Il Web, il Mobile e Facebook

La sensazione, basata su esperienze del tutto soggettive ma sempre più frequenti, era nota da tempo: la fascia di utenti che utilizza Internet senza rendersene conto è in costante crescita. L’esplosione di massa dei social network da un lato e dei sistemi di instant messaging dall’altro sono state probabilmente le cause più eclatanti.

Oggi non è affatto raro incrociare utenti di tutte le età spergiurare di non usare Internet, ma poi vederli passare ore a sorridere sugli schermi di smartphone e tablet leggendo gli update di Facebook o WhatsApp; i package di telefonia mobile che ormai includono quasi sempre una mini-flat dati permettono loro di sentirsi “al sicuro”.

Gli effetti sono talvolta bizzarri: a volte questi utenti utilizzano giochi quasi costantemente connessi alla Rete senza rendersene conto; oppure, siamo al colmo, sono persone che dichiarano di non voler mai e poi mai utilizzare l’Internet Banking, ma sguazzano con semplicità nelle applicazioni di Mobile Banking/Mobile Payments.

Godiamoci l’aspetto positivo della faccenda: per quanto quasi inconsapevolmente, sta finalmente crescendo l’alfabetizzazione digitale di intere fasce di popolazione. Certo, resta il fatto che per raggiungerli bisogna cercare il modo giusto di parlare loro: perché non c’è app store o sito che tenga, loro usano Facebook, mica Internet.

Alta velocità, lenti lavori

Quando nelle scorse settimane sono apparsi questi cartelloni nella metropolitana di Milano, più di qualche pendolare stremato dall’attesa avrà notato il numero elevato di fermate citate: così a occhio, il grafico ha tirato in mezzo anche quelle che non ci sono ancora e forse un giorno arriveranno, sulla linea 5. Avrebbe potuto mettere anche tutta la linea 4, quella boicottata dalle lobby che non vogliono che la metropolitana arrivi a Linate.

Polemiche locali a parte, lo svarione di Tim fa sorridere perché la stessa lentezza che contraddistingue i lavori che dovrebbero consentire ai treni di sfrecciare sotto terra si può riscontrare nel setup delle infrastrutture che dovrebbero permettere la navigazione su Internet a velocità interessanti sia dal fisso che in mobilità. Lavori che si direbbe siano ripartiti, dopo anni in cui la fibra ottica sembrava un tabù e il 3G arrancava in provincia.

Scorrendo gli archivi di questo blog (dieci anni servono a qualcosa) si trova più volte riferimento alla rabbia sull’equazione xDsl = alta velocità; solo la necessità dei principali player wireline di costituire asset difendibili (leggi ad esempio l’infinita diatriba sullo scorporo della rete tradizionale da Telecom Italia) e aumentare l’ARPU stanno pian piano facendo ripartire le ruspe, che comunque si scontrano con forti resistenze sul territorio.

Il NIMBY si vede poi ancora più forte guardando la lentissima copertura LTE: le antenne per la telefonia mobile non le vuole nessuno, nemmeno quelli che poi si lamentano di non poter vedere i video in mobilità. I terminali ormai non mancano, eppure molti di noi hanno semplicemente spento l’opzione sullo smartphone o sul tablet: tanto funzionerebbe solo nel centro di alcune grandi città, non dove servirebbe davvero, di qualità.

È evidente che nel giro di qualche lustro tutto ciò sembrerà ridicolo, ma per ora stiamo bruciando opportunità di crescita economica per il nostro egoismo. Ci godiamo senza problemi le emissioni delle antenne televisive rapidamente riconvertite al digitale (segno che quando lo Stato crede in un cambiamento strutturale lo fa senza ritardi), ma non accettiamo che qualche strada venga bloccata per qualche settimana per essere cablata.

