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Preso di peso (ma ripulito dai javascript) dalle pagine di Repubblica.it. Link interessanti, soprattutto il primo e l’ultimo.

Nel primo caso, si apre un’imbarazzante pagina di Forza Italia con tanto di kit del giovane propagandista fotografato: colla, santini, nastro adesivo. Il minisito stesso serve ad incitare a faxare propaganda elettorale ed altre amenità simili. Pare che non siano bastati, lo scorso giugno.

Nell’ultimo caso, un link che piace ai bloggari d’oltreoceano e un po’ meno a quelli italiani: si può ringraziare Blair per aver appoggiato la campagna in Iraq. Resta un dubbio: chi fornisce i dollari a Jon Sanford non tanto per gestire il sito (ormai il costo è irrisorio), ma piuttosto per comprare così tante Google AdWords, da ormai molti, moltissimi mesi a questa parte?

Realtà batte Comunicazione 1 a 0

Enzo Baldoni in giro per il mondoQuando era apparso in video a raccontare di sé a tutto il mondo, tutti hanno avuto una reazione diversa: c’è chi (e non merita un link) ha demenzialmente pensato “un turista in cerca di brividi”, chi l’ha definito il rapito più simpatico della resistenza irakena, chi ha pensato “Che ci fa Enzo – Zonker in TV?”…

In ogni caso, bisognava riconoscergli una cosa: un grande comunicatore, persino in quel momento. In barba a chi in Italia si dilettava a fare le pulci al suo profilo professionale (“è un pubblicista, non un giornalista” e banalità simili), ha dimostrato per un momento che si poteva coniugare quel mo(n)do onirico di fare pubblicità ed impegno civile profondo, sincero.

Enzo Baldoni, sì, proprio quello che scriveva su Linus e traduceva Doonesbury per la gioia dei fan italiani, non era solo un pubblicitario in cerca di sensazioni forti. Era una persona che aveva deciso di comunicare con le persone che soffrono dal vivo, non oltre la comoda cortina di un firewall aziendale.

L’unico problema di tutto ciò è che, semplicemente, il mondo non era pronto, ed il sistema è crashato. Come nei peggio sistemi operativi, Restart the World. Così i potenti di turno potranno giocarci un altro po’.

Prima le passerelle, poi il cinema, poi il teatro, poi i figli

Accorsi e LaetitiaLe dichiarazioni di Laetita Casta del tipo ”Nella mia testa i bambini sono tre, quattro. Di più, non so quanti se ne possono fare” faranno pensare ai fan: “Lo fai uno con me?” e ad Accorsi “Uh, questa mi ha incastrato”.

Non che il cinema possa perdere una grande attrice: per rivalersi sui critici, pare che la nostra si butti al teatro. Bella com’è si direbbe che può ottenere i soldi soltanto mostrandosi mentre fa i servizi di casa: chissà cosa ne penserebbero L’Oreal o le Galeries Lafayette, le aziende per le quali in Francia è onnipresente sui cartelloni pubblicitari e sulle riviste.

Come già avvenuto per le sorelline Berlusconi formato pin up, è di nuovo Vanity Fair che azzecca l’intervista col personaggio che sollazza i nostri immaginari di vittime della comunicazione. Stavolta ci vengono regalate perle come

«ci sono io qua con lui. Non un’altra. E ci piace stare insieme. Viviamo a Parigi, Roma, dappertutto. Vivere in due è più erotico che vivere da soli!»

oppure

«Abbiamo un cane in comune, un bastardino di nome Anch’io, che si chiama così perché anche lui ha diritto.»

Forse l’idea della casalinga sexy sui manifesti era più attraente.

