A chi piacciono le Alici?

In Italia non se ne può più: Alice Adsl viene pubblicizzata a spron battuto da ormai parecchi mesi, con risultati alterni. Per la gioia dei cittadini francesi, ora anche gli autobus delle città servite dall’omonima cugina francese portano in giro l’immagine dell’unico prodotto di Telecom Italia France. Storia strana, quella del monopolista italiano versione francese: dopo aver smantellato le proprie partecipazioni nel 2002, nel 2003 ha lanciato Alice “a tempo”, subito imitata proprio da 9 Telecom, l’operatore che aveva venduto qualche mese prima.

L’andamento dell’impegno in Francia è difficile da valutare. Telecom Italia annuncia la soglia dei 100.000 clienti ma lamenta l’ostruzionismo dell’operatore dominante francese (!), pochi mesi dopo che France Télécom ha minacciato azioni giudiziarie per il nome scelto per l’azienda, evidentemente simile al suo (France Télécom vs. Telecom Italia France).

Lo stile scelto da Telecom Italia France è al tempo stesso “cordiale” verso i consumatori ma aggressivo rispetto al mercato, con una proposta di unbundling totale che sino ad ora non aveva precedenti nell’Esagono. Le prospettive sono molto rosee in Francia ma anche in Germania, dove la controllata Hansenet ha lanciato la sua Alice tedesca.

C’è un solo neo in tutto questo sforzo internazionale: quando si chiede ad un francese “compri prodotti italiani?” la risposta è sicuramente positiva ed incoraggiante. Quando la domanda è “compreresti prodotti o servizi d’alta tecnologia italiani?” la risposta è un sorrisino sardonico. Che, invece, Tiscali non desta: pochi sanno che è un’azienda italiana.

Umiliazioni di terza generazione

Succedono cose strane quando comunicazione finanziaria, comunicazione al trade e marketing per il mercato finale si mischiano: l’amministratore delegato di Tim, Marco de Benedetti, oggi ha pubblicamente umiliato H3G a proposito del successo del lancio UMTS presso i rivenditori. Come per una magica reazione, Vodafone dovrebbe partire in contemporenea. Ma come? Appena venti giorni fa la notizia del lancio della terza generazione in Germania e Portogallo era stata accolta in Italia come un'”esclusione”, un rinvio a dopo l’estate.

Tim, stavolta, ha giocato al rialzo: è riuscita a rispettare quanto annunciato nel “Telecom Day”, l’incontro del Gruppo Telecom con la comunità finanziaria. Soprattutto, però, ha proposto una piattaforma tecnologica che va al di là della tecnica stessa: l’idea dell’accoppiata Edge / UMTS è quella di permettere un flusso di dati costante, indipendemente dallo standard tecnologico in uso.

Vodafone, che pure era partita in vantaggio con il lancio della Connect Card, stavolta arranca. In un impeto di masochismo, il blog ufficiale dell’azienda mette in dubbio la grandezza della stessa: se fossimo stati in Gran Bretagna, qualcuno nella City avrebbe gridato allo scandalo…

Lilli ed i vagabondi

Da queste parti non si parla di politica, ma di comunicazione politica qualche volta sì. E visto la vocazione “europea” di .commEurope, le imminenti elezioni europee sono un buono spunto.

Tralasciamo le grandi campagne off line: di manifesti elettorali è piena l’Europa e tutti potrebbero ironizzare su tutto.

Tralasciamo la pubblicità televisiva: quella politica non ha mai dato grandi frutti, né in Italia né nel resto d’Europa.

Tralasciamo pure la massa dei siti istituzionali: tanto sono una riproduzione on line dei volantini off line.

Lilli GruberDiamo un’occhiatina, invece, ad un sito “alternativo”: quello di Lilli Gruber, ad esempio. L’ultima giornalista a salire sul carrozzone dei giornalisti candidati europei, dopo Corrado Augias, Lucio Manisco e mille altri. Così prorompente da aprire il sito con la sua voce da anchorwoman, così rossa (di capelli) da far dimenticare le mille tinte precedenti. C’è persino una sezione “Lavora con Lilli”, probabilmente quella più cliccata dagli under 30 eternamente disoccupati. Peccato che scoprano di dover fare volantinaggio gratis. Quello che lascia perplessi, comunque, è il programma: si spera non scritto da Lilli stessa, vista la scarsa padronanza della punteggiatura. Verrebbero da rimpiangere i collegamenti dall’Iraq.

Tutto sommato, comunque, il sito di Lilli è molto più “sensato” di quello di tanti concorrenti. Più “corretto” dei vagabondi che usano “Silvio Berlusconi” come AdWord su Google. Forse perché, in quanto capolista, la Gruber sa già che sarà eletta: ha meno bisogno di gridare.