La maledizione del jingle Wind

Della schizofrenia della comunicazione pubblicitaria del Gruppo Wind si è già scritto un paio di anni fa e le cose sono tutt’altro che migliorate: è cambiato l’azionista di riferimento, ma accanto ai filoni Fiorello & soci vs. Panariello e Incontrada vs. comunicazione istituzionale-emozionale, si è progressivamente affermato quello di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Gli spot del trio sono tutti un po’ uguali: una scena slapstick con effetti speciali e una canzone di sottofondo, trasmessa sulle principali reti televisive; poi tante versioni ridotte dello stesso spot, con la stessa canzone, ripetute all’infinito, ovunque. È così che le canzoni e gli spot diventano indissolubili, persino per coloro di noi che non guardano la TV. Arriva comunque.

L’effetto è devastante. Era successo l’anno scorso con Back It Up di Caro Emerald, canzone nata semi-clandestina, promossa a brano cool dai canali musicali specializzati, sbracata come colonna sonora dello spot di Aldo Giovanni e Giacomo (e pare anche delle danze delle veline a Striscia la notizia). Sta succedendo in queste settimane col nuovo singolo dei Planet Funk.

Probabilmente gli artisti sono contenti, è comunque un modo per ottenere visibilità. Succede anche con altre aziende: qualcuno dice che il vero successo di Lady Gaga in Italia è nato con gli spot Tim, i più curiosi hanno imparato a conoscere The Asteroid Galaxy Tour con lo spot dell’Heineken lo scorso anno così come scovavano gruppi rock nei ’90 con Levi’s.

Eppure l’effetto degli spot Wind è diverso da tutti gli altri. Non si capisce perché, ma ogni canzone che transita sotto le scenette di Aldo, Giovanni e Giacomo diventa antipatica per molti, clienti e non. Sarà per come vengono tagliati i brani, sarà per l’associazione con il contenuto delle scene, sarà per le ripetizioni infinite. Artisti scappate se Wind vuole “utilizzarvi”.

La fine ingloriosa del BlackBerry

Basterebbe tornare con la mente ad appena un paio di anni fa, quando i vari modelli di BlackBerry, da quelli più tradizionali ai primi modelli con touchscreen, rappresentavano ancora un must have per Manager di varia levatura, anche e soprattutto quelli più importanti. Una posizione che si era consolidata negli anni e che per anni ha reso RIM invincibile sul target professionale.

Poi piano piano sulle scrivanie dei C-level è iniziato ad apparire l'iPhone. Proprio nei mesi in cui BlackBerry iniziava a inseguire il mass market, perdeva i suoi testimoni più prestigiosi e giù a scendere, se non altro per spirito di emulazione, anche qualsivoglia attrazione nei confronti del middle Management. Una carneficina visibile di mese in mese, di cambio in cambio di terminale.

Oggi gli stoici utilizzatori professionali del BlackBerry son sempre meno. Vengono quasi scherniti dai colleghi passati all'iPhone e da quelli che sentendosi più geek hanno scelto i palmari di fascia alta basati su Android. È più facile vedere dei BlackBerry in mano agli adolescenti in metropolitana, utilizzati soprattutto come spara-SMS. L'ultima campagna TV sembra cercare quest'utenza.

Se qualche anno fa, quando Research in Motion era semi-monopolista nel mondo degli smartphone soprattutto negli Stati Uniti, fosse stata comprata da Microsoft, avremmo visto crescere un mostro importante, capace di sbranare il mondo a furia di e-mail e notifiche. Invece entrambe le aziende hanno scelto strade oblique, soprattutto Microsoft interessata a raccogliere i cocci di Nokia.

Dal punto di vista finanziario, RIM è una società che lascia sempre più perplessi gli investitori, che hanno chiesto interventi drastici al/sul Management. È stata una scommessa giocata al rialzo che un giorno si è sgonfiata, distrutta dalla perdurante arretratezza dei suoi software e dal fascino del design di Cupertino: quelli tra noi con ancora in mano un BlackBerry ormai guardano altrove.

