Sta arrivando il Festivàl

Una volta l’anno, il mondo dello spettacolo europeo si riversa in Italia per l’evento più importante dell’anno: no, non il Festival di Sanremo. Ci si riferisce, piuttosto, alla Mostra del Cinema di Venezia, che superato il giro di boa della sessantesima edizione, si prepara a presentare quella che secondo il presidente Croff sarà «l’edizione più bella del decennio».

Verrebbe voglia di precipitarsi a Venezia non tanto per ammirare le bellezze locali, ma per assistere a questa gloriosa edizione della Mostra. Sorge qualche dubbio, però, a causa del fatto che tra i film in concorso non è che ci sia proprio il fior fiore del cinema: buona fortuna ai tre italiani, ma le grandi firme tanto promesse (Wenders escluso) latitano. Piuttosto, sono nascoste nei film non in concorso, dove spuntano Antonioni, Soderbergh, Spike Lee, Spielberg. Effetto: nessuno filerà il concorso e tutti si butteranno sui film più commerciali.

Forse a causa del nazionalismo di moda, si è voluta mettere tanta Italia, quest’anno, forse pure troppa: c’è persino un evento speciale dedicato ad Antonietta De Lillo. Come far senza: chiamiamolo Festivàl del circolo cinematografico di Venezia, la prossima volta.

L’Europa e le maniere forti

Ci si lamenta spesso delle fantasiose operazioni che le forze dell’ordine italiane compiono contro forum e sitarelli propagandistici: è di poche ore fa l’ennesimo sequestro. Poi ci si meraviglia delle sgrammaticate petizioni degli artisti. Infine, ci si duole che Urbani non rispetti le promesse di alleggerimento della legge anti pirateria.

In Francia, invece, ci vanno molto più pesanti: rappresentanti degli autori e fornitori di accesso hanno firmato una Carta per lo sviluppo dell’offerta legale di musica che, in realtà, è esattamente il contrario. Vale a dire: un manifesto contro l’offerta illegale. L’azione principale sono le disconnessioni “d’ufficio” di chi usa programmi P2P. Dev’essere anche piacevole, pagare un accesso ad Internet e vedersi disconnessi da chi dovrebbe garantircelo.

In realtà, è solo l’inizio. Cap Gemini ha pubblicato un rapporto in cui senza troppe parole si punta al sodo: che si filtrino i protocolli, che si lasci aperto sì e no l’HTTP. Altro che petizioni: siamo passati alle armi pesanti.

Etichette controproducenti

Succede che si sia un player così grande nel proprio mercato che nemmeno l’idea di accettare i buoni sconti dei concorrenti basti più per attrarre e fidelizzare i propri clienti. Succede che ci si chiami Tesco e li si voglia convicere che non solo si è i più a buon mercato, ma anche i più “buoni” e basta. Con buona pace di Corporate Watch e dei suoi profili.

Succede, dunque, che si strombazzi a maggio che i propri prodotti verranno etichettati, da settembre, con un semaforino che segnali i prodotti “un po’ dannosetti” per la salute, un’idea che nemmeno la Coop… Succede che arrivi la Food Standards Agency e faccia notare a Tesco che tra i suoi prodotti, di luci rosse dovrebbero essercene molte di più. Succede che Tesco reagisca così,

«Customers don’t want us to remove all foods that might not be healthy but they do want us to provide information and choice so that they can follow a healthier diet if they so wish»,

e guai a dargli torto. Succede che sia una buona lezione di comunicazione aziendale: se fai il furbo e strombazzi ciò che non puoi garantire, qualcuno ti scopre. Succede che si impari anche la risposta: dai la colpa al consumatore.

Velocipedi equestri e responsabilità

Chi cercherà mai “velocipedi equestri” su un motore di ricerca? E soprattutto, cosa diavolo sono? Altra domanda: chi cerca “Nigritude Ultramarine” negli Stati Uniti? Facile: chi crea le pagine ad hoc, se le cerca da solo, se le linka da solo, se le spamma da solo. Tutto per avere la soddisfazione di vincere l’ambitissimo premio “Primo su Google” nel proprio Paese/nella propria lingua.

Le tecniche sono molteplici, i risultati discutibili. In Italia ci sono ormai decine di aziende specializzate: chi svolge ruolo di Search Engine Optimizer (SEO) se la tira in maniera oscena, nemmeno fossero il CEO (sarà per l’assonanza). Il thread su Mlist sull’argomento ha subito attratto chi si occupa professionalmente di questa attività, preoccupato per la cattiva luce che può derivarne. Ne ha parlato anche la sempre interessante Antonella sul suo blog ed il buon Mauro Lupi, che di queste cose ci vive, sul suo.