Pro Ana, pro Mia ed altri fans

Anorexia sucksDi bello, nell’anoressia, c’è ben poco. Ancor meno nella bulimia. Potrebbero bastare le testimonianze drammatiche di chi le ha superate. Poi si potrebbe leggere anche qualche quindicenne che c’è in mezzo e ne è felice: onestamente, vengono i brividi lo stesso. Non accenna a sgonfiarsi il fenomeno Pro Ana / Pro Mia: nei giorni scorsi la BBC ha parlato di centinaia di siti britannici (o europei in genere) dedicati alle fans (pochi i maschi, si direbbe) adepte a questi brutti disordini alimentari. Eppure se ne parla già dal 2001, con le solite associazioni britanniche che mettono in guardia dai pericoli derivanti dalla lettura dei siti “anoressici” e ne chiedono l’eliminazione ai provider. Effettivamente molti siti ancora segnalati nei motori di ricerca sembrano essere spariti, soprattutto dai server dei vari ISP free. Nel frattempo, la “moda” ha lasciato i confini europei e si è ormai diffusa anche negli Stati Uniti. Siamo arrivati persino alle poesie delle anoressiche:

«Infinity is so damn sweet Your mortal earth cannot compete Starving for the other shore I will not eat! Say it loud & say it now I’m anorexic & I’m proud.»

È difficile, eticamente difficile, decidere se dar ragione alle petizioni contro i siti Pro Ana o a quelle che chiedono che la libertà di comunicare di persone che soffrono di anoressia e bulimia sia garantita. Certo, guardando un po’ dei siti del ring Pro-Ana, si rimane senza parole.
Forse viene da dire Stop Pro Ana.

Il maghetto europeo e le statue viventi

C’era da aspettarselo: le agenzie cercano di far credere che il maggiore concorrente per Harry Potter possa arrivare dagli Stati Uniti. Perché no: il giovane mago suona da sempre sin troppo “europeo” e può essere che anche Susanna Clarke avrà i suoi 5 minuti di gloria presso il vorace pubblico degli adolescenti mondiali. Gli adulti si sorbiranno prima i libri, poi i film, poi il merchandising: cosa non si fa per i propri figli e le loro mode del momento. 

Il successo di Harry Potter, d’altronde, dura da troppo tempo: difficile non dar ragione a chi vede nello scarso successo europeo dell’ultimo film sull’argomento un primo segnale di declino. Il pubblico cresce e probabilmente molti continueranno a leggere i libri, ma a trovare infantili i film. Il protagonista, d’altronde, cresce ancora più del pubblico (l’adolescenza colpisce ancora) ed è pressoché ridicolo, in questo ruolo.

La “madre” del mago britannico, Joanne Kathleen Rowling, tra un figlio e l’altro, si gode comunque il suo successo personale. Il suo sito personale impazza e la città di Edimburgo vorrebbe dedicarle una statua. Eppure non si direbbe che sia morta come il più illustre Robert Louis Stevenson. Pare che, contrariamente a quanto comunicatoci recentemente, non voglia più far morire nemmeno la sua creatura preferita: sette libri, per lei, non posson bastare. È dura dar da mangiare a tre figli.

L’anima tecnologica del Web

Uno degli ultimi successi in campo comunicativo sta nei feed RSS che da qualche anno siti informativi “dall’alto” (cfr. quotidiani e periodici) o “dal basso” (cfr. blog in tutto il mondo) offrono agli utenti più sofisticati: chi ne è capace, può configurare il proprio “ambiente informativo” in cui leggere i contenuti che gli interessano, tratti “in diretta” da tutte le fonti che si vogliono grazie a questi file XML. Sembra importante sottolineare questa necessità di padroneggiare il mezzo: inutile illudersi, a livello di usabilità non si è di certo a livello dell’e-mail.

Proprio su questi argomenti ferve il dibattito scatenato da un articolo scritto da Franco Carlini in cui, con linguaggio semplice, si fa il punto della situazione su questa nuova moda, confrontandola con quella delle newsletter che, volenti o meno, molti ricevono quotidianamente. Il dibattito verte, plausibilmente, sul fatto che Carlini da un lato minimizza il fenomeno, dall’altro lo relega ad un uso di “filtro professionale” dell’informazione.