La via europea al Gigabyte

Ormai il non-pesce d’aprile di GMail ha fatto storia: crescono i beta user, crescono gli utenti entusiasti ma anche le critiche ferrate alle supposte violazioni della privacy. Un continuo parlare che ha fatto ulteriormente lievitare la febbre per l’IPO. Se mai ce ne fosse bisogno.

Lycos EuropeDenuncie, smentite, ritardi, varie ed eventuali stanno forse facendo tardare un po’ troppo Google. I concorrenti stanno prendendo le misure e così, al di là della pletora di aziende minori che vendono già soluzioni da (almeno) 1 GB, sono i grandi player quelli che potrebbero impensierire il motorone. Prima di tutto, l’evoluzione a 100 Megabyte di Yahoo! Mail, che conta già su una base clienti piuttosto vasta. Soprattutto, però, è la Lycos europea, la stessa che pochi mesi gridava ai quattro venti il suo accordo con Google stessa, la prima a lanciare un’alternativa “reale”: per 3,49 sterline al mese, tanto spazio e nessuna pubblicità, tanto meno “sospetta”.

Oggi tutti, su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico, si chiedono cosa farà Google. E c’è chi parla già di caselle da un Terabyte

ESPN, il gigante copione

Chi voglia sapere di tutto di più sugli sport statunitensi, potrebbe tranquillamente recarsi sul sito di ESPN e perdersi in un mare di informazioni. L’omonimo canale satellitare fa parte del Gruppo Disney e trasmette quotidianamente gli eventi sportivi più importanti. Chi conosce The Sports Network, invece?

La notizia del giorno è che ESPN ha deliberatamente copiato i contenuti del concorrente: in particolare, i risultati in tempo reale, con tanto di errori. A The Sports Network non si son fatti sfuggire l’occasione di portare in giudizio ESPN, pubblicando un roboante comunicato stampa in cui vedono sostenendo che il loro «Legal Case Could Set Major Precedent in Global Business and Intellectual Property Law». Addirittura?

Certo è che si alzerà un bel polverone, per alcuni aspetti benefico per altri molto meno. Quello che lascia perplessi, è che un gigante dell’informazione sia incappato in un furto così banale, di dati relativi ad una “lega minore” e per un valore complessivo di un centinaio di migliaia di dollari. Gli appassionati europei del “furto doppio carpiato”, comunque, sono avvisati.

Brevettando l’imbrevettabile

Ore frenetiche per le istituzioni europee: il Consiglio Competitività dell’Unione Europea deve dare l’avvallo alla direttiva sulla brevettabilità dei prodotti informatici. In questa sede, quello che preoccupa di più sono i confini della normativa: una cosa sono i “software”, un’altra i protocolli di Rete, un’altra le interfacce, un’altra le piattaforme e-commerce e così via.

Il comportamento della Presidenza irlandese, che in un sol colpo ha eliminato tutto il lavoro del Parlamento europeo, non piace a molti: ai tedeschi così come ai belgi, ai ministri italiani in carica alla maggioranza come all’opposizione. A livello europeo, Verdi e radicali si battono per non far passare l’atto ritenuto illegittimo.

Si dice che la responsabilità del comportamento irlandese sia nascosta (ma non troppo) nel forte flusso di capitali che hanno reso l’Isola il fulcro felice dello sviluppo tecnologico nel Vecchio Contenente: principalmente derivanti dalle industrie informatiche d’oltreoceano. Persino il glorioso Trinity College si sarebbe riciclato come fornace di infidi brevettatori.

Sarebbe un errore, comunque, catalogare necessariamente BSA e similari tra i “cattivi”: recentemente una rappresentante dell’Alliance ha brillantemente espresso la posizione dell’industria del software sul Decreto Urbani, altra brillante spada di Damocle sul mondo Web (stavolta solo italiano, con nostro grande orgoglio). In termini di e-commerce, d’altra parte, già qualche tempo fa la Foundation for a Free Information Infrastructure mise on line un’inquietante paginetta che elencava gli incredibili brevetti già registrati in questo campo.

Il punto è che i brevetti, di per sé, non sono un male. Come il copyright in genere, sono una forma di protezione della proprietà intellettuale, cioè l’unico patrimonio di molte aziende del terziario. Ma il passato insegna che il modello americano dell’iper – brevettabilità genera mostri: il caso Sco / Linux insegna.