Tutti all’erta, insomma. Mauro cita il solito Seth Godin, che una volta tanto getta la veste del santone e si confronta con temi reali, concreti. Non ha mai visto la situazione in Europa, però: accanto a professionisti come quelli partecipanti ad e-SEMA (per l’Italia c’è AdMaiora), c’è un branco di gentucola che sta iniziando ad esagerare con lo spam, le door e tutte le diavolerie. D’altra parte, se prendiamo ad esempio il nostro paese, è difficile trovare un sito con page ranking superiore a 6: i trucchetti subentrano nel momento in cui c’è povertà di contenuti e bisogna ingannare il motore di ricerca di turno, Google in primis.

Chi ha contenuti (i blog o i siti di news, tipicamente), d’altra parte, sente sempre più il fiato sul collo: a volte ci si ferma a pensare su quale parola linkare, a che pagina. Ci si sente addosso la responsabilità di pubblicizzare indebitamente, nel proprio piccolo, un sito che magari si cita in maniera critica: forse nella tecnologia di page ranking dovrebbe essere anche incluso un minimo di contestualizzazione e soprattutto di esclusione forzata di tutte le buffonate. Chi vuole apparire in alto su Google, paghi le AdWords.

Quando l’Europa sarà come gli Stati Uniti…

Olghina di Robilant conclude il suo intervento odierno su Dagospia «L’America ci batte in quanto a vizi privati e pubbliche virtù, non c’è che dire.» Osservazione che potrebbe sembrare solo un luogo comune, se non fosse che è la chiara conclusione di un articolo crudele ma realistico sulle vicende dei coniugi Clinton, narrate da Christopher Andersen in American Evita: Hillary Clinton’s Path to Power.

Ne esce un quadretto veramente terribile di una coppia ossessionata dalla propria immagine pubblica: Hillary Clinton, in particolare, avrebbe minuziosamente coperto ogni scappatella propria e del marito adoperando un pugno di ferro in casa ed un’immagine iper-curata dai propri addetti stampa all’esterno. Ancora oggi i coniugi Clinton sono molto più in vista del candidato Kerry e tutti gli statunitensi aspettano con ansia che esca allo scoperto nel 2008. Non è un caso, probabilmente, che il suo attaccamento esasperante ai media sia stato uno dei motivi per l’interpretazione di Meryl Streep in The Manchurian Candidate

L’Europa potrebbe diventare sempre più statunitense anche in questo: speriamo di no. Prima era stata l’era della comunicazione politico-pubblicitaria, poi quella degli scandali, ora quella totalizzante di dietrologia vs. consenso. In USA sono arrivati a fare le pulci alle parolacce di Hillary ed anche il primo capitolo del libro non è da meno. A quando le parolacce di Veronica Lario?

L’elencone impossibile

Una volta Rodotà era un buon politico: anzi, vista l’eterna morìa dei buoni leader del centrosinistra, si sarebbe potuto affermare come figura di primo piano. Invece, si è lentamente lasciato avvolgere nel tormentone dello “scrivo un articolo sulla privacy – scrivo un libro – divento garante fino alla fine dei miei giorni”. Peccato: non che non abbia lanciato buone idee (a livello di principio), ma l’Authority nel suo complesso ha lanciato solo continui, costosi (per le aziende) elenchi (di tutti i tipi).

Stavolta non si tratta dei soliti elenchi di titolari di trattamenti etc. etc. ma del più classico degli elenchi: quello degli abbonati. Rivisto in maniera molto più ampia delle classiche Pagine bianche che da sempre arrivano nelle case ed oggi sono facilmente consultabili (gratuitamente) in Rete. Si tratta, piuttosto, di un vecchio tormentone contemplato anche nelle licenze ai gestori: un esempio è quella GSM ad Omnitel Pronto Italia, oggi Vodafone Italia, che all’articolo 10, prima di cose molto più importanti (l’interconnessione, il canone, etc.) parla de

«L’ELENCO ABBONATI
– Omnitel può inserire i nomi degli abbonati che lo richiedono nell’elenco telefonico e nell’elenco del servizio 12
– Può essere stipulato un accordo tra Omnitel e Telecom Italia per l’elenco abbonati».

Rimangono tracce on line di come Omnitel aveva provato ad adeguarsi: un clamoroso fallimento. Fondamentalmente, tutti gli operatori avevano scoperto che, nonostante la gratuità dell’operazione, i titolari di linee mobili non ci tenevano proprio a finire in elenchi pubblici. Gli stessi titolari delle classiche linee fisse, hanno negli ultimi anni mostrato una crescente insoddisfazione, visto che ora i loro dati oggi appaiono senza colpo ferire in migliaia di siti in giro per il mondo: il primo fu InfoSpace e fece un certo scalpore a fine anni Novanta.