Massimo Mantellini commenta acutamente che i limiti individuati da Carlini possono anche essere dei vantaggi: dipende dall’uso che se ne fa. Non ha senso magnificare in senso assoluto le tecnologie: può essere che per l’utente finale sia più cognitivamente più importante avere un contesto “giornalistico” in cui iniziare a navigare, di link in link, che una pagina che segnali gli aggiornamenti dei blog scritti dai propri amici. Dipende, appunto, dal perché abbia acceso il PC.

Gaspar Torriero fa le pulci all’articolo sottolineando il vantaggio di poter leggere fonti a go go senza sorbirsi la pubblicità relativa: interessante, ma chi sostiene economicamente la scrittura degli stessi, se si rifugge persino al bannerino pagato ad impression? Siamo vicini alla paura da deep linking: i giornali ci tengono a farci passare dall’home page per mostrarci più pubblicità possibile, persino nascondendo i propri feed. Lo fa anche Splinder, da sempre.

Di commenti ce ne sono stati tanti altri e praticamente tutti di segno negativo. L’unica considerazione che parte da qui è: non fossilizziamoci sulle tecnologie, badiamo ai bisogni. Forse gli utenti un giorno apprezzeranno una versione sempre più evoluta di Google News senza nemmeno sapere che alla base ci sono le tecnologie di cui sopra. Se rivoluzione dell’informazione sarà (se ne parla ancora, dieci anni dopo…), deriverà dall’uso che ne faranno le persone, non dalle tecnologie.

Promozione fa rima con corruzione

Organizzare degli eventi è affascinante, emozionante e (perché no?) redditizio. Le Olimpiadi, di per sé, sono un riassunto di tutto quello che un bravo organizzatore di eventi dovrebbe sapere e dovrebbe saper fare in termini di coordinamento tra promozione d’immagine, comunicazione, informazione.

Sugli effetti benefici delle Olimpiadi, si può richiamare alla mente quell’analisi che stimava 34.000 posti di lavoro in Piemonte grazie alle Olimpiadi invernali 2006. Esagerata o realistica che fosse, descriveva bene le enormi aspettative che enti locali, aziende e governi ripongono nei grandi eventi. I primi per attrarre risorse, le seconde per “lavare” la propria immagine nell’acqua limpida olimpica ed i terzi per muovere un po’ l’economia.

Quando l’acqua si sporca, però, sono dolori per tutti. Di corruzione del Comitato Olimpico se ne era parlato ampiamente ai tempi delle olimpiadi invernali a Salt Lake. Nulla di nuovo sotto il sole quando si sentono analoghi misfatti per quelle estive di Sidney. La novità è che anche quelle del 2012, le prossime ad essere assegnate, saranno probabilmente “messe all’asta” ai migliori offerenti. Lo ha svelato un documentario della BBC, mettendo in ambasce il Comitato Promotore di London 2012.

C’è poco da meravigliarsi: oltre a Londra, le altre città candidate sono Parigi, New York, Madrid and Mosca. Non si era mai visto un simile schieramento di grandi capitali (in tutti i sensi). Per ora l’unico tratto in inganno è stato tale Ivan Slavkov, il bulgaro che mantiene il seggio a vita eterna al CIO. Vedremo chi sarà il prossimo a saltare (e non con l’asta). Vedremo quando l’acqua tornerà limpida. Se, tornerà limpida o si trasformerà di nuovo in una bibita gasata.

La strana parabola di Esperya

In mezzo alle tante traiettorie strambe dell’e-commerce italiano, qualche anno fa sembrò svettare un’iperbole: un luogo unico, dove si incrociavano qualità ed uso sapiente degli strumenti della Rete, comunità in primis. Si trattava di Esperya, naturalmente.