In Rete bisogna scegliere i partner giusti

Una decina di giorni fa, la nostra attenzione era tutta dedicata al crollo dei servizi in cloud computing di Amazon, colpevole di aver fatto scomparire per diverse ore la stragrande maggioranza delle Internet startup più amate. Pochi giorni dopo è stato il turno dell’accoppiata Playstation Network/Qriocity, le due reti Sony colpite da attacchi feroci da parte di ladri di informazioni senza troppi scrupoli: molti hanno visto la propria carta di credito tremare.

L’ultima ondata di indignazione è invece stata tutta italiana e ha riguardato Aruba, colpevole di aver sottovalutato più la portata comunicativa che gli effettivi danni (pressoché nulli) ai dati contenuti nella server farm incendiata. In tutti e tre i casi, l’ondata di pentimento collettivo ha riguardato l’essersi affidati a servizi remoti, senza possibilità di controllo da parte di utenti finali e aziende clienti, con il retrogusto amaro di averne sopravvalutato l’affidabilità.

Nonostante molti di noi, indossato il cappellino del consulente, incitino gli interlocutori a migrare servizi e applicazioni tra le nuvole, rimane una grande diffidenza nei confronti di chi gestisce le infrastrutture, con sforzi in avanti irrazionali guidati da leve non del tutto corrette come quella del prezzo. Per intenderci: va bene far ospitare il proprio sito a 20€ l’anno, ma poi non è serio aspettare un piccolo grande blackout per pentirsi di un uso professionale.

Il vantaggio di avere un sistema evoluto di posta elettronica come Gmail (e il relativo storage) sempre disponibili da qualsiasi terminale ormai lo abbiamo compreso; dobbiamo tutti fare uno shift culturale nell’applicare gli stessi criteri di selezione dei propri partner anche sulle altre applicazioni remote che abbiamo iniziato/inizieremo progressivamente a utilizzare. Probabilmente l’era del free a tutti i costi è finita, almeno per uso professionale.

Dall’altro lato, la vicenda Sony non deve farci cadere nel pessimismo cosmico del “se anche i grandi si fanno rubare le anagrafiche, allora non compro più nulla online”: i furti continueranno a esistere, è un atteggiamento più maturo cautelarsi per tempo (leggi: carte di credito con coperture assicurative) piuttosto che tornare anche indietro anche da questo punto di vista. Al contrario, continuiamo a sostenere chi propone innovazione, è meglio per tutti.

Frequenze da riorganizzare urgentemente

Gli amici che vivono in alcune zone dell'Emilia Romagna per anni hanno visto il TG regionale del Veneto, a causa della configurazione del ripetitore sul Monte Venda (in provincia di Padova). Per molto tempo è stato detto loro che l'arrivo del digitale terrestre avrebbe risolto il problema; così non è stato e per mesi il TG dell'Emilia Romagna è stata ancora un'utopia.

Il caso è diventato rapidamente il più citato da chi ha criticato le modalità di passaggio al digitale terrestre, sottolineando come raramente abbia risolto i problemi pregressi e al contrario ne abbia introdotti di nuovi. Così tutto il mercato ha guardato con curiosità alla notizia di qualche giorno fa relativa agli interventi di miglioramento della situazione emiliano-romagnola.

L'attesa degli specialisti è ovviamente che aspetti contingenti di questo tipo vengano rapidamente risolti e il più volte annunciato anticipo dello switch-off nelle numerose regioni mancanti possa accelerare la liberazione delle frequenze da tempo destinate, almeno nelle dichiarazioni governative, al potenziamento della banda larga offerta dalle compagnie telefoniche mobile.

Sono in ballo gare da miliardi di Euro, contributi di risarcimento per operatori minori, piani di investimento pluriennali sia nel mondo televisivo che in quello delle telecomunicazioni: i palinsesti "digitali" iniziano ad avere un certo successo, ma è necessaria la copertura nazionale per renderli competitivi; sull'altro fronte, le reti LTE scalpitano per diventare realtà in Europa.

