a un vero e proprio muro. Mentre in Francia, pur con qualche polemica, si avanza verso il riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali, da noi è tutto tabù.

Le amministrazioni pubbliche dovrebbero avviare campagne di comunicazione decisamente più “aggressive” nei confronti delle intolleranze fin troppo diffuse. Poi rimane a carico di chi è più sensibile cercare di adottare comportamenti che trasformino quelle campagne in gesti civili e censurino quelli incivili altrui.

Una vita a letto

Chiederebbe il comico Massimo Bagnato «Alzi la mano chi legge questo post dal letto» oppure «Alzi la mano chi gioca col tablet a letto prima di addormentarsi» o anche «Alzi la mano chi guarda l’e-mail a letto come prima cosa al mattino». Si potrebbe continuare all’infinito: molti di noi passano ore a lavorare, giocare, leggere, studiare seduti o sdraiati a letto.

All’inizio era il notebook: dopo anni di PC-totem davanti a cui sedersi a casa o al lavoro, la possibilità di poter utilizzare un terminale in una posizione più comoda sembrava una svolta; complice il wi-fi, ci eravamo poi liberati anche di buona parte dei cavi. L’arrivo di tablet, e-book reader e smartphone è stata la consacrazione definitiva di un nuovo stile di vita.

'Breve ma utile guida agli sport supini' su Frizzifrizzi.it

Non solo informatica, in verità: l’abitudine di passare ore e ore a letto (nel week-end più che mai) ha fatto sì che abbiamo iniziato a consumare cibo o telefonare a letto. Molte case ormai hanno televisori in ogni stanza da letto che vengono molto più utilizzati di quello “principale”; è cambiato il consumo: le immagini scorrono in TV, l’attenzione è sul tablet.

Negli Stati Uniti fioccano gli studi su questo modo di vivere, sicuramente poco salutare ma molto “pratico”. I più eleganti ricordano la greppina romana e la vita intellettuale che gli scorreva intorno; i più giovani ricordano i ciccioni del futuro del film WALL•E che vivevano sull’astronave sempre supini, con i muscoli atrofizzati. Probabilmente siamo sulla buona strada.

Disease marketing? Sempre più pervasivo

Sono passati ormai un po’ di anni da Big Bucks Big Pharma, il documentario che aveva cercato di sensibilizzare tutto il mondo, Stati Uniti in primis, su quanto stessero diventando pervasive le campagne di comunicazione delle grandi aziende farmaceutiche. Negli stessi mesi era uscito Sicko di Michael Moore, maggiormente incentrato sul sistema sanitario statunitense.

Entrambi i film dipingevano una realtà parecchio stonata per noi europei; da un lato, pubblicità di psicofarmaci trasmessi a spron battuto in televisione; dall’altro, una sanità completamente in mano ad assicurazioni e case farmaceutiche, lontana dallo stato sociale tipico dei nostri Paesi. A poco più di un lustro di distanza, oggi però alcuni dei messaggi presentati non suonano più così alieni.

In particolare, negli ultimi anni è cresciuta in maniera evidente anche in Europa la visibilità delle campagne pubblicitarie delle case farmaceutiche. Non è più solo questione di block notes sponsorizzati col nome di medicine o di qualche spot di sciroppo OTC: la crisi ha ucciso i budget pubblicitari dei grandi spender storici, così di farmaci, malattie e disagi vari si sente parlare sempre di più, ovunque.

Anche sul below the line, infatti, spadroneggiano le campagne di sensibilizzazione verso malattie diffusissime o al contrario rarissime: campagne istituzionali, ma soprattutto tanti messaggi legati al fundraising, 5 per mille in primis. In alcuni casi i messaggi fanno leva sulla paura di chi li riceve (“Potrebbe succedere anche a te”), in altri su malattie misteriose (“aiuta il bimbo africano a non morire di XYZ”).

Quotidianamente ci sono personaggi con un camice bianco che con ragionamenti simil-medici supportano le campagne di marketing di prodotti e servizi. In ogni supermercato compaiono decine di prodotti che dichiarano di supportare a campagne di lotta contro malattie note oppure fanno leva sulle proprietà benefiche contro disagi diffusi (magari “in abbinamento con una regolare attività fisica”).

È uno stile di comunicazione sempre più mainstream, è un modo di comunicare per cui persino gli yogurt assumono proprietà mediche o per cui la possibilità di trovare soluzioni alle malattie più gravi dipende esclusivamente dal nostro contributo volontario. Messaggi tutti mixati tra loro, che puntano tutti sul senso di maggiore attenzione rispetto alla salute, ma offrono poche soluzioni davvero efficaci.

