Furti di carte di credito e furti di identità

Il rapporto Istat citato ieri ci ha raccontato che per il 66,1% delle aziende il principale ostacolo alla vendite on line è la sicurezza dei pagamenti. Il tema, d’altronde, è un classico della Rete europea e non. Probabilmente la modesta diffusione delle carte di credito ed i costi non troppo trasparenti che le banche europee addebitano agli utenti (pensiamo alle spese mensili di estratto conto o al bollo previsto in Italia per importi superiori all’ottantina di Euro) e le “favole” negative che circolano da anni sono ancora una spada di Damocle sullo sviluppo reale del commercio elettronico.

Non che non ci siano problemi veri: oggi Punto informatico ha pubblicato un interessante articolo intitolato Furto d’identità, la Ue segue gli Usa, a proposito delle prospettive di miglioramento della pessima legislazione attuale in tema di identity theft. Un tema che qualche settimana fa aveva fatto scalpore con il caso giapponese Softbank Corp ed i successivi dati diffusi dagli organi di stampa: i dati che vengono sottratti sono quelli anagrafici, ma anche le coordinate bancarie…

Poi c’è il grande mondo delle carte di credito: proprio oggi viene da Reggio Emilia la notizia di una grossa truffa avviata utilizzando numeri di carta di credito non ancora utilizzati. La cosa interessante è che, seguendo i link dell’articolo del Corriere della Sera sull’argomento, si scopre che non è certo la prima volta che avviene. Se nel giugno 2001 una mega-operazione aveva arrestato i 32 responsabili di una truffa lombarda da 5 miliardi di lire, ad inizio marzo 2004 a Verona era stata scoperta l’ideona di un rumeno e dei suoi complici ristoratori.

Attenzione a quest’ultimo particolare: le operazioni citate, sono relative a truffe organizzate e realizzate del tutto off line. L’arguto Raimondo Boggia l’ha detto e scritto più volte: siamo così sicuri quando utilizziamo la carta di credito in giro per il mondo o, addirittura, in un ristorante di Verona o nelle boutique milanesi? Più che durante le transazioni su server sicuri, in cui non c’è traccia di intervento umano? Perché? Riusciremo ad ammettere che le paure sono leggittime, ma devono essere equilibrate?

I PC delle aziende italiane e l’e-commerce

Oggi l’Istat ha pubblicato il rapporto L’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle imprese, basato sui dati del 31 gennaio 2003 per quanto riguarda l’ICT nelle aziende e del 2002 per quanto riguarda l’e-commerce. Gennaio 2003? 2002? Ma siamo ad aprile 2004!

La ricerca, insomma, non brilla per la sua attualità. Organi di informazione e stampa specializzata si sono scatenati nel riportare i dati sintetici del comunicato stampa, forse perdendo di vista i dati veramente rilevanti. La stampa esulta perché il 94,6% delle aziende possiede almeno un computer? Verrebbe da domandarsi: solo? Ed il resto delle aziende? Lavora a mano? Il 43,8% dei dipendenti utilizza il computer almeno una volta alla settimana. Ed il resto del tempo? Dobbiamo arguire che quasi il 60% dei dipendenti delle aziende italiane non usa mai il computer?

Da notare che i dati si riferiscono alle aziende con più di 10 aziende: non a quelle veramente piccole, tipiche della realtà italiana. Visti i dati citati sopra, a questo punto il dato in calo di Intranet ed Extranet (rispettivamente 28,4% e 10,3% delle aziende), non dovrebbe meravigliare. Fortunatamente è in rialzo l’uso di Internet: l’81,5% delle aziende sostiene di utilizzare la Rete. Scartabellando nel rapporto, si capisce che è un uso quanto meno “strumentale”: per il 47% delle aziende, Internet serve ad accedere ai servizi di e-banking.

Come possiamo meravigliarci della modesta diffusione dell’e-commerce prima che tra gli utenti, tra le aziende italiane? Il 45% dei responsabili dichiara che il maggior ostacolo per l’uso diffuso di Internet è la mancanza di “sicurezza informatica”, il 25,3% pensa che non ci siano benefici per la propria attività. Perché le aziende scelgono di vendere? Per il 76,7%, per migliorare l’immagine dell’azienda. Perché non lo fanno? Perché il 63,7% dei responsabili ritiene che i propri clienti non siano pronti ad acquistare via Internet. Se lo dicono loro…

Le popolazioni europee avranno la chance di capire la grande utilità del Web!