Ci saranno sicuramente delle vittime di questa evoluzione nello spettro dell'etere, ma è urgente che questa fase di incertezza termini al più presto. Qualcuno si lamenta delle frequenze tolte alle radio DAB, qualcuno ha paura che sparisca qualche TV locale: l'unica certezza è che solo a valle della redistribuzione delle frequenze almeno gli utenti saranno soddisfatti.

Altro che Nokia: la sfida è sempre tra Microsoft, Google e Apple

Tutti giù a dare contro Nokia e la sua scelta, da molti ritenuta suicida, di scegliere Windows Phone come sistema operativo per i propri smartphone. La scelta è sicuramente discutibile, anche se probabilmente obbligata: la fine ingloriosa di Symbian e l’incapacità di investire seriamente su MeeGo richiedeva di puntare sull’unica piattaforma vagamente alternativa all’ormai onnipresente Android.

La faccenda poteva essere gestita meglio, almeno a livello di comunicazione: molti altri aspetti del nuovo piano strategico di Nokia sono passati in secondo piano, compresa la dichiarazione di volersi posizionare come fornitore principale del prossimo miliardo di futuri utilizzatori di cellulari. Potrebbe un giorno risultare una scelta valida puntare sui volumi piuttosto che su terminali di fascia alta.

Il lato osuro è che Nokia sia uscita dalla vicenda come l’ennesima pedina in mano a Microsoft in un’arena molto più ampia, quella del personal computing, in cui proprio Google è il competitor più agguerrito. Microsoft continua a tessere la sua tela, che include attori come la moribonda Yahoo! e la promettente Facebook; Google impone direttamente il suo marchio, con qualche partner hardware.

Il terzo incomodo è Apple, che rispetto all’approccio mass market di Microsoft e all’approccio geek-friendly di Google punta speditamente su un pubblico di alta gamma. E macina utili, lei sì senza partner né hardware né software, mostrando agli altri due player che non c’è bisogno di organizzare ogni volta un’armata brancaleone per mostrare al mondo il proprio predominio sul mondo dell’high tech.

Ciò che rimarrà impresso del 2010

Puntuale come il Capodanno, anche quest’anno .commEurope ammorba i lettori con le considerazioni di fine anno. Auguri ai lettori per un sereno 2011, sperando che si consolidino i barlumi di ottimismo visti nel 2010.

Trend principale dell’anno: Mobile Internet

Non è per scrivere “si era detto qui“, ma in effetti il 2010 è stato davvero l’anno del Mobile Internet per le masse. Unico punto degno di nota: rispetto alla classica navigazione via browser tipica dei PC, Internet sugli smartphone ha assunto soprattutto il volto delle apps. Non solo iPhone: Android sta facendo passi da gigante da tanti punti di vista, mentre languono sempre più RIM, Microsoft e persino Nokia.

Oggetto dell’anno: Apple iPad

Fortemente collegato al punto precedente, il tablet di Apple ha costituito il ponte storicamente mancante tra PC e cellulari: ciò che non erano riusciti a fare i pesantissimi notebook negli scorsi decenni, ha potuto un oggetto costoso, ma semplicissimo da utilizzare. Sul mass market hanno tenuto duro i netbook: magari non ne sono stati venduti più tanti come gli anni scorsi, ma ormai è chiaro che notebook = PC fisso.

Delusione dell’anno: gli e-book reader

Pare che nell’ultimo Natale siano stati regalati soprattutto lettori Blu-Ray ed e-book reader. Tuttavia, se la prima tecnologia ha ormai superato l’estenuante guerra dei formati, la seconda è preda di un delirio mai visto: non è questione di hardware (l’iPad di cui sopra e l’Amazon Kindle potranno far bene in futuro), ma proprio di software e formati. Una situazione imbarazzante, che non aiuta l’editoria in forte crisi.

Piattaforma dell’anno: 2Spaghi

Se ne parlava qualche mese fa quando ancora la piattaforma era un divertissement per geek in trasferta. Negli ultimi mesi 2Spaghi ha avuto una bella crescita e ha iniziato a investire correttamente sul mobile. Come notava Alberto D’Ottavi negli scorsi giorni, finalmente anche in Italia c’è una case history Internattara interessante da narrare agli scettici. Partita nel 2006 e con grandi aspettative per il 2011 e non solo.