L’Autorità ha pubblicato un comunicato trionfante, sicura che cesseranno le violazioni della privacy degli utenti italiani. D’altra parte, il modello che gli utenti dovrebbero compilare è praticamente incomprensibile. Si prevedono elenchi telefonici moooolto leggeri, nei prossimi anni: saranno ben pochi, in Italia, a prendersi la briga di comprendere il questionario, compilarlo correttamente, inviarlo…

La [ennesima] favola triste di Chl

Il buon Massimo Moruzzi si è invischiato in una polemica infinita a proposito del tramonto di Chl. Come spesso succede in questi casi, è difficile scindere l’aspetto “umano” della vicenda da quello commerciale, di marketing e soprattutto finanziario e strategico.

Al Moruzzi viene contestato il troppo pelo sullo stomaco a proposito del commento critico sulle scelte del management ed i relativi effetti sulla decimazione del personale: eppure, anche chi non ha vissuto quegli anni di “spese pazze” in maniera troppo coinvolgente conosce Chl, come cliente o semplicemente perché ha visto le campagne pubblicitarie. Magari senza comprenderle: ognuno ha una zia (od una mamma) che davanti alle campagne del periodo IPO non capiva minimamente di cosa si stesse parlando.

Non era il target, certo. Ma se si fosse veramente voluti arrivare ai numeri mirabolanti del prospetto informativo, si sarebbe dovuta immaginare una clientela ben più grande dei soliti utenti appassionati di hardware. L’arrivo dei fratelli Franchi, probabilmente, ha solo fatto tramontare del tutto l’illusione di un soggetto e-commerce credibile a livello italiano. Rimangono solo le briciole: aspettiamo il momento in cui CDC acquisirà Chl per utilizzarlo come ennesimo retail brand. Sempre se non falliscono pure loro, vedi Opengate.

Mogli, robot e sudore

Impazza La donna perfetta: incassa “ben” 293 mila Euro… Un risultato ridicolo, se confrontato con i successi invernali. Le sale italiane, un tempo, erano chiuse: inseguendo la moda statunitense dei film in uscita per l’Indipendence day, ora assistiamo a queste debacle anche a casa nostra.

Il film, di per sé, non è male: nonostante le perplessità di Natalia Aspesi, il film “kidmaniano” The Stepford Wives è una commedia rinfrescante, benché dolceamara, nelle afose serate cittadine. Ovunque si sprecano i confronti con il film del 1975, ma la pasta è nettamente diversa. Qui si ride quasi sempre, manca quasi del tutto l’aspetto noir.

Rimane, piuttosto, una perplessità di fondo: perché bruciarlo adesso? I distributori italiani forse hanno temuto un incuccesso? Eppure il film non è niente di peggio di tante commedie puntualmente premiate agli Oscar. Distribuito a settembre, con un battage meno delirante (cfr. il sottotitolo “Ogni donna ha un segreto”), poteva incassare molto, ma molto di più.

Musicisti distratti

Una recente immagine degli U2Capita sempre più spesso: prima erano gli artisti americani, ora anche quelli europei che perdono i loro Master un attimo dopo la realizzazione dei nuovi, attesi album. Stavolta capita alla band europea più famosa, gli U2, che a Nizza, nemmeno fossero dei turisti italiani, si son visti trafugare il loro nuovo album.

Così, pochi minuti dopo la notizia, in Francia c’è già chi ironizza sulle sorti di coloro che metteranno il nuovo album sui P2P. Dall’altra parte della manica, invece, c’è chi lo descrive come un capolavoro. Forse anche la nomina a “miglior gruppo del decennio”, ora, appare alquanto strumentale. I fan, si sa, vanno cucinati a fuoco lento e (possibilmente) in un effluvio di notizie.

Pancioni da esportazione

Monica Bellucci col panzònMonica Bellucci è adorata in mezza Europa: forse più all’Estero che in Italia. Recentemente, i ragazzi francesi l’hanno eletta, (al pari di Brad Pitt per il ruolo maschile), il titolo di regina cinematografica sexy.

La Bellucci ha sempre mantenuto un low profile: nonostante su Internet si trovi di tutto di più, le sue immagini non fake sono tendenzialmente eleganti, mai “porno”. I maschietti italiani lettori dei vari magazine per soli uomini erano forse in crisi di astinenza e così lei è apparsa su Vanity Fair, che nella sua edizione italiana è stato proposto come un femminile.

Stavolta la parte più apparente non è il seno “fatto solo per portare vestiti scollati” , ma il pancione. Monica sta per partorire e si è lanciata in un’accorata campagna a proposito della legge sulla fecondazione assistita. Il motivo è valido, chissà se qualcuno se la filerà…