Lo scoppiettante sito ufficiale di Euro 2004, lanciato nelle scorse ore, realizzato da Uefa New media, conta di attrarre nuovi adepti alla comunità di “calciofili” già utenti di Uefa.com. Nel frattempo, diverse aziende europee e non pavoneggiano le proprie forniture al comitato organizzatore.

Il portalone è ricco di informazioni: sulle squadre, sui protagonisti, sugli arbitri, sugli sponsor. È su quest’ultimo punto che nasce qualche perplessità, in particolare a chi si rechi nella pagina dedicata alle “Statistiche ufficiali”. Si scoprirà che BenQ, produttore mondiale di elettronica di buon livello, offrirà agli appassionati una “stupefacente” messe di dati:

«per la prima volta in un evento calcistico, le statistiche ufficiali BenQ offriranno un quadro completo dei passaggi fatti dai giocatori. Sarà possibile vedere esattamente quale giocatore predilige un altro giocatore, e quale no! Zinedine Zidane passa di più a Thierry Henry o a David Trezeguet? Quante volte David Beckham scambia con Michael Owen? Patrick Kluivert passa a Ruud van Nistelrooij? E viceversa?».

Come far senza! Da notare che, qualche mese fa, lo staff di Euro 2004 aveva visto i vantaggi della collaborazione soprattutto da un punto di vista di fornitura di hardware. Il fine nobile dell’iniziativa pare ora essere quella di far capire agli utenti le «tendenze evidenziate dalle cifre, aiutandovi a capire meglio questo bellissimo sport che è il calcio». Sicuri che sia il metodo migliore?

Banche che sbancano e banche che si sfasciano

KPMG Business Advisory, consulting firm di fama mondiale, ha reso noto il suo semestrale rapporto sulla finanza sul Web italiano. Fenomeno interessante, che prima di tutti gli aspetti strettamente commerciali, ha portato in tutta Europa una ventata di freschezza tra i flussi comunicativi delle stantie banche (spesso di matrice ex – pubblica) ed i dinamici consumatori, spesso frenati nel loro switching tra i vari servizi da incomprensibili balzelli.

Un esempio di eccellenza è stato senza dubbio Fineco, la banca virtuale attualmente parte della galassia Capitalia. Una volta finiti i fasti di fine anni ’90 (con tassi creditori che veleggiavano sul 5%!), negli ultimi anni ha saputo affermarsi a livello continentale come tra i principali leader per quantità di eseguiti, nelle operazioni finanziarie. Negli ultimi anni, Fineco sembrava così inattaccabile da far sembrare ridicole iniziative analoghe di altri gruppi bancari: tuttavia, ad inizio aprile, i correntisti Fineco hanno avuto una vera e propria doccia gelata. I tassi creditori sono crollati allo 0,25% e sono state introdotte spese forfettarie di circa 6 Euro mensili, oltre alle spese di chiusura conto corrente, cui vanno aggiunti i tradizionali bolli statali. Tutto come una banca tradizionale off line?

In confronto, brillano maggiormente la trasparenza e le condizioni di IngDirect, seppure nel settore limitrofo dei conti di deposito: hanno saputo coniugare crisi finanziarie varie (i tassi ora veleggiano sul 3%, dopo essere arrivati al 6%) e comunicazione brillante. Il lancio di Mutuo Arancio, c’è da scommettersi, sarà perciò un (meritato) successo al pari del Conto Arancio. Nel frattempo, nuovi attori come IW Bank stanno velocemente ampliando il proprio parco clienti.

Tornando al rapporto KPMG, ciò che colpisce è soprattutto il volume di affari del settore: il 20% dei conti correnti italiani è oggi sul Web. Sembrano in netta crescita gli italiani che recidono il cordone con la banca fisica ed aprono solo conti virtuali. Gli italiani utilizzano 6,3 milioni di conti correnti: il lato negativo è che solo 2,1 milioni sembrerebbero operativi. Chissà gli altri perché rimangono svenuti.