Azienda dell’anno: BP

L’azienda di cui si è parlato (male) di più nel corso del 2010 è stata, ovviamente, BP. Il disastro ambientale che ha provocato sulle coste del continente americano rimarrà nei libri universitari di diverse facoltà: non solo ingegneria ambientale o biologia o chimica, ma anche comunicazione, marketing, giornalismo. Una storia che ci ha insegnato molto, ma da cui sembra molti non vogliano imparare abbastanza.

Personaggio dell’anno: Julian Assange

Sebbene molti di noi potrebbero ricevere un maggiore impatto sulla propria vita da parte della vicenda di Paola Caruso più che dal vociferare planetario su Mark Zuckerberg o dalle rivelazioni di Julian Assange, è probabilmente quest’ultimo che rimarrà nelle nostre memorie come outsider dell’anno. Gli impatti della sua attività sul mondo reale sono ancora agli inizi: speriamo siano positivi, non destabilizzanti.

Wind, i social network e la coerenza di Gruppo

Dopo quasi un mese di attività, il bilancio dell’attività del team di Wind Italia sui social network è moderatamente positivo. “Moderatamente” perché, come tutte le grandi aziende che si confrontano con la Rete, manca la sicurezza di sé maturata su altri canali: sembrano sempre elefanti nelle cristallerie; wannabe-delicati, ma elefanti. “Positivo” perché accettare la sfida, magari in partnership con un attore di peso come Ogilvy, vuol dire mostrare di voler gestire il rapporto con Prospect e Clienti in maniera innovativa, o quantomeno trasparente.

Chi ha iniziato questo esercizio sui social network ha ottenuto risultati altalenanti, ma spesso coerenti con l’immagine complessiva dell’azienda. Restando nel campo delle TelCo, fa un po’ sorridere (di tenerezza) lo sbattimento del team di Nòverca per far conoscere e apprezzare un brand del tutto sconosciuto al mondo pur attento a queste tematiche di chi frequenta i social network più evoluti; al contrario, è evidente che lo spirito e le modalità di interazione di 3 Italia sono pienamente coerenti con quelli propri del mezzo (e quindi efficaci).

C’è però una cosa che stona nello sbarco del Gruppo Wind sui social network ed è venuta fuori dopo pochi giorni dal debutto, durante una discussione su FriendFeed. Dopo aver risposto stoicamente alle stroncature dell’orrendo spot con Panariello (quello in cui lui dice qualcosa tipo “C’era proprio bisogno di buttar via tanti soldi per dei testimonial?”), il team si arena sulle lamentele feroci di un Cliente Infostrada: emerge che si sbatteranno per risolvere i problemi, ma che non sarebbe loro compito. Perché loro sono Wind, non Infostrada. Eh?

I cartelloni sulla convergenza fisso-mobile del Gruppo WindDopo aver passato un’estate a esaltare la solidità del Gruppo Wind con una campagna istituzionale finalmente adeguata agli standard di un’azienda con 20 milioni di Clienti, ma soprattutto in un momento in cui diverse città italiane sono piene di manifesti che esaltano la convergenza fisso-mobile come non avveniva dai tempi del lancio di Wind in Italia, quando finalmente il Gruppo può parlare direttamente con Clienti e Prospect, ci tiene a sottolineare che Wind e Infostrada sono due realtà diverse?

Il motivo è evidente: il budget per l’iniziativa sarà gestito da chi segue le attività Mobile del Gruppo e quindi anche la relativa organizzazione sarà strettamente legata a tale business unit. È un po’ come se il Gruppo Barilla apparisse con un proprio profilo istituzionale sui social network e poi si rifiutasse di rispondere alle domande sul Mulino Bianco. Come dite? Lo fanno tutti i grandi Gruppi? Può essere, ma non è una scusante.