Antonio Tombolini, il suo fondatore, era così fiero della sua creatura che quando la disastrosa gestione del gruppo L’Espresso portò la società alla rovina, si propose di ricomprarla: venne invece licenziato… Una storia delirante che ricorda da vicino quella di Clarence, un’altro gioiellino della Rete europea, oggi svuotato di significato.

Nel frattempo, Antonio è impegnato non solo a bloggare con arguzia su Simplicissimus, ma cerca (da ormai due anni) di far volare il suo nuovo sogno visionario, Vyta. I nuovi padroni di Esperya, quelli di Sogegross, hanno acquistato un brand storico, 25.000 clienti registrati e poco di più. Hanno acquistato, soprattutto, una parabola che discende. Speriamo non la mandino definitivamente a zero utilizzando banalmente il marchio per rilanciare il loro supermercatino on line

Do you like il Parmesao brasiliano?

C’è qualcosa che accomuna molti paesi europei: il gusto della tradizione. Turisti da tutto il mondo continuano a venire in Italia, Francia o Scozia spinti dall’immagine che queste nazioni conservano. Di ritorno a casa, non possono che ricercare le suggestioni alimentari provate oltreoceano. C’è quindi poco da meravigliarsi del fatto che marchi come Buitoni (Nestlé) vengano reclamizzati in tutto il mondo con suggestive campagne pubblicitarie legate alla “tradizione”, benché i prodotti siano “prepared foods“.

Ciò che serve, alla fine, è solo un nome evocativo: la denuncia della Coldiretti dell’uso sconsiderato del made in Italy nel mondo, negli Stati Uniti in particolare, fa riflettere ma non sorprende. L’Italia, la Francia e molti altri stati dalla grande tradizione cultural – alimentare non hanno saputo giocare le proprie carte sul mercato globale: etichette come la Dop sono sempre state osservate con scarsa attenzione sia da parte delle aziende che dei loro clienti.

Soprattutto, i problemi sono nella stessa Europa: in Italia sono state sequestrate 24.000 confezioni di concentrato di pomodoro cinese vendute “prodotto italiano”. A nessuno sorge il dubbio di quanto poco dovessero costare, questi barattoli che vengono da così lontano?

Belle ed internazionali

Barbara ed Eleonora BerlusconiSolitamente .commEurope non parla di personaggi legati al mondo della politica.

Solitamente .commEurope non parla mai delle stesse persone due giorni di seguito.

Solitamente ci si occupa di comunicazione aziendale più che di giornali glamour.

Tuttavia, la copertina qui a lato merita un commento, o forse più di uno. Barbara ed Eleonora Berlusconi, fotografate da Fabrizio Ferri, sono belle, bellissime. Quasi irreali. Ci si dovrebbe meravigliare dei commenti su Indymedia, solitamente molto cattivi nei confronti di Berlusconi padre. Prima metà del popolo di IndyMedia Italia si perde in commenti tra l’erotico ed il fantasioso, poi qualcuno tira fuori una foto “vera” delle due: che sia un’altra mistificazione dei poteri alti?

Il servizio su Vanity Fair Italiano, comunque, ha fatto molto scalpore. Non solo per la qualità dello stesso, ma soprattutto per i “consigli” che le figlie, Barbara in particolare, danno al padre ed ai fratelli mediatici. Sarebbe curioso sapere cosa è stato veramente detto nell’intervista, cosa è stato riportato e cosa filtrato: alcune affermazioni hanno un tono quantomeno da ufficio stampa, seppur dette da una studentessa in filosofia.

Tracce dell’enfasi che in tutto il mondo, l’Europa in particolare, ha dedicato all'”evento – intervista” si trovano in diverse lingue: ne ha parlato il Guardian in Gran Bretagna, ma anche Die Standard in Austria e persino in Svezia ed in Argentina. Belle ed internazionali, non c’è che dire. Ferri permettendo.