Rispetto al 2002, comunque, 1,5 milioni di conti correnti in più sono un buon risultato per un settore che, senza dubbio, può “trascinare” l’attività su Rete di molte aziende e consumatori, in Italia ed in Europa. Sarebbe ora, ad esempio, che un intermediario affiancasse la propria offerta di gestione delle transazioni con carta di credito a quella di Banca Sella, leader incontrastato del settore.

Difficile capire se la presenza esclusiva dei maggiori player del settore bancario italiano (KPMG stima un 13,8% delle transazioni per UniCredit e giù a scendere per Banca Intesa e BancoPosta) tra i leader dell’e-finance sia un segnale positivo o negativo. Senza dubbio, il consolidamento è ormai evidente. Rattrista, però, vedere come attori innovativi come Fineco, alla ricerca di risultati di breve termine, si siano piegati al potere delle case madri. Come sempre, chi ci va di mezzo è il consumatore.

Wanadoo ed i suoi gemelli

Gli italiani hanno una certa simpatia per Tiscali, soprattutto quando si ascoltano le mirabolanti avventure internazionali dell’ISP, cresciuto notevolmente in Europa con acquisizioni chiave come quella di World On Line o quelle avvenute in Francia, Germania, Gran Bretagna. I francesi, probabilmente, riservano altrettanta e maggiore simpatia per Wanadoo, l’operatore Internet del gruppo France Télécom.

La storia è simile: negli ultimi anni Wanadoo si è espanso verso la Spagna, i Paesi Bassi, la Gran Bretagna. La notizia di oggi è che anche Freeserve, storico operatore “free” britannico, assumerà il marchio francese, inconfondibilmente arricchito con quella doppia “oo” che sembra necessaria per sfondare su Internet (vedi Yahoo! o Google…).

Ma le similitudini di Wanadoo con altri operatori europei, sono forse ancora maggiori se si confronta la situazione societaria francese con quella della tedesca T-Online e Telecom Italia Media, titolare di Virgilio e Tin.it. Se in Francia il monopolista ancora controllato dallo Stato ha riassorbito lo spin-off internettaro, ora sembra essere il turno di Deutsche Telekom. Inutile prevedere che presto verrà in mente di fare altrettanto a Telecom Italia.

E le authority antitrust? Non hanno nulla da dire su queste “coagulazioni” di aziende che erano state smembrate per garantire un minimo di concorrenza nei settori del wireline, del mobile, del Web? Sembrano quasi rasserenanti, oggi, le parole che Tronchetti Provera aveva detto poco più di una settimana fa

Consumi culturali e consumi tecnologici

Il logo dell'AIEL’Associazione Italiana Editori ha pubblicato i risultati di un’indagine ISPO sui “contenuti digitali”, ma in Rete l’unico dato che sembra interessare agenzie e portali sono i dati sull’uso di Internet. In realtà, l’indagine sembra interessante soprattutto per la doppia natura quantitativa/qualitativa, in particolare per quanto riguarda i risultati sul confronto dei canali “libro”, “telefonia” e “Internet”.

Ad esempio, fa maggiormente piacere scoprire che dal 2002 al 2004 il numero di libri letti dagli italiani sale da 2,3 a 2,9. Dati “ridicoli” se confrontati con il successo della telefonia mobile (già 12,5 milioni di italiani sembrano usufruire di servizi informativi via cellulare) ed Internet (si arriva a parlare di 21 milioni di utenti), ma pur sempre indice di un’editoria cartacea che ha saputo ritagliarsi un ruolo rispetto agli altri canali informativi. Sulla Rete, d’altronde, riviste come Panorama sembrano perdere la propria qualità (ammettendo che ci sia nell’edizione cartacea, nella fattispecie…), pubblicando articoli deliranti su Internet ed i suoi fenomeni principali.

Per la cronaca, l’altra ricerca pubblicata oggi dall’AIE, a cura dello IARD, mette in luce che i docenti italiani abitualmente accedono ad informazioni su Web per preparare le proprie lezioni: ci sarebbe perciò da sperare che potessero incontrare contenuti “decenti”…