Uomini e cura del corpo

Dopo decenni di campagne pubblicitarie su cosmetici, cure di bellezze, trattamenti estetici di tutti i tipi per donne di tutte le età, negli ultimi anni si è iniziato a guardare con curiosità e interesse al mercato maschile. Se per le prime il margine di innovazione è sempre più limitato in termini di ricerca scientifica ed ancor più di marketing, sui secondi c’è tutto un sistema di prodotti, servizi ed immaginario in via di costruzione. E no, non si sta parlando dei ragazzini emo che ormai si truccano abitualmente tanto e quanto le coetanee.

Il mercato della cosmesi maschile, da anni stabilmente stimato in centinaia di milioni di Euro in ogni Paese europeo, è in realtà al palo ovunque: continua ad essere soprattutto legato a prodotti tradizionali e per di più sempre meno difficili da differenziare. La parte del leone la fa la rasatura del viso (ed i relativi danni all’epidermide dei più sensibili), la stella in ascesa è la sfida alla pancetta, le nicchie sono tante ma tutto sommato legate più ad eventi sporadici che ad una reale abitudine diffusa alla cura quotidiana del corpo.

Gli studi interpretano la crescente frequenza degli uomini negli studi dei chirurghi plastici come segno di un progressivo shift culturale verso una maggiore attenzione degli uomini al proprio corpo; i più pessimisti, ipotizzano che essere metrosexual ormai è addirittura demodé, visto che questa etichetta sopravvive da tre lustri ed identifica comunque sempre e solo un numero marginale di soggetti, sebbene sicuramente di profilo sociale (e soprattutto economico) particolarmente interessante per le aziende del settore.

Difficile negare che ci possa essere un reale interesse a curare, come amano dire gli spot, “i segni dell’invecchiamento e dello stress”; ma molti di noi hanno avuto esperienze a dir poco traumatiche in profumerie in cui commesse e commessi si limitano ad intendere gli uomini come polli da spennare suggerendo e impacchettando fragranze femminili da regalare. Nel frattempo, un numero crescente di prodotti cosmetici maschili si ammonticchiano nell’angolo in fondo a sinistra. Ma chi sa che esistono e a cosa servono?

Pane, amore e couperose

L'immagine principale della campagna tratta dal sito del Ministero della SaluteC’è qualcosa di più inquietante rispetto all’immagine dell’infermiera orrendamente affetta da violacee malattie della pelle che impazza in stazioni, aeroporti e mezzi pubblici: si tratta dello spot che un mesetto fa La Sterpaia ha pubblicato su YouTube contestualmente alla presentazione della campagna “La Bella Sanità” e che nelle settimane successive abbiamo visto pianificato in diversi circuiti. Si tratta di un montaggio in rapida sequenza di brandelli del volto della povera sfigurata, ritratta in varie posizioni (sorrisi, baci, ammiccamenti, etcetera), accompagnato da un ritmo incessante di percussioni. Chi ha caricato il video ci informa che, oltre alla direzione artistica della campagna di Oliviero Toscani, ha contribuito al montaggio tale Leandro Manuel Emede: complimenti ad entrambi non tanto (…) e non solo per la campagna, quanto per il fatto di essere riusciti a convincere Ministero della Salute e Presidenza del Consiglio della bontà della stessa e dello spot epilettico in particolare.

Bisogna dire che lo scopo dell’iniziativa era nobile: stimolare i cittadini a guardare con occhio diverso al bistrattato Servizio Sanitario Nazionale. Con un certo anticipo sull’appuntamento di fine 2008, la campagna voleva infatti sottolineare i pregi del sistema istituito 30 anni fa: un’assistenza universale e tendenzialmente gratuita, che ha portato l’aspettativa di vita oltre gli 80 anni; qualcosa di effettivamente ubiquo e non confrontabile con gli eccessi privatistici Statunitensi, sostenuto da dei medici preparati e da uno staff di supporto un po’ stressato, ma per la maggior parte disponibile. Un Servizio all’apparenza perfetto, che però da sempre soffre di una gestione miope delle risorse: l’aver attribuito competenza quasi esclusiva alle Regioni non ha ottimizzato le spese, ma ha solo contribuito a nuove spartizioni di potere, a tutti i livelli. Il Ministero centrale oggi cerca di monitorare e coordinare gli sforzi anche e soprattutto in ambito comunicazione istituzionale.