Il bisogno impellente di un quotidiano sui media

Se qualcuno lo avesse, potrà Media Quotidiano soddisfarlo? In questa veste, almeno, l’iniziativa era stata presentata un mese fa. Gli obiettivi da subito sono sembrati ambiziosi: oggi, il prezzo di copertina ad 1 Euro viene sfidato dalle vendite via Web a 60 cents ed il target è quello sognato da molti markettari in Europa: under 40, bloggari, magari anche double income no kids, che ci sta sempre bene. Probabilmente il ritratto del direttore stesso, Mario Adinolfi.

Bisogna fare attenzione, comunque, a dire che «non è un nuovo quotidiano. E’ un quotidiano nuovo, e la distinzione non è di poco conto.» Questo uno dei punti più illuminanti dell’intervista che il neo direttore ha rilasciato ad Infocity, cercando di dimostrare che l’ovvio paragone con il fallimentare PuntoCom è fuorviante (ma in cosa?).

Bisogna dire che in termini di marketing il giornalista in questione sembra avere le idee chiare. Oltre all’intervista in questione, ha inviato un’e-mail a Macchianera (alias la piattaforma che raccoglie più lettori potenziali) con tanto di link pubblicitario ed ha reclamato un passaggio promozionale persino su Il Barbiere della Sera, solitamente austero, pubblicizzando la migliore delle collaborazioni, quella di Stefano Disegni. Soprattutto, ha capito che le migliaia di laureati in Scienze della Comunicazione e dintorni cercano eternamente lavoro e per questo, dopo aver lanciato MediaJob in versione cartacea e virtuale, ha previsto delle rubriche apposite anche sul suo nuovo quotidiano.

Deo gratias, siamo ancora (per poco) in un paese libero, sebbene “a metà”. In bocca al lupo a Missunderstanding ed a Mario Adinolfi per le loro carriere giornalistiche e politiche. Sperando che non si intreccino troppo.

Pausa di riflessione

Due temi, diversamente scottanti, stanno infuocando blog, forum e comunità varie. Da una parte, le agenzie hanno rilanciato il comunicato stampa dell’Unione Consumatori sulle implicazioni della recente Legge 106/2004 sui siti Web, in particolare sull’ampliamento dell’obbligo di depositare alle biblioteche nazionali copia di ogni informazione diffusa presso il grande pubblico. Dall’altra, pare che gli utenti italiani si siano lanciati nel gioco perverso cercare su Internet i filmati del povero “ostaggio americano decapitato” o il “filmato decapitazione Iraq” (sono le keyword che sembrano più usate), spingendo alla riflessione chi le informazioni le conosce e deve scegliere se diffonderle o meno.

Particolarmente interessante il dibattito sul blog di LorenzoC: si va da chi ricorda simili atrocità anche nel nostro paese a chi non vede l’ora di diffondere l’orrore. C’è qualcosa che lega questo tipo di situazioni alla Legge 106: fino a che punto chi divulga delle informazioni deve essere un “professionista”, fino a che punto deve assumersi le responsabilità di questa azione?

I filmati di Nick Berg verranno downloadati da centinaia di migliaia di persone nelle prossime ore. Da una parte questo è bene: l’orrore, probabilmente, va conosciuto da chi desidera conoscere “la verità”. Dall’altra, quanti saranno i siti che li presenteranno adeguatamente (ad esempio: inserendo una nota per la tutela dei più sensibili) e quanti invece “sbatteranno il mostro in prima pagina”, per aumentare il traffico sul proprio sito? Strumenti come Google ed il suo page rank faranno il resto.

Non bisognerebbe essere molto pessimisti sulla legge 106, comunque. Persino al al Ministero dei Beni Culturali non ci credono. O meglio, da bravi burocrati stanno immaginando dei fantasmagorici comitati che sbroglino la matassa. Probabilmente, finirà come il Decreto Passigli ed altre amenità simili.

La realtà supera il marketing

È atteso per il prossimo ottobre il lancio in Italia di Godsend, il film in questo periodo negli Stati Uniti suscita un misto tra noia e polemiche. Molti avranno letto del lancio avvenuto qualche settimana fa, abbastanza particolare: non è stato pubblicizzato il sito ufficiale del film, ma quello del sedicente Godsend Institute, con tanto di foto del fondatore sosia di Robert De Niro.

Il sito era parte dalla strategia pubblicitaria della Lions Gate Films e, come prevedibile, aveva sollevato le polemiche del caso, con tanto di petizione contro l’Istituto, trasformatasi in un misto di dibattito sul diritto alla clonazione e commenti sul film.

Oggi Marco Pannella lancia l’idea di un refererendum sulla clonazione, appena qualche giorno fa Antinori parlava di 3 bambini già clonati. Che faccia anche questo parte del marketing cinematografico?