Illudersi fa male (ed innervosisce)

Una volta calmati gli animi per i risultati (prevedibilissimi) dei referendum dello scorso week-end, viene voglia di riflettere sull’ondata di malcontento che, molto più di quanto sia avvenuto nel mondo “reale”, ha attraversato i blog italiani. Gli stessi che, fino al giorno del voto, ostentavano banner e altri ammenicoli promozionali in favore del Sì.

La campagna di sensibilizzazione era legittima e, nessuno può negarlo, apprezzabile nei toni e nei modi: i radicali avevano saputo cavalcare non tanto l’onda del viral marketing classico sul Web, quanto quello assai più moderno (ed efficace) del “Tam tam blog“; meno convincente la campagna dell’altra campana, quella che invitava all’astensionismo, ruotante quasi del tutto intorno al sito di Scienza e Vita. In entrambi i casi, comunque, il meccanismo di fondo era quello di una campagna a costo zero che mettesse in gioco la credibilità personale di ognuno in favore di una causa o dell’altra. Con episodi bizzarri come la marea di link al sito Grazie alla Vita: predisposto per convincere i cattolici a dire Sì, conteneva affermazioni talmente drastiche da convincerli forse ad andare a votare, ma con sonoro No al cambiamento.

Ma la mappa non è il territorio, scrivevano gli analisti più attenti il giorno dopo: le campagne, si è scoperto, erano più autoreferenziali del previsto. Plausibilmente, si era riusciti a convincere soprattutto i sostenitori del Sì, già ampiamente motivati dal proprio humus culturale, ad andare a votare a favore dell’abrogazione: peccato che, se sostenitori e neoconvertiti rimanevano personalità illustri del Web, ma illustri sconosciuti fuori dalla Rete. La credibilità delle starlette è stata ben spesa in favore di altri navigatori indecisi, ma il passaparola si è fermato a qualche bit di bannerini, piuttosto che a qualche parolina in più alla portinaia.

Notava Gianluca Neri che molti si sono risvegliati come da un sogno, scoprendo che non sempre essere “elite” premia: si finisce banalmente ghettizzati non tanto per la caparbietà della propria posizione “politica”, quanto per il volerla perorare a tutti i costi esclusivamente nel proprio luogo favorito, il non – luogo di blog e similari. Stefano Hesse estendeva il discorso in maniera molto profonda: se c’è un malessere culturale (ignoranza iper diffusa?), poco possono fare (ed hanno fatto) coloro che si chiudono davanti allo schermo del PC a ragionare brillantemente da soli invece che davanti allo schermo della TV a rincretinirsi in lieta compagnia.

La campagna astensionistica ha vinto, in ogni caso, proprio per questa (in)abilità generale a perdere di vista il contenuto della materia in discussione a favore dello schieramento politico: un’enorme semplificazione del gioco in chiave “siamo i buoni – siete i cattivi” che è valsa più di mille ore di comunicazione televisiva scientificamente corretta (inevitabilmente ritenute noiosissime sulla fiducia, va da sé). I blogger si erano già illusi con Howard Dean: succederà altrettanto nelle Elezioni Politiche 2006?

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