La comunicazione aziendale non deve necessariamente seguire i ghirigori dell’organizzazione; anzi, deve riuscire a portarli a unità. Si possono fare scelte di relativa indipendenza tra marchi (restando nel paragone, può aver senso tenere distinti gli stili di comunicazione di Barilla e Voiello), ma se un’azienda sceglie la strada della convergenza e ne fa una missione aziendale, poi deve essere coerente in tutte le iniziative di marketing.

Nulla da biasimare a questa iniziativa di Wind in particolare, dunque, visto che la società da sempre ha sofferto di questa doppia anima nella comunicazione (e il cartellone in cui Fiorello sta ben lontano da Panariello e Incontrada sembra dimostrarlo, nonostante lo slogan sovrapposto): quello dei muri invisibili (al Cliente) è peraltro un problema che attanaglia la maggior parte delle nostre aziende e spesso nemmeno avere un azionista di riferimento straniero aiuta.

Come è avvenuto per il Gruppo Wind, sarà bello vedere altre aziende, soprattutto le più grandi, confrontarsi con i social network, consce che ciò che è cambiato davvero, probabilmente, sono (siamo) i Clienti: molto più attenti di un tempo a questi dettagli, molto più desiderosi di parlare direttamente con le aziende, senza i penosi contact center a mediare delle relazioni i cui valori in gioco sono sempre maggiori. E non solo quelli economici.

Totti bifronte

Dopo i primi tempi con i ragazzi che lanciarono il motto Life is Now e un lungo periodo con Gennaro Gattuso e Francesco Totti, gli spot di Vodafone da oltre due anni e mezzo vedono quest’ultimo e la moglie Illary Blasi come coprotagonisti di una saga infinita: scenette divertenti, in cui prodotti e servizi del gestore telefonico vengono illustrati al grande pubblico. Obiettivo non facile, visto che alle promozioni di bundle telefonate/messaggi si sono affiancate (e sempre più sostituite) quelle relative all’offerta dati, compreso l’Internet Mobile che fino a qualche tempo fa era abitudine di pochi.

I due ci riescono, recitando gli script di 1861 United con fare leggiadro e naturale. Lei fa la figura della bella borgatara, lui quello dello sciocco buono: un mix che molti immaginano essere specchio della realtà quotidiana a casa della showgirl e del calciatore. E se l’immagine della prima è sufficientemente mantenuta fresca dalla sua partecipazione a programmi televisivi di culto come Le Iene, quella del secondo è ormai indissolubilmente legata al suo ruolo di Goodwill Ambassador dell’Unicef ed alla beneficienza, fatta con gli introiti dei suoi libri e persino coi diritti televisivi del matrimonio.

Ma oltre ad essere un uomo di spettacolo (ed un giocatore di poker, come ci ricordano gli spot PartyPoker.it in cui appare frequentemente negli ultimi mesi), Francesco Totti è anche e soprattutto un calciatore. Attaccante bravo ed efficace, fedele alla sua squadra ed ai suoi tifosi come pochissimi hanno saputo fare negli ultimi decenni. Personaggio che però, in campo, diventa anche un Mister Hyde da romanzo: si mette a sputare contro gli avversari, a gridare imprecazioni, a prendere a calci un calciatore della squadra avversaria, salvo poi pentirsi rapidamente sui giornali del giorno dopo.

Il Pupone, come viene affettuosamente chiamato Totti sin dagli esordi nella Roma, passa mesi a costruire un’immagine vincente in campo e affabile in televisione, poi periodicamente ne combina una delle sue e questo pregiudica molti aspetti della sua vita: saltano le convocazioni per le partite importanti, diminuisce la presenza negli spot, vengono ritirati gli inviti alle trasmissioni televisive. Dopo gli episodi degli ultimi giorni, anche questa volta Sisifo ricomincerà la sua salita: forse solo l’abbandono del campo e il passaggio definitivo allo spettacolo gli permetteranno di uscire dal circolo vizioso.