L’infermiera e il suo slogan dovrebbero essere il fil rouge che accompagnerà tutte le iniziative sul territorio per i mesi a venire. Si spera attività mirate e gestite in maniera trasparente, visto che il metodo di assegnazione di questo budget è già stato abbondantemente messo in discussione da pubblicitari e markettari italiani: difficile mettere in discussione la professionalità di Oliviero Toscani e del suo team, ma rimane un mistero la fiducia illimitata che le Amministrazioni Pubbliche nutrono nei suoi confronti. Molti professionisti hanno tirato fuori la campagna di Oliviero Toscani per la Regione Calabria, altro caso in cui lo spot era costituito da un montaggio tamarro di immagini di gente sorridente, mentre la discussione tra i cittadini comuni è rapidamente sfociata verso il malcontento sul contenuto della campagna e sulla sua pianificazione, con ampie dosi di populismo da un lato e di rabbia verso la malasanità dall’altro.

Un parodia della campagna tratta dal Contest di NGI Forum

Nelle ultime settimane, poi, è successo quanto era facile immaginare: la campagna è stata presa di mira un po’ da tutti. In primis dai giornali tradizionali, che hanno ironizzato sulla faccia tosta dimostrata dal Ministero della Sanità: indimenticabile il reportage «Pane, amore e diossina» pubblicato da Il Salvagente qualche settimana fa a proposito della presenza di diossina e pentaclorofenolo negli alimenti di uso quotidiano. In seguito, le affissioni hanno iniziato ad attirare l’attenzione anche dei più giovani: ad esempio, sul Forum di Ngi è stato avviato un Photoshop Contest che partendo dall’immagine principale della campagna, ha dato avvio ad una serie infinita di variazioni ironiche sul tema. Tanto per cambiare, insomma, Oliviero Toscani ha raggiunto il suo obiettivo di sempre: ha fatto parlare di sé prima ancora del soggetto della propria campagna. Vedremo quale sarà la prossima Amministrazione Pubblica che si affiderà alle sue cure: speriamo solo che, almeno una volta, si venga graziati dagli spot low budget, low quality.

OK, Veronesi prima di tutto

Arriva il relax di agosto e ci si ritrova a fare cose strane: ad esempio a comprare riviste, da leggere in panciolle, che mai si sarebbe pensato di comprare in tempi normali. Per chi non è particolarmente interessato alle tematiche legate a salute e dintorni, OK – La salute prima di tutto rientra in questo mercato di “curiosità in edicola”. Il segreto, da parte della redazione, sta nel proporre copertine attraenti al primo sguardo: il progetto editoriale della rivista, d’altronde, risponde a questa esigenza ogni mese, piazzando un personaggio noto in copertina a testimoniare le proprie vicessitudini sanitarie.

La copertina del numero di agosto 2007 di OK - La salute prima di tuttoPer rendere attraente il numero di agosto, la scelta non poteva che ricadere che su un mito nazional-popolare del calibro di Claudio Baglioni, chiamato a raccontarci le sue sventure in campo ortottico. Con un trucco, però: sotto al suo viso in caratteri cubitali viene pubblicizzato il servizio principale del numero, non correlato con l’esperienza del cantante, che spiega perché le storie d’amore finiscono soprattutto in agosto. E si sa, il binomio Baglioni & amore è un grande bestseller italiano. Anche altri grandissimi personaggi del calibro di Jo Squillo o Valerio Massimo Manfredi con le relative malattie portano il loro contributo alla rivista.

Lo spirito ecumenico della rivista viene svelato dagli altri articoli segnalati in copertina: tra tutti spicca quello che promette di svelare il mistero della notevole attrazione che le transessuali esercitano su uomini tradizionalmente eterosessuali. Servizio che, per inciso, è di pessima fattura, visto che ricorre alla banale (ed erronea) distinzione per cui i travestiti sono uomini che si sollazzano a vestirsi da donna e le trans ex-uomini che hanno cambiato organi genitali. Al di là di questo argomento specifico, comunque, l’attenzione per sesso e dintorni è a livelli sospetti: basta dare un occhio al sommario in Pdf disponibile sul sito per notare articoli del tipo «Può far male astenersi dal sesso?», «Via l’utero, ma il piacere non si tocca»,  «No al sesso orale, c’è il papilloma virus».

Da notare che sul sito non ci sono solo le immagini della copertina o del sondaggio: vengono pubblicati anche l’articolo di copertina, molti degli altri testi pubblicati sulla versione cartacea e contenuti aggiuntivi. Sorge il dubbio del perché si debbano spendere 2,20 Euro per testi non del tutto imperdibili, che si trovano in Rete gratis. In misura di un’elemosina di 10 centesimi per copia, il giornale gode dell’egida di quel santo uomo che risponde al nome di Umberto Veronesi cerca di dare dignità persino ad articoli che parlano di psicofisiognomica (…), con boxettini-foglia-di-fico in cui l’omonima fondazione, garante della scientificità della rivista, approva la pubblicazione degli stessi solo nei termini di “gioco dell’estate”. Si tratta sicuramente di un modo come un altro per finanziare la bistrattata ricerca scientifica italiana, ma quanta fatica…

Mattel, una ecatombe che si poteva evitare

La storiaccia della Mattel, che in questi giorni di scarse notizie è diventato il principale tormentone mediatico, sembra tratta da uno dei quei simpatici libri che, scritti per i manager alle prese con il crisis management, diventano testi di culto per gli studenti di Relazioni pubbliche. Diventerà un caso di scuola: agli occhi dei consumatori, ha tutte le caratteristiche per rimanere come ferita inguaribile sull’azienda dell’asteriscone rosso e presenta molti spunti di riflessione per chi si occupa di marketing, di produzione industriale, di comunicazione e persino di macroeconomia, viste le prese di posizione politiche che stanno emergendo in queste ore.

L’ultimo stillicidio mediatico che si ricordi nel campo dell’entertainment fu la saga del rootkit di Sony, un paio di anni fa: nulla in confronto all’ecatombe cui stiamo assistendo in questi giorni. In quel caso, infatti, i clienti finali erano un target meno delicato di quello attuale: ora si parla di giocattoli destinati ai bambini, perciò l’attenzione collettiva è amplificata e moltiplicata. Attenzione che, tuttavia, non sempre viene orientata in maniera corretta: i media parlano a ripetizione del problema della vernice contenente piombo, ma se si osservano le scilinguate liste ufficiali della Mattel, ci si rende conto che il 99% dei ritiri è in realtà legato al problema dei piccoli magneti ed il ritiro a causa della vernice tossica riguarda una sola referenza (l’ormai onnipresente personaggio del film Cars). Allo stesso modo, è facile notare che si continui a tirare in mezzo Barbie, nonostante solo un modello del tutto marginale della celebre bambola bionda è interessato dal ritiro.

La Mattel ed i suoi fornitori cinesi stanno ora sottoponendosi al calvario rituale, fatto di scuse, numeri verdi, videomessaggi lacrimosi e lettere aperte di manager-padri di famiglia. I politici europei, come quelli cinesi, promettono indagini approfondite e lanciano strali contro il primo produttore al mondo di giocattoli. I consumatori gridano vendetta e si chiedono (giustamente) come mai i giocattoli oggetto del ritiro avessero comunque i loghi di sicurezza previsti dalla normativa comunitaria. E pensare che tutto è iniziato due giorni fa con una presa di posizione troppo netta da parte di Mattel Italia: «i prodotti incriminati non sono mai stati distribuiti nel nostro Paese».

Gestita male la partenza della vicenda, Mattel è stata travolta nel nostro Paese come nel resto del Mondo. Addirittura, il magma dell’indignazione ha travolto anche aziende del tutto differenti, come Disney (che ha la sola colpa di aver concesso in licenza il famigerato personaggio a Mattel), ma soprattutto come Nokia, che per pura coincidenza negli stessi giorni ha diramato la comunicazione di un cambio gratuito per alcune batterie difettose. I casi di Mattel e Nokia sono stati presentati insieme all’interno di servizi nei telegiornali ed articoli su giornali e Web, nonostante l’obiettiva differenza di gravità dei ritiri e le diverse strategie adottate per rispondervi. C’è poco da fare: quando parte l’ondata dell’indignazione collettiva, fermarla è quasi impossibile. Almeno fin quando non ci saranno notizie più appealing nei flussi delle agenzie…

Anche gli ingegneri aiutano i disabili a comunicare

C’è da ammettere che, in Italia, gli ingegneri sono abitualmente visti con un misto di sospetto e sufficienza: probabilmente, l’ottusità di alcuni rappresentanti delle vecchie generazioni ha creato questo luogo comune dell’ingegnere come cattivo comunicatore. In realtà, i giovani e le giovani ingegneri di oggi sono persone molto aperte agli stimoli esterni: ne sia esempio la Laurea in Ingegneria del cinema e dei mezzi di comunicazione, recentemente inaugurata presso il Politecnico di Torino.

Anche un comunicato stampa di un altro Politecnico, quello di Milano, oggi parla di un nuovo link tra ingegneri e comunicazione: il Dipartimento di Bioingegneria lancia il progetto Whispers, dedicato alla comunicazione tra disabili e tecnologie elettroniche. L’idea di fondo, piuttosto innovativa, è quella di una «tastiera a modulazione respiratoria» che, connessa ad un computer o ad un dispositivo wireless, raccolga le modulazioni del respiro codificate in una sorta di codice Morse.

Non è la prima volta che il Dipartimento si apriva all’esterno: era già avvenuto con una collaborazione con l’Associazione Paraplegici lombarda. Ma, stavolta, l’iniziativa finanziata dal Fondo Sociale Europeo ha un che di speciale. Incrociamo le dita e tiriamo un sospiro (di sollievo).